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Quello che restituiamo è solo un’infinitesima parte dell’amore che il Signore ha riversato su noi dal giorno del Battesimo

“Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Mt 6,2-3). Riguardo alla seconda colonna del cammino quaresimale – ovvero la necessità di praticare l’elemosina, quale forma essenziale di una giustizia che abbia le sue radici nella giustizia di Dio – Gesù si esprime con termini che arrivano al credente del 2024 con un’attualità cristallina. Chi di noi può tirarsi fuori dall’aver peccato, almeno una volta, di essersi vantato, compiendo un gesto di carità se non soltanto, anche per farsi notare dagli altri? A me è successo quasi sempre, da quando iniziai giovanissimo a servire Messa.

Vorrei, con affetto, rivolgermi a tutti i ragazzi che svolgono il servizio di chierichetti o ministranti. Mettere la veste e agire sul presbiterio sotto lo sguardo di tutta l’assemblea in cui magari vi sono anche genitori e parenti, è un impegno che il Signore benedice e di cui tutta la comunità vi è grata, eppure anche voi potreste farvi fregare da quello spirito del male che vi induce a farvi belli, a credere che quello che fate è merito della vostra buona volontà. Sia ben chiaro: è così, ma è importante che sappiate che non è solo questo. Sarebbe bello che possiate dirvi che siamo tutti servi inutili.

Quando viviamo secondo lo Spirito di Gesù non vi è nessuno di indispensabile, ma tutti siamo preziosi; tutti possiamo essere sostituti, anche se di ciascuno, quando è assente, sentiamo la mancanza. Questo è quello che succede quando il cuore è davvero libero di compiere la volontà del Signore senza illudersi di fargli un favore, o, peggio, ingraziarselo con qualche “punto Paradiso”. La Vita Eterna non sarà mai una meta che potremo conquistare come riempiendo la tessera punti del supermercato! La Quaresima non è preziosa per rimpinguare le casse della Caritas o aumentare i pacchi di aiuti alimentari che la San Vincenzo distribuisce nel quartiere.

Un frate, qui a Roma, ogni volta che passa dall’affollata piazza Venezia, dona qualche sigaretta ad una persona che fa la questua sul marciapiede “Lo faccio perché i passanti non pensino che mi comporto con l’indifferenza del sacerdote, o del levita che, nella parabola del buon samaritano, passano oltre senza degnare di uno sguardo il povero mezzo morto ai bordi della strada”. Il fatto di portare un saio crea un vincolo che non è d’amore, quanto piuttosto di convenzione, di perbenismo, di orgoglio. Ma se anche gli uomini che vivono il ministero ordinato non sono esenti da questa grettezza, chi se la può cavare? Gesù ce lo dice: chi vive il dono per gli altri nel segreto.

Ma come si fa a fare l’elemosina nella propria camera, dove non c’è nessun bisognoso a cui dare quei due o tre euro trovati in tasca? No, facciamo tacere la logica del pallottoliere nella nostra testa. Con Gesù i conti non tornano mai, perché la sua gratuità ci supera: Lui ha allargato le braccia sulla croce e noi tutti valiamo il suo sangue: vi è qualche nostra azione che possa equipararsi? E anche nei confronti dei poveri, non possiamo far nulla di proporzionato alla giustizia che chiedono, perché tutto ciò che abbiamo non lo meritiamo più di loro. Per ogni gesto di carità corriamo il rischio di essere sullo scivoloso piano inclinato del nostro narcisismo. Non possiamo tacitare la coscienza per qualche ora di volontariato durante la settimana. Quello che restituiamo è solo un’infinitesima parte dell’amore che il Signore ha riversato su noi dal giorno del Battesimo. Nel segreto, allora, significa connettere ogni gesto di carità all’amore di Gesù; riuscire ad orientare prima in verticale ciò che poi si concretizza in orizzontale verso il fratello indigente. È così che il povero diviene quell’altro Cristo del passo evangelico, drammatico e consolante, del giudizio, in cui le opere di misericordia nei confronti di chi ha fame e sete, freddo, o bisogno di una nostra visita sono fatte a Lui. Anche questa mattina, appena usciamo di casa, il mondo aspetta che facciamo elemosina spogliandoci del nostro io. Scendiamo dal cavallo di tutte le nostre umane sicurezze e supponenze e abbracciamo il lebbroso che oggi il Signore ci farà incontrare, con lo spirito di umiltà di Francesco d’Assisi, facendoci lebbrosi fra i lebbrosi. Siamo noi, infatti, che, come mendicanti, elemosiniamo l’amore del Padre e solo così potremo fare vera elemosina a chi ci chiede anche solo un pezzo di pane.

di Giovanni M. Capetta – Sir

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