Commento al Vangelo Mc 1,40-45
“Se vuoi puoi purificarmi”. Come sono belle le preghiere semplici! Sono le migliori perché nascono dal cuore e vanno al dunque. È forse questo il motivo per cui nella storia degli ultimi secoli i cristiani hanno sempre scoperto e valorizzato anche piccole preghiere o frasi che non sono altro che preghiere brevi, ripetute, semplici, chiare, essenziali, esattamente come la giaculatoria del lebbroso del Vangelo di oggi. Sarebbe bello se ognuno di noi scoprisse la propria giaculatoria, cioè scoprisse quella preghiera che ha il potere, nella sua brevità, di dire ciò che veramente ci sta a cuore.
Quella preghiera racconta di lui, racconta della sua condizione personale, di quello che sta vivendo. È un lebbroso, un uomo tagliato fuori, senza relazioni, senza abbracci, senza compagnia; un morto vivente dentro e fuori, appesantito forse anche dalla colpa di dover scontare qualche peccato da parte sua o da parte di qualche genitore. Sembra che Gesù non possa resistere davanti a tanta sincerità e fiducia. Fa un gesto, stende la mano, accorcia le distanze.
Sempre Dio accorcia le distanze. Dio desidera per me la guarigione profonda, la purificazione del cuore e della mente, delle intenzioni e delle scelte. Dio per me desidera il bene, la luce, l’amore accolto e donato. Dio per me desidera la scomparsa della lebbra del peccato, dell’egoismo, del vittimismo, dello scoraggiamento, della depressione… Dio per me desidera la fioritura, la pienezza, la pace interiore. Mi vede già fiorito, già inserito in relazioni nuove, belle e sane. Ma non può farlo senza di me, senza il mio coinvolgimento, senza la mia collaborazione. Gesù chiede al lebbroso di tenere nascosto il tutto.
È paradossale, ma Gesù è diffidente verso la devozione suscitata dai miracoli: sa che troppe ambiguità nascono da un miracolo che non sia la conseguenza e il segno di una conversione. Come dargli torto? Quante – troppe – volte cerchiamo Dio per ciò che dona, lo invochiamo per ottenere favori, lo usiamo come un simil-talismano. Certo: molte volte questo è un segno di fede, di disperazione e di invocazione, ma – e credetemi, l’ho sperimentato sulla mia pelle – troppe volte Dio viene invocato invano: per chiedere i numeri del lotto, per benedire le mie catene o per farmi trovare la ragazza!
Questo smaschera un atteggiamento di fondo ed è questo: io so quello di cui ho bisogno, io so come funziono e quindi lo invoco finché non riesco a convincerlo a guardare in basso ed esaudirmi. È davvero un padre il Dio cui ci rivolgiamo? O non – talora – una specie di despota capriccioso da sedurre? No, io non so se ciò che sto chiedendo sia davvero il mio bene. No, non so se, una volta ottenuto ciò che ho chiesto, davvero mi darà felicità. Certo, la strada del prodigio è una facile scorciatoia, ma poche volte produce reale conversione.
Più spesso, purtroppo, non fa che deresponsabilizzarmi, che affidare a Dio ciò che, magari, potrei fare io. Gesù teme il miracolo, teme di essere incompreso, di passare per stregone, teme il giudizio della folla. Sapete, un giorno vorrei poter incontrare nel Regno i miracolati del vangelo; sì, mi piacerebbe molto intervistarli e – lo so – molti di loro mi direbbero: il miracolo più grande è stato l’incontro con Lui, il cambiamento è stato talmente devastante che, alla fine, neppure mi ricordavo la ragione per cui avevo invocato il suo nome!
Ma la cosa davvero strana è che la reazione del lebbroso è di totale disobbedienza nei confronti di Gesù che lo ha guarito. È bello poter pensare che la vera evangelizzazione è l’impossibilità a poter tenere per sé la gioia che il Signore ci ha procurato nella vita. E anche se fosse Gesù stesso a chiederci di non dirlo, sarebbe per noi impossibile obbedirgli.
Tutto ciò capovolge l’idea di annuncio stesso: esso non nasce infatti dalla pianificazione di una campagna pubblicitaria, da un piano pastorale o da incontri prefissati ma da un irresistibile bisogno di raccontare a tutti quello che il Signore ha fatto dentro la nostra vita. E questo tipo di annuncio è così efficace che il seguito stesso di Gesù cresce a tal punto che per lui non c’è più possibilità di stare in un luogo chiuso. Amico mio, grida, con i tuoi gesti, quello che lui ha fatto per te, come ti ha ridonato la vita e Dio guarirà nel profondo chi si affida a te! Buona Domenica!
