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Non abituarsi al peggio

C’è chi lotta contro l’assuefazione al male che sembra imbattibile e che contrasta le ragioni di uno scetticismo e di un pessimismo striscianti

“Abituarsi al peggio è la cosa peggiore che un essere umano può fare”. La frase è nella presentazione di un film su un piccolo borgo di montagna che, come molti altri, rischia l’abbandono e quindi l’estinzione. Nelle pagine di giornale avvolte dal fuoco e dal fumo delle guerre e del terrorismo appare un angolo di resistenza e di esistenza.

C’è chi lotta contro l’assuefazione al male che sembra imbattibile e che contrasta le ragioni di uno scetticismo e di un pessimismo striscianti.

È il caso del film di Riccardo Milani ambientato a Pescasseroli in Abruzzo dal titolo “Un mondo a parte” che racconta di un maestro di montagna e della sua classe inclusiva.  Nell’anteprima apparsa in questi giorni ci sono pensieri che sembrano perdenti rispetto alla forza del male.

Il racconto si snoda in un piccolo paese abruzzese dove un avamposto di civiltà mette in atto una forma di resistenza culturale contro un nemico fatto di indifferenza e rassegnazione come è quello di chi vorrebbe chiudere una scuola perché mancano studenti italiani mentre su quel territorio ci sono i figli di immigrati africani e i bambini ucraini in fuga dalla guerra.

L’ identità culturale non è autoreferenzialità che si chiude per difendersi, ma è il frutto buono della lettura e della visione di una comunità plurale, una identità comunicante che non mina il valore di un territorio, ma lo rende più saldo e generativo.

Il film lo conferma raccontando appunto di una comunità che legge i segni dei tempi e mette in atto una forma di resistenza culturale alla decisione di chiudere un bene di prima necessità.

“L’integrazione – dice il regista Milani – diventa inevitabile senza il bisogno di politica e di ideologie, con la concretezza e la semplicità. La vicenda mostra che l’ostilità non è il primo parametro su cui ragionare”.

Come non preoccuparsi per le sorti di una politica se una piccola comunità non la sente né capace né desiderosa di trovare soluzioni alle crisi, che la vede smarrita nella complessità, che la scopre sorda alle attese delle nuovissime generazioni?

Antonio Albanese e Virginia Raffaele sono i due attori protagonisti ma i bambini sono “i veri mattatori dell’opera”, sono loro i visionari dagli occhi limpidi, sono loro che disegnano tracce di futuro.

Pensare di cambiare il mondo con un film è un’utopia ma è importante per tenere gli occhi aperti sul mondo, sulla storia, sull’umanità. Per fare resistenza culturale all’avanzare del nulla e del male. Commenta Albanese: “Non amo il cinema estetico così come non amo i social, non per snobismo, ma perché mi piace fermarmi e riflettere”.  Fermarsi e riflettere per non abituarsi al peggio.

di Paolo Bustaffa – Sir

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