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La preghiera è sapienza

Omelia del Vescovo Carlo martedì 5 marzo, presso la Parrocchia di S. Maria Assunta in Ischia Ponte solennità del patrono della Diocesi San Giovan Giuseppe della Croce

Sir 51,14-21; Fil 3, 7-14; Mc10, 17-30

Con evidente gioia il Vescovo Carlo ha aperto la celebrazione eucaristica nella solennità di san Giovan Giuseppe della Croce, ricordando il suo esempio di santità e sottolineando l’orgoglio ischitano di aver dato i natali a un uomo che con la sua condotta di vita nella fede è stato elevato agli onori degli altari. Sorprendono – ha detto mons. Villano – le vie del Signore, che intrecciano le vite degli uomini in modo inaspettato, poiché San Giovan Giuseppe è entrato in contatto con la Diocesi di provenienza del Vescovo Carlo, Aversa, chiamato dal Card. Caracciolo a coordinare conventi e monasteri del territorio aversano.

La Chiesa propone la memoria e la celebrazione dei santi e delle loro vite, affinché queste siano per i fedeli un esempio cui ispirarsi, poiché la santità è alla portata di tutti, come ci insegna anche Papa Francesco. Di solito però recepiamo questi modelli come traguardi irraggiungibili; padre Carlo, invece, nell’omelia, ha sottolineato come, al contrario, la strada della santità sia percorribile. La santità è infatti frutto di scelte semplici e basilari. Per rendere questo principio più chiaro, si è appoggiato al Vangelo proposto dalla Liturgia della Parola, il brano dell’Evangelista Marco noto come “Il giovane ricco”, nel quale un giovane chiede a Gesù cosa deve fare per avere la vita eterna; Gesù risponde che è necessario lasciare i propri beni e seguirlo. Il giovane, deluso e triste, volta le spalle a Gesù e si allontana. Per la maggior parte di noi questo brano risulta indigesto e quando lo ascoltiamo, come gli stessi discepoli, sconcertati, ci chiediamo: “Ma allora chi si può salvare?”. Il Vescovo invece ha immaginato che la stessa domanda – come guadagnare la vita eterna? – san Giovan Giuseppe l’abbia posta lui stesso al Signore:

«Mi piace pensare che di fronte alla risposta di Gesù, il giovane Giovan Giuseppe restò con il Signore, decise di stare insieme con lui, perché era felice, perché aveva trovato la sua felicità. Il suo cuore era lì, dove era il Signore».

Giovan Giuseppe decide di non allontanarsi da Dio, decide di restare presso di Lui e di coltivare la relazione con Lui attraverso la meditazione della Parola e la preghiera. Preghiera e accoglienza della parola sono due capisaldi che spesso il Mons. Villano ci ricorda di utilizzare per percorre la strada che porta a compiere la volontà del Signore.

Come ci ha ricordato il brano del Siracide (Prima Lettura), siamo invitati ad esprimere sapienza nella preghiera:

«La preghiera per noi cristiani è sapienza, diventiamo sapienti se entriamo, grazie alla preghiera, nella sapienza di Dio. E per noi essere sapienti significa metterci alla ricerca della sua volontà».

La preghiera e la meditazione orientano la nostra vita verso la volontà del Signore in modo semplice e naturale, esse sono la chiave per entrare in relazione con il Signore, per intercettare la sua volontà e imparare a vivere in comunione e carità.

Giovan Giuseppe – ha proseguito – aveva letto nell’immagine celebre dell’impossibilità per un ricco di entrare nel regno dei cieli (“è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago”), l’occasione per rendere possibile l’impossibile:

«Giovan Giuseppe aveva compreso che da questa parola ‘impossibile’ poteva tirare via le prime due lettere e allora la sua salvezza diventava possibile, perché nulla è impossibile a Dio. Se Dio vuole, se ci affidiamo al Signore, alla sua grazia, ciò che è impossibile nella logica umana diventa possibile per chi ha fede, per chi affida la propria vita nelle mani del Signore».

È ciò che succede alla Madonna che all’annuncio dell’angelo chiede come ciò sia possibile. Sicuramente nella vita di Giovan Giuseppe tanto è stato lo spazio dato alla devozione verso Maria, una cui immagine, a lui cara, era presente in chiesa grazie al ministro provinciale dei frati minori, Padre Carlo D’Amodio, che l’ha portata agli ischitani in occasione della festività.

Il Vescovo ha ricordato poi come la presenza di un santo ischitano sia non tanto motivo di vanto, quanto certezza della buona salute della Chiesa di Ischia e della forte chiamata per tutti noi alla santità che deriva dalla presenza di un concittadino tanto degno. Ma è necessario – ha detto – agire correttamente, attraverso una buona trasmissione della fede, oggi in tante famiglie sempre più carente. Ischia per sua fortuna resta ancora un ambiente dove la fede resiste, ma questo per noi è anche un carico di responsabilità: come Giovan Giuseppe siamo chiamati a testimoniare questa fede, a mantenerla viva e soprattutto a diffonderla:

«Se il Signore ci dona la fede, ci chiama anche ad essere responsabili, ma ci chiama ad accompagnarci in un cammino di Chiesa gli uni gli altri. Il giovane Giovan Giuseppe questa santità non la tenne per sé, ma la donò, la testimoniò nella sua Chiesa, nel suo Ordine e in tutti gli impegni che gli vennero assegnati».


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