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Martire perché libero

È stata inaugurata nel cimitero di Casal di Principe, a poca distanza dalla tomba. L’opera è del sacerdote e scultore don Battista Marello

Una statua in bronzo a grandezza naturale per ricordare i trent’anni dall’omicidio di don Peppe Diana in chiesa da parte della camorra

Svetta e brilla sotto il sole primaverile e ci ricorda il passato come memoria per il futuro: perché l’avvenire dipende da noi, come ha ricordato ai Casalesi nella sua visita del 21 marzo scorso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e nel messaggio di fine anno agli italiani. È una statua, a grandezza naturale, di don Peppe Diana, il sacerdote martire ucciso trent’anni fa dalla camorra nella sua parrocchia a Casal di Principe, mentre stava per dir messa, statua scolpita da don Battista Marello, uno dei maggiori scultori italiani in bronzo. È l’opera più grande e importante realizzata in occasione del trentennale dall’omicidio di don Peppino.

La statua è stata fusa in bronzo statuario dalla casa fonditrice «De Guidi» di Valeggio sul Mincio, nel Veronese, per circa 220 chili di peso ed è stata inaugurata il 17 marzo alla presenza del sindaco di Casale Renato Natale; della famiglia di don Peppe: la sorella Marisa e il fratello Emilio; di Augusto Di Meo, il testimone oculare dell’assassinio e dell’artista don Battista Marello. A benedirla don Franco Picone, vicario generale della Diocesi di Aversa. «È il momento in cui don Diana sta per cadere a terra colpito dai proiettili del killer, ma non cade, perché gli eroi non muoiono». Lo ha rappresentato così don Battista Marello, prete per vocazione e artista per passione «il suo don Diana».

Una statua che è stata commissionata dal Comune di Casal di Principe, in occasione del trentesimo anniversario dell’uccisione di don Peppino. «Abbiamo voluto la statua – spiega Renato Natale, primo cittadino di Casal di Principe – per rendere omaggio sempiterno al sacrificio di don Peppe. Questo è il mio ultimo anno da sindaco, alla prossima commemorazione parteciperò da laggiù in fondo come un comune cittadino». Centinaia di persone oggi hanno preso parte all’inaugurazione e hanno reso omaggio alla tomba di don Peppe.

Nel laboratorio a San Leucio, dove don Battista Marello è stato anche parroco per moltissimi anni, ci sono ancora il volto di don Diana e la sua immagine in miniatura. Se qualcuno volesse capire come è stata fusa, può prendere appuntamento via Facebook con il sacerdote artista per una visita. «L’ho dovuta portare a Verona in una fonderia specializzata con un furgoncino. Ho fatto la spola tra San Leucio e Verona più di una volta. Non riesco a crederci che sono riuscito a realizzarla in tempi strettissimi – racconta raggiante don Battista Marello -: un piccolo miracolo. Non volevo accettare l’incarico quando, poco dopo la metà di dicembre dello scorso anno, è venuto da me il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, accompagnato da Luigi Ferraiuolo, che da giornalista culturale mi conosce per il mio lavoro. Non potevo farcela per il 19 marzo. Impossibile. Avevo anche tantissime cose da terminare. Ma poi mi sono detto: “Per Don Diana, devo farlo”.

Così – continua lo scultore – ho deciso di farmi aiutare da un bravissimo collega, Dario Caruso. E per la prima volta in vita mia ho fatto un lavoro a quattro mani. Abbiamo cominciato a lavorare ai primi di gennaio». Don Marello ha ancora conservati i bozzetti dei disegni della statua. Li guarda con segreta ammirazione e comincia a descrivere com’è nata l’idea: «Don Diana quando è stato ucciso non aveva ancora i paramenti sacri, ma portava un pullover e stava per vestirsi per dire messa. Per cui il suo essere prete è nella stola che gli sfugge di mano, perché si stava preparando per la celebrazione. Il volto, difatti, l’ho rappresentato proprio nel momento in cui accusa il colpo sparato dal killer, quando sta per cadere ma è ancora è in bilico. Non cade, perché l’eroe non deve stare a terra. Il martire viene colto anche nelle iconografie nel mentre viene martirizzato, non morto. La scultura ha tre buchi nel petto. Sono i colpi di pistola del killer.

Dietro le spalle, invece – continua il suo racconto con l’entusiasmo di un ragazzino – ci sono i particolari di quest’idea: una porta semichiusa dalla quale fuoriesce un flusso vitale. Poi il Palazzo del Comune di Casale, la Torre, un monumento locale e poi il campanile del Salvatore e la vite con i tralci. La vite – spiega don Marello – perché, come dice il Vangelo, “Se la vite non viene potata non porta frutto”. E allora don Diana riscatta la sua Casale». Più sotto ecco l’incipit del documento «Per amore del mio popolo» con lettere grandi 5 cm ognuna. E sul piedistallo la scritta «Martire perché libero», scelta da don Battista Marello con l’aiuto di don Maurizio Patriciello e sempre il conforto del sindaco Natale, come ha spiegato durante l’inaugurazione lo scultore.

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