Abbiamo ricevuto dalla dottoressa Anna Lucia Miragliuolo, presidente onorario dell’Associazione Raggio Di Luce, la lettera che pubblichiamo su questo e sui prossimi numeri
È nata dentro di me la necessità di rompere il silenzio di privato cittadino, per intervenire su fatti sconcertanti, gravi, che hanno scosso la mia coscienza, generando la consapevolezza di non vivere in un Paese davvero libero e democratico. Mi sono resa conto che non è più possibile esprimere il proprio pensiero, che si viene attaccati e messi alla gogna e questo non posso accettarlo, visto che l’attuale libertà è frutto del sangue versato dai nostri nonni, spinti da ideali di indipendenza, che hanno dato vita alla nascita di una nazione bella come l’Italia, dotata di una esemplare carta costituzionale, la migliore fra quelle vigenti in Stati liberali, dove i fondamentali, irrinunciabili diritti e doveri di un cittadino sono espressamente individuati e dichiarati. È infatti necessario che in una società libera ci debbano essere regole a tutela di ogni cittadino, preservandone l’incolumità, la dignità, l’uguaglianza davanti alla legge.
Mi sembra opportuno, data la delicatezza dell’argomento, dedicare spazio a un sia pur breve excursus, per poi operare un confronto critico delle varie narrazioni esistenti circa i singoli attori responsabili della violenza cui abbiamo assistito e continuiamo ad assistere, di popoli cioè contro altri popoli, animati da odio e interessi divergenti, assicurando però da parte mia il necessario rispetto di fondo verso il dolore da chiunque provato, indipendentemente dallo schieramento cui appartenga.
Si tratta di eventi drammatici, dicevo, duri e complessi e intricati, come la questione israelo-palestinese, paragonabile a un gomitolo di lana, che più si provi a sciogliere e dipanare, più se ne perde il capo iniziale, più diventa difficile distinguere e giudicare, per la sovrapposizione di numerosi avvenimenti, ostici da dirimere; facile dunque incorrere in errori di valutazione; tuttavia cercherò di provare, con la semplicità che mi distingue, certo, ma non con superficialità.
Non vuole essere, questo mio scritto, una vera analisi storica, che lascio a chi ha più autorevolezza di me in materia, bensì un forte appello alla pace, cercando le parole giuste per aiutare – in tutta umiltà – a comprendere che può esistere una strada verso una tale e duratura condizione per tutta l’umanità. E ora veniamo al dunque!
È una bella iniziativa, da parte del nostro servizio pubblico televisivo, quella di festeggiare annualmente la canzone e la musica italiane in una grande kermesse, sul palcoscenico dell’Ariston di Sanremo, dove gli artisti di qualsivoglia genere musicale si esibiscono, rendendo questo spettacolo unico. Si tratta di una settimana di festa e di spensieratezza che tutti aspettiamo con grande curiosità. E quest’anno ho osservato grande eleganza e la bellezza di molte canzoni, di altissimo profilo, capaci di toccare anche temi sociali difficili e spinosi.
Tutto ciò che vediamo rappresentato è stato voluto dal direttore artistico, a cui vanno i miei complimenti e i ringraziamenti per aver reso questo palcoscenico utile ad aprire una finestra sul mondo. Sappiamo da sempre che gli artisti hanno un animo sensibile, vivendo la realtà con una grande partecipazione emotiva, traducendo in parole e in musica il proprio sentire, dando voce a chi non può fare da specchio della realtà dell’epoca in cui vive, usando lo stesso linguaggio dei giovani, riuscendo a volte a rendere la canzone immortale, come avvenuto, ad esempio, con i brani di De André, diventati patrimonio della musica italiana, innalzando all’attenzione universale anche le vicissitudini degli ultimi.
Così oggi i nuovi cantautori rappresentano nei propri testi la realtà che vivono, estesa a tutto il mondo grazie all’uso della tecnologia moderna, attraverso i numerosi canali social, che rendono veloce la conoscenza di eventi di ogni provenienza. Alcuni artisti hanno espresso il proprio appello alla pace, ma quando uno di loro, alla fine della sua performance musicale, dice “Stop al genocidio”, succede quello che mai avrei immaginato potesse accadere in un paese democratico come il nostro. Si è risentito il presidente della Comunità ebraica di Milano, asserendo pubblicamente che si stesse diffondendo odio e inviando un comunicato all’amministratore delegato della Rai, il quale, senza esitare, in modo, a mio parere, servile, ha diramato a sua volta un messaggio ai propri dipendenti, in quel momento in diretta tv, al fine di porgere subito le scuse da parte della Rai, solidale con Israele.
