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Elia Benamozegh (1823-1900)

Testimoni del dialogo

200 anni fa nasceva a Livorno uno dei grandi precursori del dialogo ebraico-cristiano: Rav Elia Benamozegh. Biblista, talmudista, cabbalista, filosofo della religione, ha scritto in tre lingue (ebraico, italiano e francese) moltissime opere, alcune delle quali inedite, che aprono orizzonti ancora inesplorati ai nostri giorni.

Di fronte alla plurisecolare accusa di particolarismo rivolta alla religione d’Israele, Benamozegh sottolinea come nell’ebraismo siano al contempo presenti sia il particolarismo che l’universalismo e afferma che proprio nel rapporto dinamico intercorrente tra loro si trova la chiave della futura pace religiosa tra i culti esistenti. Il particolarismo d’Israele è al servizio dell’universalismo dell’umanità.

È proprio questa aspirazione all’universale che partorì la predicazione cristiana, «che ispirò tanti suoi figli, che dette loro la convinzione, il coraggio, di portarla fino al capo del mondo, che fece loro credere di essere gli organi di questa missione provvidenziale che Israele non aveva mai smesso di attribuirsi»[1]. E ancora: «il cristianesimo discende il linea diretta dalla religione d’Israele, è il suo ideale che esso ha cercato di realizzare, sono le sue promesse di vocazione dei gentili che esso ha adempiuto, è il suo messia e il suo messianismo che esso porta alle nazioni».

Il cristianesimo – «corretto in alcuni punti», il principale dei quali è la pretesa abolizione della Torah – può diventare la religione dell’umanità a venire, che non si sostituisce, ma si affianca e completa la religione d’Israele.

Rav Benamozegh riconosce il valore positivo sia della religione cristiana che di quella islamica: «Non si può essere un uomo imparziale e ragionevole senza riconoscere e apprezzare l’alto valore di queste due grandi religioni e più particolarmente del cristianesimo, non si può essere un ebreo degno di questo nome senza compiacersi della grande trasformazione che grazie a loro è stata operata in questo mondo precedentemente infangato in tanti errori e turpitudini. Non si può ascoltare i nomi più augusti e più cari del giudaismo, gli echi delle Scritture, il ricordo dei suoi grandi avvenimenti, i suoi inni e le sue profezie, sulla bocca di tanti milioni di ex-pagani di ogni etnia, di ogni colore, di ogni paese, riuniti per adorare il Dio d’Israele nelle chiese e nelle moschee, senza sentirsi prendere da un sentimento d’orgoglio, di soddisfazione e di tenerezza per chi ha operato miracoli tanto grandi».

Mentre la Cristianità riteneva – e in parte ancora ritiene – che vi sarà la conversione finale d’Israele, Benamozegh pensa invece che «la conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione della parusia, il ritorno degli ebrei nel grembo della Chiesa, senza di cui le diverse chiese cristiane sono concordi nel riconoscere incompleta la redenzione e per la quale ciascuna lavora a suo modo, si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella sola maniera vantaggiosa per la nostra specie [l’umanità]. Sarà come lo dipinge l’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai loro padri e di quello dei padri ai loro figli [Ml 3,24], vale a dire dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate». Era in anticipo di due secoli, si disse di Elia Benamozegh. È questa la ragione per cui il suo bicentenario assume una particolare importanza.[2]


[1] Le citazioni sono tratte da Elia Benamozegh, Il mio Credo. Israele e Umanità, Castelvecchi, 2023.

[2] Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri, Elia Benamozegh. Nostro contemporaneo, Marietti 1820, 2017.

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