Commento al Vangelo Gv 20,19-31
“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!»”. Le porte chiuse: Credo che non ci sia definizione più bella di Misericordia se non questa annotazione del Vangelo di Giovanni. Infatti, non di rado, a causa della vita stessa o di nostre cadute, siamo chiusi in ragionamenti, paure, disperazioni, peccati, e non riusciamo a venirne fuori.
Corriamo il rischio non solo di essere rinchiusi nella logica del sepolcro, corriamo il rischio non solo di essere ostaggi di quella tomba vuota che lascia tanti dubbi, ma possiamo rischiare anche di rimanere schiavi della paura, della chiusura, della delusione, delle ferite, dei peccati e del male che sembra avere il sopravvento sulle nostre forze. Ecco allora che entra Lui dentro, nonostante tutto sia sbarrato. Entra e dice: “Pace!”. Prova ad entrare nonostante le sbarre, nonostante i limiti, nonostante tutto egli entra. La prima sua parola da Risorto è “pace”. È una parola guaritrice. Con quella parola Gesù comincia a guarire quella parte di noi che non riesce più ad aprire la porta. Tante parti di noi non sono in pace. Sono in subbuglio. Ci fanno soffrire. Ci fanno stare ancora male.
Tante volte non riesci più ad aprire una porta per via di quella sofferenza, perché hai paura di soffrire di nuovo, perché hai paura di sbagliare di nuovo, perché hai ancora dentro la paura di tornare a rinchiuderti. Quale porta non riesci più ad aprire? Se il Risorto cerca di toccarti in un punto della vita lo fa perché vuole farti capire che ogni ferita può diventare una feritoia. Quando visitavo il castello aragonese ero sempre affascinato da quelle feritoie attraverso le quali non solo potevamo guardare lontano, ma potevamo anche difenderci. Il Risorto ci fa empatizzare con la Sua stessa sofferenza: “Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
Cosa fa Gesù per guarirci dalla sofferenza? Ci fa toccare le sue sofferenze. Lui non vuole spiegare, non vuole dare spiegazioni soltanto, non ci vuole fare una bella lezioncina sul dolore ma ci fa toccare, mettere il dito, cioè, far passare la mano nelle sue ferite. Toccare le ferite di Gesù ci fa guarire dalle nostre! Quanto è vero tutto questo! Quando tocco le ferite degli altri, degli ammalati, esse diventano per me delle feritoie, dei passaggi di luce che guariscono i miei mali, li fanno diventare piccini piccini! Guardare attraverso le feritoie significa guardare la mia vita con misericordia, le mie mancanze con amore. Ma tutto questo a patto di desiderarlo veramente. Perché Gesù può guarire anche la nostra volontà malata, che non riesce a scegliere ciò che è giusto, ciò che conta, ma solo a patto che di fondo ci sia un desiderio struggente di cambiamento, di Lui.
La Misericordia funziona così: il tuo desiderio più l’onnipotenza del Suo Amore. Davanti a quella voglia di Tommaso (il grande credente e non l’incredulo) di uscire dal dolore arriva la risposta del Risorto: “Tommaso vieni, so che hai molto sofferto, so che sei stato molto turbato da quello che è successo, so che hai provato un dolore straziante; anch’io ho sofferto, guarda!”. Davanti a quella condivisione del dolore, davanti al superamento del dolore, davanti a quella leggerezza, davanti a quella attenzione per cui Gesù viene apposta per Tommaso, Tommaso si scioglie, Tommaso si arrende, depone le armi per far la più grande professione di fede che troviamo in tutti e quattro i vangeli: “Mio Signore e mio Dio!”.
Guarda te, mai nessuno è arrivato fino a lì! Si, sapevano che Gesù era un grande rabbino, un grande maestro, il più grande tra i profeti, ma proclamarlo figlio di Dio, Kyrios, era qualcosa di diverso; e solo Tommaso ci riesce, altro che incredulo, è un grandissimo credente! Insisto molto sul fatto che dobbiamo stare attenti a non tradire il Vangelo rimanendo tutti concentrati e fermi al Venerdì Santo; però è emozionante e lo dico soprattutto ai fratelli e alle sorelle fra noi che vivono un dolore immenso, che addirittura attraverso le piaghe, attraverso questo dolore condiviso possiamo riconoscere Gesù che si presenta alla porta della nostra vita e ci incoraggia! A quanti in questi giorni si chiedono dov’è Dio, non posso che dire: leggi questo brano!