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Evangelizzare con la tua gioia!
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“Se vuoi puoi purificarmi”. Come sono belle le preghiere semplici! Sono le migliori perché nascono dal cuore e vanno al dunque. È forse questo il motivo per cui nella storia degli ultimi secoli i cristiani hanno sempre scoperto e valorizzato anche piccole preghiere o frasi che non sono altro che preghiere brevi, ripetute, semplici, chiare, essenziali, esattamente come la giaculatoria del lebbroso del Vangelo di oggi. Sarebbe bello se ognuno di noi scoprisse la propria giaculatoria, cioè scoprisse quella preghiera che ha il potere, nella sua brevità, di dire ciò che veramente ci sta a cuore.
Quella preghiera racconta di lui, racconta della sua condizione personale, di quello che sta vivendo. È un lebbroso, un uomo tagliato fuori, senza relazioni, senza abbracci, senza compagnia; un morto vivente dentro e fuori, appesantito forse anche dalla colpa di dover scontare qualche peccato da parte sua o da parte di qualche genitore. Sembra che Gesù non possa resistere davanti a tanta sincerità e fiducia. Fa un gesto, stende la mano, accorcia le distanze.
Sempre Dio accorcia le distanze. Dio desidera per me la guarigione profonda, la purificazione del cuore e della mente, delle intenzioni e delle scelte. Dio per me desidera il bene, la luce, l’amore accolto e donato. Dio per me desidera la scomparsa della lebbra del peccato, dell’egoismo, del vittimismo, dello scoraggiamento, della depressione… Dio per me desidera la fioritura, la pienezza, la pace interiore. Mi vede già fiorito, già inserito in relazioni nuove, belle e sane. Ma non può farlo senza di me, senza il mio coinvolgimento, senza la mia collaborazione. Gesù chiede al lebbroso di tenere nascosto il tutto.
È paradossale, ma Gesù è diffidente verso la devozione suscitata dai miracoli: sa che troppe ambiguità nascono da un miracolo che non sia la conseguenza e il segno di una conversione. Come dargli torto? Quante – troppe – volte cerchiamo Dio per ciò che dona, lo invochiamo per ottenere favori, lo usiamo come un simil-talismano. Certo: molte volte questo è un segno di fede, di disperazione e di invocazione, ma – e credetemi, l’ho sperimentato sulla mia pelle – troppe volte Dio viene invocato invano: per chiedere i numeri del lotto, per benedire le mie catene o per farmi trovare la ragazza!
Questo smaschera un atteggiamento di fondo ed è questo: io so quello di cui ho bisogno, io so come funziono e quindi lo invoco finché non riesco a convincerlo a guardare in basso ed esaudirmi. È davvero un padre il Dio cui ci rivolgiamo? O non – talora – una specie di despota capriccioso da sedurre? No, io non so se ciò che sto chiedendo sia davvero il mio bene. No, non so se, una volta ottenuto ciò che ho chiesto, davvero mi darà felicità. Certo, la strada del prodigio è una facile scorciatoia, ma poche volte produce reale conversione.
Più spesso, purtroppo, non fa che deresponsabilizzarmi, che affidare a Dio ciò che, magari, potrei fare io. Gesù teme il miracolo, teme di essere incompreso, di passare per stregone, teme il giudizio della folla. Sapete, un giorno vorrei poter incontrare nel Regno i miracolati del vangelo; sì, mi piacerebbe molto intervistarli e – lo so – molti di loro mi direbbero: il miracolo più grande è stato l’incontro con Lui, il cambiamento è stato talmente devastante che, alla fine, neppure mi ricordavo la ragione per cui avevo invocato il suo nome!
Ma la cosa davvero strana è che la reazione del lebbroso è di totale disobbedienza nei confronti di Gesù che lo ha guarito. È bello poter pensare che la vera evangelizzazione è l’impossibilità a poter tenere per sé la gioia che il Signore ci ha procurato nella vita. E anche se fosse Gesù stesso a chiederci di non dirlo, sarebbe per noi impossibile obbedirgli.
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Don Cristian Solmonese
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