Una scena deplorevole, indegna, da lasciare senza parole. Ignorare i morti palestinesi, di numero ben superiore a quello delle vittime ebree (28. 500 ca), tra cui 25.000 tra bambini e donne (ANSA), è stato come farli morire di nuovo, specchio di parzialità da parte di ufficiali di un servizio pubblico legati – a quanto pare – alla propria poltrona e al politico di turno, e almeno apparentemente privi di una coscienza sociale tale da garantire una televisione libera, al servizio dei cittadini. Quanto al presidente della Comunità ebraica, egli ha dimostrato di non ricordare il significato della parola genocidio come definita dall’ONU, ossia “gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Senza contare che è per me deplorevole e inaccettabile ogni forma di violenza, da qualsiasi parte provenga; quindi, da condannare: sempre!
Affrontare il problema Palestina-Israele in tutti gli aspetti che hanno dato vita alla grave situazione odierna, non è cosa facile, poiché effetto di una lunga catena di avvenimenti susseguitisi nel tempo. Eppure, questa situazione nasce da dinamiche apparentemente semplici: due popoli che si contendono lo stesso territorio, due popoli fratelli, come si può evincere da narrazioni bibliche. Con una differenza sostanziale, tuttavia, tra i due: gli arabi palestinesi appaiono un popolo di conquistatori, animati anche dalla volontà di diffondere la propria religione, mentre gli ebrei israeliani hanno sempre dovuto faticare per essere accettati dovunque volessero vivere. Cacciati dall’Unione Sovietica e stabilitisi nella Germania nazista, subirono ogni sorta di persecuzioni, frutto di quella apologia nazionalista che sfociò nella Shoah. Quelle immagini di violenza, di tale atrocità da rappresentare la pagina più buia e tragica della nostra storia, restano impresse nella memoria collettiva dell’umanità. Sono immagini che il presidente americano Eisenhower volle fortemente divulgare, perché non si dimenticasse, perché il mondo non dovesse mai più rivivere tale esperienza.
La situazione dolorosa vissuta dagli ebrei fu motivo della diaspora degli stessi. Dopo la Seconda guerra mondiale tale popolo si trovò disperso in tutto il mondo e sentì il bisogno di avere una propria terra. E come non pensare alla Palestina, da sempre considerata la “Terra Promessa”?
Nacquero dunque i primi insediamenti vicino al deserto del Sinai, che vennero bonificati dando luogo a produzioni agricole. A quel tempo gli arabi palestinesi erano una percentuale maggiore degli ebrei, ma man mano la situazione iniziò a cambiare grazie ai cospicui aiuti finanziari che gli ebrei ricevevano dal mondo occidentale, America inclusa. Furono così ingenti tali aiuti da rendere rapidamente gli ebrei un popolo forte e potente. Essi iniziarono ad acquistare terreni dai palestinesi, dal canto loro spesso desiderosi di vendere per il grande problema della siccità. Gli ebrei compravano con il vincolo di non rivendere e questo rappresentò una forte spinta propulsiva alla loro espansione in terra palestinese, dove i precedenti occupanti si trovarono a poco a poco estromessi dalle proprie zone e dalle proprie case, finendo per reagire come potevano a tale fenomeno, in una crescente escalation di violenza, fattasi, dal periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda guerra mondiale fino ad oggi, altamente drammatica. Lo Stato di Israele fu fondato nel 1948. Tale Nazione non è stata mai riconosciuta dai paesi arabi, tanto è vero che nel ‘67 scoppiò la “guerra dei sei giorni”, tramite la quale, soprattutto grazie a un effetto sorpresa iniziale, Israele respinse la Lega Araba (nazioni, cioè, confinanti, di Egitto, Siria e Giordania). Israele, acquisendo consapevolezza della propria forza, esercitò sempre più pressioni sul popolo limitrofo, rendendogli la vita impossibile: violenze di ogni genere su donne e bambini, vessazioni che durano da oltre 70 anni. Atti tali da spingere l’ONU a intervenire, inviando un funzionario a monitorare la Striscia di Gaza e Israele stessa, cosa che quest’ultima non avrebbe in fondo mai accettato, insieme ai moniti a seguire una via politica diversa e più conciliante.
