Ecclesiam Suam è la prima lettera enciclica di s. Paolo VI. Pubblicata il 6 agosto del 1964, essa ha carattere ecclesiologico e viene definita l’”Enciclica del dialogo”. Per Paolo VI il dialogo è anzitutto colloquium salutis, colloquio della salvezza che Dio stesso inizia attraverso la Parola che rivolge a tutta l’umanità. Si tratta della Parola della sua Rivelazione, la Parola con cui guida e salva tutti noi, suo Popolo. Grazie a questo dialogo, che Dio ha iniziato con noi, grazie a questo deposito di dottrina, che la Chiesa ha ricevuto per custodirlo, difenderlo e annunciarlo a tutte le genti, l’evangelizzazione che si compie nasce da un impulso di carità, che si fa dono di carità a tutti.
La missione della Chiesa è proprio quella di introdurre nella conversazione di tutti i giorni la Parola che Dio le ha affidato. Prima di questo, la Parola va ascoltata: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11, 28).
Il dialogo di cui ci parla s. Paolo VI va sviluppato a cerchi concentrici – con i cristiani, con le altre religioni, con tutta l’umanità – ed esige pazienza e fedeltà alle proprie convinzioni. Come si svolge questo dialogo? La Chiesa si affianca al mondo e gli parla, lo comprende, gli comunica la meravigliosa sorte che il Signore offre a tutti: la salvezza. Questa è l’origine trascendente del dialogo: il colloquio di Dio con l’uomo, che si era interrotto a causa del peccato, Gesù lo riprende incarnandosi, lasciando capire qualcosa di sé. Con questo colloquio vuole essere conosciuto così: “Amore Egli è”. “Amore Io sono”. Dobbiamo prendere l’iniziativa di questo dialogo senza attendere d’essere chiamati, perché parte dalla carità. Questo dialogo deve essere illimitato e senza calcoli, universale, cattolico, cioè capace di annodarsi con ciascuno (a meno che l’uomo non lo respinga assolutamente o finga insinceramente di accoglierlo), avendo la pazienza, attendendo, che Dio lo renda efficace. Il dialogo deve avere una forma: proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà. Esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva e abituale, la vanità d’inutile conversazione. Non mira a ottenere immediatamente la conversione dell’interlocutore ma al di lui vantaggio, senza separare la salvezza propria da quella altrui, immettendo il messaggio nella circolazione dell’umano discorso.
Leggiamo cosa scrive il santo Paolo VI nella sua enciclica:
«Chiarezza mitezza fiducia prudenza»
83. Il colloquio è perciò un modo d’esercitare la missione apostolica; è un’arte di spirituale comunicazione. Suoi caratteri sono i seguenti. La chiarezza innanzi tutto; il dialogo suppone ed esige comprensibilità, è un travaso di pensiero, è un invito all’esercizio delle superiori facoltà dell’uomo; basterebbe questo suo titolo per classificarlo fra i fenomeni migliori dell’attività e della cultura umana; e basta questa sua iniziale esigenza per sollecitare la nostra premura apostolica a rivedere ogni forma del nostro linguaggio: se comprensibile, se popolare, se eletto. Altro carattere è poi la mitezza, quella che Cristo ci propose d’imparare da Lui stesso: Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore; il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso. La fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell’attitudine ad accoglierla da parte dell’interlocutore: promuove la confidenza e l’amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un Bene, che esclude ogni scopo egoistico.
84. La prudenza pedagogica, infine, la quale fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta: se bambino, se incolto, se impreparato, se diffidente, se ostile; e si studia di conoscere la sensibilità di lui, e di modificare, ragionevolmente, se stesso e le forme della propria presentazione per non essergli ingrato e incomprensibile.
85. Nel dialogo, così condotto, si realizza l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore.»
Quante volte nella nostra vita avremmo voluto sentire questi modi? E quante volte avremmo voluto noi stessi applicarli? Se non ci siamo riusciti, riproviamo! Questa esortazione potrebbe portare buoni frutti insperati. Questo dialogo coopera al bene dell’umanità, cioè di tutti, e coopera al nostro bene personale.
Maria, piena di grazia, prega per noi!
di Angela Di Scala