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Si tratta di riscoprire il fragrante significato del dono, in tutta la sua ricchezza

Nessuna ricorrenza nel corso dell’anno suscita come il Natale una spasmodica corsa ai regali. Anche nei periodi che spesso vengono contraddistinti come di maggiori difficoltà economiche per le famiglie italiane, inevitabilmente si scopre che – senz’altro complice anche la sana generosità della nostra gente – i negozi hanno le file fuori di avventori e che la spesa complessiva indotta dal periodo festivo è sempre elevatissima.

Anche i cristiani non paiono particolarmente capaci di “smarcarsi” dai vincoli di quello che, nel tempo, si è trasformato in un virus consumistico che ha in sé stesso la perniciosa capacità di farci perdere il significato originario di scambiarsi dei doni. Capita che ci si metta a tavolino e si faccia un elenco di destinatari che non possono essere esclusi dalla lista, a rischio di malumori, delusioni o anche solo brutte figure. Talvolta si acquista un oggetto o un prodotto per qualcuno per il semplice motivo di non farsi trovare impreparati, in caso questi avesse pronto qualcosa per noi. È la logica, piuttosto banale, del contraccambiare, del dare in cambio, appunto, che come dicono le stesse parole, si avvicina più al mondo dello scambio commerciale che a quello della convivialità. Inoltre, ben prima dell’era della segregazione obbligata del Covid – che la rese molto più indispensabile – si è diffusa la pratica degli acquisti on line che può dar vita all’arrivo a sorpresa di un pacco inatteso, ma “taglia” la dimensione di prossimità da sempre legata a chi offre e chi riceve un regalo.

Ora, anche se abbiamo messo dietro le spalle il divieto degli assembramenti (e siamo sollevati per questo!) i negozi dei centri cittadini, luccicanti di luminarie e affollati di gente carica di pacchetti possono ugualmente distoglierci dal senso profondo che, invece, ogni dono porta con sé. Occorre liberarsi da questa frenesia, dall’obbligo di “scartare la carta” per poter dire che si sta facendo festa. Nello stesso tempo è importante non passare da un eccesso all’altro e farci prendere da un’inerzia ammantata di sobrietà. Non si tratta di risparmiare soldi per il solo fatto di farlo, o di sbilanciare tutta la nostra attenzione solo su benefiche campagne di solidarietà. Talvolta, per paradosso, queste stesse iniziative possono provocare la nostra coscienza, ma tacitarla solo ad un livello superficiale, mandandoci a letto un poco più tranquilli di fronte alle sofferenze del mondo, solo per aver rinunciato a qualcosa che forse era per noi proprio superfluo.

Si tratta, dunque, di riscoprire il fragrante significato del dono, in tutta la sua ricchezza. Con un po’ di immaginazione, potremmo dire che un regalo si chiama anche “presente” perché ci rende, appunto presenti, vivi, in relazione con la persona a cui offriamo qualcosa di noi e, nel contempo, dimostriamo a chi riceve che il ricordo di lui, la preziosità che lo rende unico nel mondo, è ben vivida – presente, appunto – nella nostra memoria e nel nostro cuore. È una dinamica che si può cogliere con evidenza quando ci si raduna soprattutto in famiglia o fra persone che vivono una profonda intimità. Se i bambini hanno quasi sempre una lista lunga e dettagliata di “desideri”, magari nel mondo magico dei giochi e quelli si aspettano con irruente attesa; gli adulti, i nonni e gli anziani in genere, consapevoli di avere, anno dopo anno, sempre meno bisogno di “cose”, sono quasi più grati e commossi per le parole espresse in un biglietto che per l’oggetto stesso che si trovano fra le mani.

Ecco, siamo chiamati a riscoprire la genuinità delle intenzioni, a veicolare attraverso il dono, un messaggio che va ben al di là di ciò che si vede e si tocca. Quel pacchetto, grande o piccolo, originale o ripetitivo che sia, sta ad indicare che chi lo riceve è importante per noi e siamo felici di essere insieme a condividere la speranza del Natale. Spesso nei primi anni di scuola, gli alunni sono invitati a preparare dei manufatti per i loro parenti: in essi è più bello e gratificante trovare il senso natalizio perché il tempo dedicato per quei lavori di bricolage, senz’altro non opere d’arte, ma fatte con passione ed impegno, hanno un significato e un valore che li nobilita.

E questo avviene anche quando alcuni famigliari si associano per trovare o assemblare qualcosa per un parente, al fine di riuscire a realizzare qualcosa che da soli non avrebbero potuto ottenere per motivi economici o organizzativi. In sostanza, l’invito reciproco che tutti possiamo farci è quello di saper ricreare l’atmosfera di stupore e meraviglia che il mistero del Natale genera nei cuori di chi riconosce che la nascita di Gesù è il dono al mondo per eccellenza e a noi non è chiesto di competere in termini quantitativi, ma ispirandoci nello stile, nel modo di essere, allenandoci in quella gratuità che più di ogni altra cosa, riempie di gioia il cuore di chi l’accoglie.

Allora, lungi dal demonizzarlo, potremo riconoscere nello scambio dei doni una forma autentica per vivere la comunione fra fratelli, per condividere la gioia grande della venuta del Signore ancora fra noi e soprattutto un segno, per tutti, anche per quelli che sono più lontani dalla mangiatoia di Betlemme, che la storia degli uomini e delle donne non è un ripetitivo susseguirsi di anni senza meta, ma un cammino di speranza verso una pienezza che già si compie attraverso ogni nostro gesto di fraternità.

di Giovanni M. Capetta – Sir

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