Login

Lost your password?
Don't have an account? Sign Up

Là dove israeliani e palestinesi vivono (bene) insieme

A Neve Shalom Wahat al-Salam, tra Gerusalemme e Tel Aviv, vivono 80 famiglie equamente distribuite tra israeliani e palestinesi. L’aggravarsi della crisi mediorientale non ha fermato la profezia

Inutile negarlo, preoccupazione e paura sono aumentate. Ma l’allerta che cresce non basta a fermare il sogno diventato profezia di Neve Shalom Wahat al-Salam. Malgrado l’orrore, a dispetto delle notizie di bombe, missili e vittime innocenti, il villaggio posto tra Gerusalemme e Tel Aviv-Jaffa prova a continuare a vivere la sua missione, testimoniata sin dal nome, che tanto in arabo che in ebraico la definisce “oasi di pace”. «Sentiamo gli allarmi che suonano da entrambe le parti, avvertiamo i bombardamenti – spiega Samah Salaime direttrice dell’Ufficio comunicazione e sviluppo del villaggio -. È tutto piuttosto spaventoso, per questo abbiamo potenziato la vigilanza con turni affidati anche ai volontari».

Nato dal coraggio e dalla passione del domenicano padre Bruno Hussar, il villaggio fu fondato nel 1972 su un terreno di 100 acri preso in affitto dal monastero di Latrun. Secondo l’idea originaria vi abita un numero uguale di famiglie arabe e israeliane (la prima vi si insediò nel 1977), che condividono ogni decisione e scelta del vivere comune. Non si tratta però di un luogo asettico, fuori dal mondo e dalla storia, ma pienamente inserito nel suo tempo dove la guerra giocoforza “entra”, solo che arabi ed ebrei provano a farsene carico insieme. Essenziale in questo senso il ruolo affidato alla “scuola per la pace” frequentata anche da ragazzi dei villaggi vicini.

«Attualmente – aggiunge Samah Salaime – nel villaggio vivono 80 famiglie, circa 300 persone e tra loro c’è chi ha perso o cui è stato rapito un parente o una persona cara. Davvero ci troviamo in uno dei momenti più tristi della nostra storia. Difficile soprattutto per i palestinesi che abitano in Israele, per chi vive insieme e per quanti sono impegnati nelle istituzioni che promuovono la pace. Io stessa ho un’amica d Be’eri Kibbutz che è stata rapita».

La brutalità quasi disumana di questi giorni, se da una parte sembra allentare le ragioni del vivere insieme, dall’altra ne rafforza la necessità. «L’unica risposta è la pace – continua Salaime – che si costruisce sulla democrazia e l’uguaglianza, combattendo qualsiasi tipo di suprematismo e impegnandosi a tutelare la dignità di ciascuno. Tra il fiume e il mare ci sono 6milioni di israeliani e 6 milioni di palestinesi. Tutti hanno il diritto di vivere in pace. Non ci può essere democrazia da una parte e un popolo assediato e occupato dall’altro. L’unica equazione cui ci ispiriamo è il rispetto di ogni persona, garantendo uguaglianza e cercando la giustizia».

Naturalmente l’escalation della crisi ha modificato la quotidianità del villaggio. Per esempio, le scuole sono al momento chiuse ma vengono organizzati corsi online tra cui “lezioni di consapevolezza” destinate soprattutto a bambini e famiglie che necessitano di più incoraggiamento e assistenza. Al lavoro senza sosta ma in un modo diverso anche la Scuola per la pace. «Abbiamo dovuto ripensare tutti i nostri piani e gruppi» – spiega il direttore Roi Silberberg che con il suo staff si è rivolto alla rete degli ex allievi offrendo sostegno a chi ne ha bisogno e chiedendone a favore dei più bisognosi di ascolto. In proposito, domenica 15 ottobre si è svolto un corso (già programmato) di dialogo online tra ebrei israeliani e palestinesi che vivono in Europa, con partecipanti provenienti da Paesi Bassi, Gran Bretagna, Germania, Svizzera e Spagna. La speranza, che ha trovato radice a Neve Shalom Wahat al-Salam, continua a crescere.
«L’alternativa alla pace – osserva Salaime – è continuare a combattere, ciò che vogliono gli estremisti da entrambe le parti».

