La pratica del digiuno è comune a tutte le religioni: con modalità diverse, con magari una diversa motivazione, ma il sacrificio che comporta è considerato un valore che aiuta il credente ad avvicinarsi a Dio. Nell’attuale società secolarizzata il digiuno per motivi di fede non sempre viene compreso, eppure il concetto di sacrificio alimentare in vista di un obiettivo superiore è ancora presente nella nostra cultura, perché evidentemente è un principio insito nella natura umana. Si tratta di capire per quali scopi esso venga praticato perché, come sostiene lo studioso francese René Girard, la modernità ha prodotto molte caricature della religione e la comparsa in forme moderne di «divinità più antiche e feroci».
Ho ribadito spesso nel mio blog che il cibo non è solo nutrimento: con l’alimentazione esprimiamo quello che pensiamo, come ci relazioniamo con noi stessi e con il prossimo, quali sono i valori che orientano la nostra vita. La modernità diffonde degli stili alimentari che sono la triste parodia delle astinenze e digiuni del cristianesimo. Scomparsi i riti religiosi, che davano ben altro significato al concetto di sacrificio, rimangono i riti laici che impongono l’immolazione sull’altare della nuova divinità: la cura del nostro corpo e soprattutto il mito della magrezza. «Se i nostri antenati potessero vedere i cadaveri gesticolanti che riempiono le pagine delle riviste di moda, li interpreterebbero verosimilmente come un memento mori, un monito di morte che forse corrisponde alle danze macabre sulle mura di alcune chiese medioevali. Se spiegassimo loro che quegli scheletri disarticolati simboleggiano per noi il piacere, la felicità, il lusso, il successo, probabilmente scapperebbero in preda al panico, immaginandoci posseduti da un demone particolarmente cattivo» (R. Girard, Anoressia e desiderio mimetico, ed. Lindau).
Il mondo di oggi pratica il sacrificio ma lo ha secolarizzato. Ci sottoponiamo a digiuni e sforzi ascetici per immolarci sull’altare del fitness, della magrezza, della forma fisica perfetta. Se digiuno il Venerdì Santo vengo guardata con un po’ di commiserazione, ma se parlassi della nuova frontiera del “digiuno intermittente” allora probabilmente susciterei molto interesse nei miei interlocutori, sarei assolutamente trendy e politicamente corretta. La pratica dell’astinenza è stata sostituita dal vegetarianesimo e veganesimo, che prendono a tratti le sembianze di vere e proprie religioni.
I cristiani praticano astinenze e digiuni perché la penitenza anche alimentare ha un grande valore spirituale. Lo spirito di sacrificio e il distacco dalle cose materiali ci aiutano a rinforzarci nella volontà, a guardare in alto, a non essere schiavi delle passioni, sono una bella occasione per allenare la virtù della fortezza, mettiamo Dio al primo posto. Siamo fatti di spirito e di carne: c’è un approccio al cibo che ci permette di non dissociarli. È la strada della temperanza, del considerare la tavola come occasione di socialità e amore al prossimo, rispetto di regole che mi permettono di godere dei doni di Dio e di rimanere in una profonda relazione con Lui e nello stesso tempo con chi mi sta accanto. Quando si abbandona la cura dello spirito e il sacrificio è solo in vista di un vantaggio per il corpo, la dissociazione produce anche l’isolamento dal mio prossimo, il nutrimento diventa qualcosa di personale ed individuale, perdendo il suo aspetto sociale. Come afferma un altro pensatore francese, Jean Guitton: “L’io diventa il carnefice di sé stesso”. I digiuni proposti dal mondo moderno producono poca gioia e molta tristezza, hanno il volto di quelle indossatrici tristi e sofferenti.
Hanno invece un significato radicalmente diverso le pratiche alimentari del cristianesimo, connotate da astinenze e digiuni così equilibrati e ricchi di significato positivo. Come raccomanda Gesù, quando un cristiano digiuna deve “profumarsi il capo”, lo deve fare con riservatezza e con gioia, trasmettendo a chi lo incontra un’impressione di serenità interiore. Ci dobbiamo sentire sulle orme di secoli e secoli di monachesimo, di grandi tradizioni e di uno stile di vita che ha contribuito alla crescita morale, sociale e (perché non ricordarlo?) anche economica della nostra civiltà. A testa alta, per portare gioia e forza a questo mondo che con le sue ideologie afferma di voler liberare l’uomo ma lo ha invece reso più triste e più schiavo.
di Susanna Manzin – Pane & Focolare