Il convegno di quest’anno della Cei sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso, cui ho potuto partecipare insieme ad Antonietta Pisano, si è tenuto a Napoli dal 3 al 5 novembre, ed è stato diverso da quello degli anni precedenti. Ad ogni giorno è stato assegnato un tema diverso che lo ha caratterizzato: comunione, partecipazione e missione.
Il primo giorno è stata una vera e propria immersione nelle relazioni ecumeniche ed interreligiose della diocesi di Napoli, ed è stato molto bello – ma soprattutto importante – vedere come la relazioni partano tutte dal semplice rapporto di stima e affetto reciproco. Questo ci è stato sottolineato anche il giorno dopo, nella sezione San Luigi della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, dove ci è stata presentata la Teologia del Mediterraneo, non solo a livello teorico ma anche e soprattutto a livello esperienziale.
Di cosa si tratta? Di un’esperienza religiosa nel contesto del Mediterraneo, che non è un contesto qualsiasi ma un contesto che ha un qualcosa da dire alla teologia. Una teologia che favorisca percorsi di convivenza fraterna e di dialogo… oggi soprattutto di pace.
Il fenomeno migratorio è un luogo teologico che ci chiama ad assumere una definitiva consapevolezza della portata umanitaria ed epocale che racchiude questo esodo di uomini e donne da tutte le parti del mondo che arrivano in Italia. Come cristiani dobbiamo sentirci tutti chiamati a rivolgere lo sguardo agli ultimi, malati, migranti, rifugiati, per essere autenticamente cristiani degni del nome di Cristo che libera, prendendo e condividendo le sofferenze di tutti gli uomini e di tutte le donne. Gesù, infatti, ha detto: “Ero forestiero e mi avete ospitato. Ogni qualvolta avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. (Mt 25,35,40)
L’incontro con questi ultimi ci aiuta a tenere i nostri cuori e gli occhi aperti nel cammino verso la civiltà dell’amore, unità e pace, usando i segni dei tempi, ma anche la storia come luoghi teologici, favorendo anche il dialogo tra le culture e religioni delle persone che si trovano nella nostra società.
Per vivere tutto questo dobbiamo imparare a favorire l’unità nella diversità e nell’incontro con l’altro, attraverso il dialogo a tutto campo, la fraternità e la solidarietà universale in cui la Chiesa è lievito.
L’accoglienza/ospitalità dell’altro non comporta una contaminazione negativa. L’altro porta con sé una storia, la sua cultura e i suoi talenti che arricchiranno la spiritualità della nuova società dove lui/lei viene accolto e integrato.
Sono quindi seguiti vari laboratori in cui ci siamo tutti messi in gioco, simulando una pastorale comparata e sinergica con gli altri uffici della curia… Interessante come sia importante l’obiettivo comune e il lavorare insieme per lo stesso fine.
La sera del sabato dopo una bellissima visita guidata alle catacombe di S. Gennaro, abbiamo avuto il dono di avere con noi S.E. mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo che ci ha parlato di cosa significa fare ecumenismo oggi. Ha esordito col dire che la verità non è l’esattezza scientifica e l’identità non è un dato assoluto, ma una ricerca, una strada, un esodo. La svolta epocale al pluralismo significa una frammentazione dell’uomo in tante storie differenti e irriducibili l’una dall’altra. È impossibile unificare questa pluralità nell’ambito di un unico punto di vista, fosse pure quello della fede.
E ha citato le parole di papa Francesco a Caserta: “Noi siamo nell’epoca della globalizzazione e pensiamo cosa sarebbe l’unità nella Chiesa: una sfera, dove tutti i punti sono equidistanti dal centro, tutti uguali? NO. Questa è uniformità. E lo spirito Santo non fa uniformità. Che figura possiamo trovare? Pensiamo al poliedro: il poliedro è una unità ma con tutte le parti diverse, e ognuna conserva e ha la sua peculiarità, il suo carisma… unità nella diversità. In questo cammino noi cristiani facciamo ciò che chiamiamo ecumenismo”.
Il giorno successivo è stato all’insegna di esperienze. Una che ci ha colpito particolarmente è stata quella raccontata dal cardinal Lopez in collegamento da Rabat: ci ha fatto toccare con mano che, nonostante in Marocco ci siano 30.000 cristiani rispetto ai 67 milioni di musulmani, è possibile vivere in amicizia e ci ha anticipato che gli esercizi spirituali dell’anno prossimo saranno proprio lì in Marocco dal 5 al 12 luglio in ascolto dei testi sacri letti sulla terra: Torah, Bibbia e Corano.
Ci siamo salutati prendendoci l’impegno di vivere e comunicare a più persone possibili l’urgenza e la necessità dell’unità nel mondo di oggi. Perché: se non siamo infiammati dal fuoco dell’unità come potremo mai riscaldare un mondo raffreddato dalla disunità?
di Pina Attore