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Durante l’udienza generale del 27 dicembre scorso il Papa ha introdotto un nuovo ciclo di catechesi sul tema “dei vizi e delle virtù”: «E possiamo partire proprio dall’inizio della Bibbia, là dove il libro della Genesi, attraverso il racconto dei progenitori, presenta la dinamica del male e della tentazione. Pensiamo al Paradiso terreste. Nel quadro idilliaco rappresentato dal giardino dell’Eden, compare un personaggio che diventa il simbolo della tentazione: il serpente, questo personaggio che seduce. … Come sappiamo, Adamo ed Eva non riuscirono a opporsi alla tentazione del serpente.

L’idea di un Dio non proprio buono, che voleva tenerli sottomessi, si insinuò nella loro mente: da qui il crollo di tutto. … Con il diavolo, cari fratelli e sorelle, non si dialoga. Mai! Non si deve discutere mai. Gesù mai ha dialogato con il diavolo; lo ha cacciato via. E nel deserto, durante le tentazioni, non ha risposto con il dialogo; semplicemente ha risposto con le parole della Sacra Scrittura, con la Parola di Dio. State attenti: il diavolo è un seduttore. …Con il diavolo non si dialoga e con la tentazione non dobbiamo intrattenerci, non si dialoga. Viene la tentazione: chiudiamo la porta, custodiamo il cuore».

Per aiutare i suoi frati a superare ogni tentazione anche il Poverello d’Assisi amava esortare semplicemente con le parole della Sacra Scrittura. Nella Regola non bollata suggerisce: «”Badate a voi che non vi capiti che i vostri cuori siano aggravati dalla crapula e dall’ubriachezza e dalle preoccupazioni di questa vita e che quel giorno piombi su di voi all’improvviso, poiché cadrà come un laccio su tutti coloro che abitano sulla faccia della terra”. Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità tutti i frati provvedano per le cose loro necessarie così come il Signore darà loro la grazia, poiché la necessità non ha legge» (FF 33).

Verso la fine della sua vita, “nei giorni in cui Francesco, appena tornato dal luogo di Bagnara, giaceva gravemente infermo nel palazzo vescovile di Assisi, gli abitanti della città, temendo che, se il Santo venisse a morire di notte, i frati ne asportassero segretamente la salma per deporla in un’altra città, deliberarono che delle scolte vigilassero attentamente ogni notte fuori e tutto intorno le mura del palazzo. Francesco, nelle gravi condizioni in cui si trovava, per dare conforto al suo spirito onde non venisse meno a causa delle aspre e diverse infermità si faceva cantare spesso durante il giorno dai compagni le Laudi del Signore, che lui stesso aveva composto, parecchio tempo prima, durante la sua malattia. Le faceva cantare anche di notte, per dare un po’ di sollievo alle scolte che vigilavano su di lui fuori del palazzo. Frate Elia, vedendo che Francesco, in mezzo a così atroci sofferenze, attingeva dal canto coraggio e gaudio nel Signore, un giorno osservò: «Carissimo fratello, io sono assai edificato e consolato per la gioia che provi e manifesti ai tuoi compagni in questa dura sofferenza e malattia.

Gli abitanti di questa città ti venerano come santo in vita e in morte, certamente. Però, siccome sono convinti che a causa di questa grande e incurabile infermità tra poco hai da morire, sentendo risuonare queste Laudi potrebbero pensare o dire fra sé:– Com’è possibile che uno, vicino a morire, esprima così viva letizia? Farebbe meglio a pensare alla morte!–». Francesco gli rispose: «Ricordi la visione che avesti presso Foligno? Mi dicevi allora che uno ti aveva rivelato che mi restavano da vivere soltanto due anni. Ebbene, anche prima che tu avessi quella visione, per grazia dello Spirito Santo che suggerisce al cuore dei suoi fedeli ogni cosa buona e la pone sulla loro bocca, di frequente io pensavo alla mia fine, giorno e notte. Ma dall’ora che ti fu comunicata quella rivelazione, ogni giorno mi sono preoccupato di prepararmi alla morte». Poi in un impeto di fervore continuò: «Fratello, lascia che io goda nel Signore e nelle sue Laudi in mezzo ai miei dolori, poiché, con la grazia dello Spirito Santo, sono così strettamente unito al mio Signore che, per sua misericordia posso ben esultare nell’Altissimo!” (FF 1614).

Papa Francesco conclude: «Chi custodisce il proprio cuore, custodisce un tesoro. Fratelli e sorelle, impariamo a custodire il cuore».

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