Mi viene spontaneo a questo punto affermare che l’Occidente abbia creato un mostro, sovvenzionando il popolo che tanto aveva sofferto in termini di vero e proprio tentativo di genocidio e dandogli la possibilità di divenire uno stato ricco e potente militarmente.
Essendosi configurato come Stato democratico, quello che sta mettendo in atto da anni, usando violenza e deliberatamente calpestando diritti umani, lo delegittimano né può essere accettato da tutte le democrazie del mondo. Israele ha occupato quasi tutti i territori palestinesi e ha determinato uno stato di guerra permanente. Un errore storico fu commesso quando nel ‘93 la parte moderata di Palestina che si riconosceva in Arafat accettò l’accordo di Oslo, che rappresentava una iniqua divisione dei territori. D’altra parte, un punto bisognava che ci fosse per iniziare a parlare di uno Stato di Palestina. Attualmente i fatti, come esposto e denunciato da intellettuali anche ebrei e giornalisti coraggiosi, risultano, a dir poco, impressionanti e tali da far ribollire le coscienze. I dati rilevati da relatori speciali dell’ONU dimostrano le violenze dai palestinesi subiti, ed è in tale contesto che nasce Hamas.
Quando la fazione moderata di Fatah, nella figura di Arafat, accettò la risoluzione dell’ONU fondata sul principio “due popoli due Stati” (sia pure non uguali per i diversi elementi fondanti), essa tuttavia non riuscì a farla affermare pacificamente per il malcontento crescente da entrambe le parti degli schieramenti, soprattutto dei palestinesi, così che Hamas avrebbe avuto la sua vittoria e si sarebbe imposta, con gli atti violenti che l’avrebbero caratterizzata, non solo verso Israele, ma anche contro coloro, fra i palestinesi, non in linea con la sua ideologia politica, tanto da venire paragonata al gruppo terroristico di Hezbollah.
Quest’ultimo, che alla lettera significa “Partito di Dio”, è un’organizzazione paramilitare radicale libanese nata nel 1982 e divenuta un partito politico, mentre Hamas è nata per liberare la Palestina dall’oppressione di Israele, distruggendo questo Stato. I territori palestinesi occupati (OPT) erano la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. La Cisgiordania oggi è divisa in tre parti e la zona più fertile la occupa Israele, mentre la Striscia di Gaza è una prigione a cielo aperto, delimitata da una recinzione con sei dei sette accessi controllati da Israele: un individuo può entrare e uscire solo con un visto e circondato da soldati, che sparano a tutti coloro che decidano di uccidere. Si tratta, in questa condizione drammatica, di militari che spesso hanno fatto dell’odio una ragione di vita. La nostra giurista Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU, susseguita a molti altri nell’incarico di monitorare la Striscia di Gaza, ha portato a conoscenza tutto quello che in tale area succede giorno per giorno, relazionando con imparzialità anche sull’operato di Hamas. Ciò che si apprende dà i brividi.
Tale la ferocia emersa, da mettere in forse i princìpi di base che dovrebbero distinguere umanità da ferinità. La violenza si è ulteriormente inasprita dal 7 ottobre dell’anno appena trascorso, quando Hamas ha compiuto vigliaccamente e a tradimento un feroce attentato contro giovani ebrei israeliani che stavano festeggiando la Simchat Torah e lo Shabbat, non risparmiando nemmeno i bambini. Immagini che hanno scioccato il mondo e sconvolto la nostra coscienza. Si sarebbero contati oltre un migliaio di morti, di cui più di trenta bambini. La reazione di Israele non si è fatta attendere ed è stata, ed è tuttora, una risposta sanguinosa e violenta che ha superato Hamas in numero di vittime.
Per non dire delle violenze quotidiane perpetrate su donne e bambini palestinesi, distruzione delle fonti di nutrimento e riduzione drastica dell’approvvigionamento idrico per ogni singola persona. La Striscia di Gaza è un territorio piccolo, di circa 360 chilometri quadrati, ma fittamente popolato, per cui ogni attacco mosso da Israele produce una strage. Ci dicono che 400 bambini con meno di un anno di età hanno subito amputazione di una gamba senza anestesia e che ogni giorno donne e minori patiscono violenza e vengono presi a sassate nel recarsi a scuola. I continui bombardamenti hanno distrutto un ospedale a nord della Striscia di Gaza e ucciso medici; altri sono stati rapiti. Bombardata e distrutta anche la loro moschea, il centro di culto che raccoglieva più di 1000 persone. I palestinesi si sono dovuti spostare verso sud, dove sorge un ospedale, che pure ha subito bombardamenti, con la conseguente distruzione dell’ultimo piano, e dove i medici, già in numero ridotto, lavorano 24 ore su 24 senza sosta.