Al contrario invece bisogna fermare i combattimenti «e andare alla negoziazione, ma questo richiede leadership coraggiose che sfortunatamente oggi non vedo». Occorre che ciascuna parte rinunci a qualcosa. «Per arrivare a una pace stabile, conclude Salaime, «serve un accordo che garantisca al popolo palestinese una sorta di indipendenza. Israele è una paese democratico ma dalla democrazia spaccata che a Gaza tiene sotto oppressione due milioni di persone. Il prezzo più alto, come sempre lo pagano i poveri civili, oppressi dal regime di Hamas dall’interno e intrappolati dall’occupazione israeliana. Una condizione legata anche alla codardia delle nostre leadership».

Preoccupazione e tristezza non mancano, come si capisce. Tuttavia, anche in questi momenti bui è più forte il richiamo al sogno originario su cui si fonda il villaggio. Come testimonia il messaggio pubblicato il giorno dopo il vile attacco di Hamas a Israele. «Soprattutto ora – si legge – quando la tempesta intorno a noi sta prendendo forza e siamo tutti in uno stato di allarme emotivo, questo è il momento per noi di Wahat al-Salam – Neve Shalom e per tutti coloro che credono in una società condivisa, di continuare a essere una bussola, di accendere le nostre torce nell’oscurità che ci circonda e di essere un modello di pace, uguaglianza e giustizia».

di Riccardo Maccioni – Avvenire


Neve Shalom Wāħat as-Salām, è un villaggio cooperativo abitato da arabi palestinesi ed ebrei israeliani. È stato fondato dal domenicano Bruno Hussar a ovest di Gerusalemme nel 1972 su un terreno preso in affitto dal monastero di Latrun.

Entrambi i nomi ufficiali significano “oasi della pace”, in quanto il villaggio è nato con l’obiettivo di dimostrare che è possibile la coesistenza pacifica tra ebrei e palestinesi sulla base di una mutua accettazione. Neve Shalom esprime praticamente questa visione attraverso varie attività.

La nursery, l’asilo e la scuola elementare

Dopo alcuni anni di sperimentazione le strutture scolastiche furono aperte anche ai bambini dei villaggi vicini. Attualmente la scuola e l’asilo sono frequentati per il 90% da bambini non residenti provenienti da comunità arabe ed ebraiche.

Gli insegnanti ebrei e palestinesi fanno lezione ognuno nella propria lingua ma si rivolgono a tutti gli scolari. I bambini prendono coscienza della propria cultura e delle proprie tradizioni; al tempo stesso imparano la lingua e la cultura dei loro compagni. Ne risulta un’atmosfera di apertura e rispetto.

La Scuola per la pace

La scuola ha uno staff composto in parti uguali da arabi ed ebrei, esperti in materie scientifiche o letterarie. I membri dello staff hanno superato un corso di sostegno al superamento dei conflitti.

Dalla fondazione della scuola più di 25 000 tra ebrei e arabi hanno preso parte a svariate attività. I programmi coinvolgono studenti delle superiori e universitari, insegnanti, giornalisti, avvocati, medici e comunque sono aperti a chiunque voglia prendervi parte. Le attività della scuola si svolgono a Neve Shalom – Wāħat as-Salām o in altre località di Israele o della Palestina

Il Centro Spirituale Pluralista Bruno Hussar

Il Centro dedicato a Bruno Hussar, fondatore di NSWAS, promuove quelle attività che abbiano una dimensione spirituale o che siano comunque in relazione con le identità religiose degli abitanti di Israele e Palestina.
Appartata su una collina è la Casa del Silenzio (Beit Dumia – Bayt Sakina), un luogo di riflessione, meditazione e preghiera. La Casa è un santuario per tutti gli uomini di qualsiasi credo o cultura.

Condividi su:

Facebook
WhatsApp
Email
Stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*

su Kaire

Articoli correlati

Chi crede in me, farà opere anche più grandi

Incontri diocesani in preparazione del Giubileo con la biblista Laura Paladino 11,12 e 13 ottobre (II parte) Ripercorre e rileggere lo straordinario racconto della Genesi, in particolare la parte che

oratorio san vito

L’oratorio c’è!

La dispersione dei ragazzi dopo la Prima Comunione nelle parrocchie è un problema annoso che difficilmente trova soluzione: i bambini crescono, richiedono autonomia, si sentono grandi, hanno tanti impegni, scolastici

Nessuno nasce in un corpo sbagliato

Il 13 ottobre 2024 è iniziato dal Teatro Italia di Roma il Tour di Luka Hein, una giovane ragazza statunitense che a 14 anni – con la concomitante separazione dei