Se Cristo ci dice che la preghiera efficace è quella nella nostra camera, di cosa possiamo avere paura?
“E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate” (Mt 6, 5-9).
Eccoci a quella che potrebbe dirsi la terza colonna del cammino quaresimale: la preghiera; che, però, è il fondamento di tutta la nostra vita di fede, non certo solo in questo itinerario di tempo forte verso la Pasqua. Il segreto per vivere in pienezza la dimensione contemplativa della vita è conformarsi a Gesù. Il Signore ci chiede di fare come lui, ovvero di rivolgerci al Padre e intessere con Lui una relazione da figli infinitamente amati.
Costantemente il Figlio dell’Uomo mette al primo posto il suo Creatore; ha anche fisicamente bisogno di riservarsi uno spazio e un tempo per comunicare con il Padre, ascoltarlo e parlargli, proprio come un figlio prediletto parla a suo papà. Andare in disparte, salire sul monte… quante volte Gesù chiede ai dodici, o almeno a Pietro, Giacomo e Giovanni di seguirlo, accompagnarlo, prendere una pausa dall’annuncio alle folle e all’opera di guarigione? Egli era ed è il volto di Dio, non ce n’è un altro, Chi se non lui è costantemente nel Padre? Eppure, lui per primo non può fare a meno di pregare in un dialogo la cui intensità possiamo solo lontanamente immaginare… una dimensione che è misteriosamente la stessa che ognuno di noi, capax Dei, può e ha bisogno di intessere con il Padre Nostro […].
Sì, Padre di ciascuno e padre di tutti, per cui nel momento in cui a Lui ci rivolgiamo subito siamo chiamati a vedere nell’esistenza di ogni altro uomo, la vita di un fratello. Gesù non usa mezzi termini: è propositivo, ma anche molto esplicito: non si può pregare per farsi notare… farlo in Chiesa o fuori con lo scopo di farsi dire bravi da quelli che ci vedono e ci ascoltano. È un’ipocrisia odiosa, eppure non è così difficile cascarci. Pensiamo anche alle nostre stesse liturgie. Tanti servizi, dalla lettura della Liturgia della Parola, all’animazione col canto: quanto è inclinato il piano in cui la nostra coscienza deve fare i conti con il narcisismo, l’amor proprio e perfino la superbia di chi crede di aver qualche merito in più solo perché ha una voce impostata, oppure ha ricevuto il dono di essere intonato. Signore, aiutaci a mettere da parte i nostri ego sempre così ingombranti…!
Quanto dice Gesù non è destinato solo ai fratelli ebrei davanti al Muro del pianto; no, è proprio detto a noi quando ci beiamo di assemblee ancora piene, o adunate muscolari in cui ci convinciamo di essere ancora in tanti. Non è questo lo stile che il Signore ci chiede, non ce lo ha mai chiesto e meno che mai in questa temperie storica. Ce lo disse profeticamente Papa Benedetto XVI: siamo e saremo sempre più un piccolo gregge e anche se dovessimo tornare ad una trasmissione della fede, secondo modalità catacombali, non ci dovremo far prendere dalla foga di contarci, di sentirci mosche bianche in un continente scristianizzato perché l’Europa ha voluto dismettere le sue radici cristiane. Se Cristo ci dice che la preghiera efficace è quella nella nostra camera, di cosa possiamo avere paura? Preghiamo, piuttosto, per chi sotto le bombe di conflitti disumani, o in Paesi dove la libertà religiosa è ancora un’utopia non ha camere in cui ritirarsi e rivolgersi al proprio Signore.
Questa è la preghiera che il Padre accoglie e rende feconda. Basta un sussurro nel dolore, l’estasi di una gratitudine che può togliere il fiato e le parole…: Lui sa già tutto, eppure si siede al nostro fianco, ci invita a non stancarci mai di lodarlo, di domandargli, di ascoltarlo. Non sprechiamo parole, lo dice Gesù stesso insegnandoci il “Padre Nostro”, la preghiera delle preghiere. Poche parole che racchiudono tutto il tesoro della nostra vita di fede e che hanno al centro il mistero dell’iper dono, ovvero saper perdonare. “Se voi, infatti, perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”. (Mt 6,14-15).
Non possiamo eludere queste parole. Perdonare, perdonare sempre, perdonare tutti, perdonare tutto: questo ci è chiesto come fratelli di ogni uomo. Il giudizio non pertiene a noi; qualunque giudizio, qualunque categorizzazione, etichetta, incasellamento che castri le potenzialità che ognuno di noi ha di cambiare e convertirsi. Ma per liberarsi dello spirito diabolico che ci spinge ad ergerci a giudici dei fratelli, a sostituirci a Dio, a condannare gli altri – anche fossero i nostri nemici peggiori che ci hanno fatto oggettivamente del male – ecco che ancora riconosciamo come senza preghiera si tratti di una chimera irrealizzabile.
Solo chiedendo a Gesù di farci come lui, potremo echeggiare le sue parole sulla croce: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”, dove il Figlio, vero uomo, oltre che vero Dio, con umiltà indicibile chiede al Padre di fare quello che forse lui stesso non può fare da solo.
di Giovanni M. Capetta – Sir