Mentre sto scrivendo, ascolto che sono stati attaccati palestinesi in fila per ricevere alimenti che gli aiuti umanitari stavano distribuendo. Ennesimo atto deplorevole, senza il benché minimo rispetto né qualsiasi elemento di umanità verso chi soffre. Ma lo scandalo più grave consiste nel fatto che le democrazie del mondo legittimano questo genocidio, il quale, ripeto, dura da decine di anni.
Vorrei rivolgermi al Presidente di Israele nella persona di Netanyahu, chiedendogli di riflettere su tutto quanto sta perpetrando a Gaza. Egli non può affermare che non esiste un popolo palestinese e che mai ci sarà uno Stato di Palestina.
Affermazione grave, questa sua, che dovrebbe scuotere l’intero mondo occidentale, America compresa, la quale ha dato vita alla NATO dopo la Seconda guerra mondiale proprio al fine di tutelare il rispetto dei diritti umani.
Signor Presidente, voglio ricordare che la violenza crea violenza e che proprio essa ha generato Hamas, una organizzazione terroristica non espressione di tutto il popolo palestinese; che la matrice dell’attentato del 7 ottobre non è l’antisemitismo diffuso, bensì la sofferenza di questo popolo per le continue vessazioni subite nel corso di decenni. Neppure la denuncia che il Sudafrica ha sottoposto al Tribunale internazionale dell’Aia per i crimini commessi da Israele contro l’umanità vi distoglie dal perseguire ancora la strada della violenza!
La pace è la meta fondamentale che l’umanità deve necessariamente raggiungere. Verso di essa ha teso l’intera dottrina della non-violenza predicata da Mahatma Gandhi. E che dire di Nelson Mandela, che in una delle sue esternazioni affermò che il Sudafrica non sarebbe mai stato libero dall’apartheid se Israele non si fosse ritirata dai territori palestinesi occupati? Vale sempre la pena seguire chi ha dimostrato con l’esempio della propria vita che esiste la possibilità di percorrere una strada diversa da quella della violenza.
Oppure basterebbe volgere lo sguardo verso il cielo e osservare gli uccelli migratori che, uniti in stormi, sorvolano, a seconda delle stagioni, continenti e nazioni senza problemi, perché essi non vedono confini. Se anche noi considerassimo confini solo quelli nella nostra mente, come segnali da rispettare e da non superare, quali garanzia per la nostra e altrui libertà – dell’altro individuo, dell’altra nazione – il globo sarebbe di fatto unito e generosamente percorribile e fruibile senza preclusioni, pregiudizi, barriere.
E ancora simile accorato appello voglio rivolgere a tutti coloro che usano la forza e la violenza per guadagnare qualche metro di terra, a tutti quanti pensano di avere ragioni valide per legittimare la decisione che uno Stato possa essere conquistato, cancellato, affinché si fermino a riflettere, per compiere quindi un passo indietro, mostrando a tutti che alberga anche in loro una parte meravigliosamente straordinaria da scoprire, e che solo creando ponti di collaborazione tra Stati si può intraprendere una nuova strada che porti la pace in tutto il mondo.
Ma, come dicevo, in modo speciale, per il ruolo speciale che lo contraddistingue, il mio pensiero è diretto al Presidente dello Stato di Israele, in quanto nato, tale Stato, come democratico. Si impegni egli a incarnare e anzi sublimare il rispetto dei valori che una democrazia rappresenta. E per ogni ebreo morto per mano dell’odio razziale o del calcolo strategico, per ogni individuo che abbia rischiato la propria vita per salvare milioni di ebrei, per tutti quei paesi democratici occidentali che hanno contribuito a rendere Israele lo Stato ricco e potente di oggi, voglia dimostrare che Israele sa rispettare i valori democratici e porre fine a questa catena di odio e sangue che svilisce il sistema politico abbracciato e i principi sacrosanti alla base del vivere civile.
Sappia dunque riconoscere la necessità che esista uno Stato di Palestina, per una pace duratura e un equilibrio geopolitico mondiale!
di Anna Lucia Miragliuolo