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Suore: piccole, grandi donne

Dal romanzo di Ritanna Armeni “Il secondo piano”, emerge una storia di resistenza, di coraggio e di carità nella Roma del 1944.

Ho letto da poco il romanzo storico di Ritanna Armeni “Il secondo piano” e sono rimasta veramente sorpresa dalla forza, dal coraggio e dalla libertà di azione dimostrata dalle suore francescane della Misericordia, le protagoniste del romanzo. All’epoca, nel 1943, gli Ebrei a Roma erano circa 10000 di cui oltre mille furono deportati ad Auschwitz. Dei rimanenti, oltre 4500 furono ospitati e protetti da istituti religiosi, soprattutto femminili, anche quelli di clausura. La cosa stupefacente e, storicamente accertata, è che in un’epoca ancora lontana dal Concilio vaticano II e dal dialogo interreligioso, questi conventi si sono aperti a tutti i fuggitivi, senza distinzione di credo politico o religioso: basti pensare agli omosessuali, ai diversamente abili, agli antifascisti renitenti alla leva, ai Testimoni di Geova che hanno trovato asilo. E nel rispetto più assoluto. Gli Ebrei erano solo una pagina di perseguitati di quel libro straziante che è stata la Seconda guerra mondiale. E le suore, nei rispettivi monasteri, hanno creato storie di accoglienza e convivenza straordinarie mettendo a repentaglio la loro stessa vita.

La trama del libro? “In un convento francescano di periferia, in via Poggio Moiano (Roma nord), suor Ignazia (di nazionalità tedesca) e le sue sorelle si trovano nella strana situazione di ospitare al piano terra un ospedale militare tedesco in un’ala dell’edificio occupata senza tanti complimenti dai nazisti, e al secondo alcune famiglie, sette persone in tutto, poi diventate nove e più, sfuggite per miracolo al rastrellamento del Ghetto del 16 ottobre 1943. Persone costrette a vivere in silenzio, con le finestre sempre sbarrate per non farsi scoprire. A separarli, solo una scala e l’audacia mite di donne che non esitano a mettersi in gioco fino in fondo. Stupendo il momento in cui la superiora, madre Ignazia, con poche parole pronunciate con autorevolezza in tedesco riesce a fermare i teutonici che volevano accedere al piano di sopra. Un miracolo? Probabilmente. E sono state capaci di nutrire tutti, anche rubando sul cibo portato dagli indesiderati ospiti, ma era necessario: le suore erano sette, ma in tutto dovevano mangiare diciannove persone oltre agli occupanti, e c’era il rischio concreto di farsi scoprire.”

Roma ha vissuto l’ultimo anno di guerra, non come “città aperta”, ma città stretta dai tedeschi, in una morsa sempre più soffocante e spietata. Gli alleati procedono verso la città eterna con una lentezza estenuante, mentre i romani combattono giorno per giorno, strada per strada pagando con la vita ogni atto di ribellione. In una città annientata dalla fame, dalle bombe, dal terrore, gli ebrei vengono ancora braccati, deportati, uccisi, come il più pericoloso e truce dei nemici. E la Chiesa? C’è un dibattito ancora aperto in merito e pare che il pontefice abbia scelto più o meno apertamente, la via della cautela, per non peggiorare la situazione, mentre i luoghi sacri si aprono ad accogliere – sfidando le regole e perfino alcuni comandamenti – chi ne ha bisogno.

Da ricerche condotte da suor Grazia Loparco emerge che in alcuni istituti si fornivano ai rifugiati anche documenti di identità falsi per aiutarli almeno a ritirare il pane con la tessera annonaria che tutti gli “indesiderati” non potevano avere. La cosa sconcertante è che queste microstorie sotterranee sono rimaste finora sconosciute. L’autrice, scrittrice e giornalista femminista e di sinistra, aiutata nelle ricerca storica da suor Grazia Loparco (della congregazione Figlie di Maria Ausiliatrice e docente alla Pontificia facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium), supportata anche dalla collaborazione della nostra conterranea suor Rosa Lupoli (abbadessa delle Clarisse Cappuccine, dette le Trentatrè di Napoli) si è trovata a scoprire un mondo a lei sconosciuto e sorprendente, un mondo del tutto ignorato dalla storia universale fatta e scritta dagli uomini. Le donne, si sa, quasi sempre sono state ignorate dalla storia ufficiale, figuriamoci le suore!

Apprezzate al massimo per la loro discrezione, la riservatezza, il non apparire; o addirittura viste come donne non libere, costrette a prendere il velo (tipo Gertrude dei Promessi Sposi). E invece! Donne libere e coraggiose che in quel periodo, hanno fatto cose sconvolgenti, per puro spirito di carità. La carità oggi è una parola superata, anzi trattata anche con un po’ di disprezzo. Perché ad essa si contrappone la giustizia e la libertà. Nell’operato di queste piccole grandi donne invece, essa è assunta a valore massimo, è ciò che ispira e che fa vivere, e che modifica e impregna i rapporti con gli altri.

“Il secondo piano” è un romanzo, ma si basa su una storia vera tanto che uno dei testimoni della Shoa, Lello dell’Ariccia oggi ottantaseienne, a cinque anni è stato ospitato da “quelle” suore ed è ritornato in quei luoghi commosso e riconoscente, per parlare con una suora. (Nel romanzo è il bambino Lele amato e coccolato da tutte). Oggi le porte di quella casa sono ancora aperte per accogliere e abbracciare le persone in fuga da ogni guerra. Oggi suor Clara Maria Oberkofler, la religiosa francescana che, assieme a poche altre suore, vive ancora a Via Poggio Moiano, è testimone indiretta dell’opera delle sue consorelle di allora e in un’intervista ha affermato: “Per loro è stato talmente logico aiutare: lo voleva il Papa e dunque era Nostro Signore che lo voleva. Non avevano la minima difficoltà a pensare che andasse fatto. Il Vangelo parla di accoglienza. Per loro fu normale, naturale, compiere quel gesto.”. “Per me – prosegue suor Clara – hanno dato una testimonianza del Vangelo, è sicuro. Ci hanno insegnato come si vive il Vangelo, nella consapevolezza che è il nostro Signore che sta dietro a tutti gli eventi”.

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