Quando siamo sfiniti, stanchi, sfiduciati ma abbiamo il coraggio di rimanere, di insistere, di essere fedeli, arriva il Signore che ci dice: “Guarda anch’io ho sofferto con te! Anch’io sto soffrendo!”. Dio sta condividendo il dolore, è nei nostri letti di ospedale, è nel volto di quelli che si stanno rimboccando le maniche prestando soccorso in tanti modi, è nei corpi e nelle anime di coloro che ci permettono di mangiare, di non accumulare l’immondizia, di mantenere questa connessione online per accendere la luce del Risorto in questa oscurità. Gesù è qui con noi, è il risorto che in questo suo gesto di vicinanza, in questo suo corpo trafitto continua a darci speranza. Buona domenica!
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Empatizziamo con le piaghe di Gesù
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“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!»”. Le porte chiuse: Credo che non ci sia definizione più bella di Misericordia se non questa annotazione del Vangelo di Giovanni. Infatti, non di rado, a causa della vita stessa o di nostre cadute, siamo chiusi in ragionamenti, paure, disperazioni, peccati, e non riusciamo a venirne fuori.
Corriamo il rischio non solo di essere rinchiusi nella logica del sepolcro, corriamo il rischio non solo di essere ostaggi di quella tomba vuota che lascia tanti dubbi, ma possiamo rischiare anche di rimanere schiavi della paura, della chiusura, della delusione, delle ferite, dei peccati e del male che sembra avere il sopravvento sulle nostre forze. Ecco allora che entra Lui dentro, nonostante tutto sia sbarrato. Entra e dice: “Pace!”. Prova ad entrare nonostante le sbarre, nonostante i limiti, nonostante tutto egli entra. La prima sua parola da Risorto è “pace”. È una parola guaritrice. Con quella parola Gesù comincia a guarire quella parte di noi che non riesce più ad aprire la porta. Tante parti di noi non sono in pace. Sono in subbuglio. Ci fanno soffrire. Ci fanno stare ancora male.
Tante volte non riesci più ad aprire una porta per via di quella sofferenza, perché hai paura di soffrire di nuovo, perché hai paura di sbagliare di nuovo, perché hai ancora dentro la paura di tornare a rinchiuderti. Quale porta non riesci più ad aprire? Se il Risorto cerca di toccarti in un punto della vita lo fa perché vuole farti capire che ogni ferita può diventare una feritoia. Quando visitavo il castello aragonese ero sempre affascinato da quelle feritoie attraverso le quali non solo potevamo guardare lontano, ma potevamo anche difenderci. Il Risorto ci fa empatizzare con la Sua stessa sofferenza: “Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
Cosa fa Gesù per guarirci dalla sofferenza? Ci fa toccare le sue sofferenze. Lui non vuole spiegare, non vuole dare spiegazioni soltanto, non ci vuole fare una bella lezioncina sul dolore ma ci fa toccare, mettere il dito, cioè, far passare la mano nelle sue ferite. Toccare le ferite di Gesù ci fa guarire dalle nostre! Quanto è vero tutto questo! Quando tocco le ferite degli altri, degli ammalati, esse diventano per me delle feritoie, dei passaggi di luce che guariscono i miei mali, li fanno diventare piccini piccini! Guardare attraverso le feritoie significa guardare la mia vita con misericordia, le mie mancanze con amore. Ma tutto questo a patto di desiderarlo veramente. Perché Gesù può guarire anche la nostra volontà malata, che non riesce a scegliere ciò che è giusto, ciò che conta, ma solo a patto che di fondo ci sia un desiderio struggente di cambiamento, di Lui.
La Misericordia funziona così: il tuo desiderio più l’onnipotenza del Suo Amore. Davanti a quella voglia di Tommaso (il grande credente e non l’incredulo) di uscire dal dolore arriva la risposta del Risorto: “Tommaso vieni, so che hai molto sofferto, so che sei stato molto turbato da quello che è successo, so che hai provato un dolore straziante; anch’io ho sofferto, guarda!”. Davanti a quella condivisione del dolore, davanti al superamento del dolore, davanti a quella leggerezza, davanti a quella attenzione per cui Gesù viene apposta per Tommaso, Tommaso si scioglie, Tommaso si arrende, depone le armi per far la più grande professione di fede che troviamo in tutti e quattro i vangeli: “Mio Signore e mio Dio!”.
Guarda te, mai nessuno è arrivato fino a lì! Si, sapevano che Gesù era un grande rabbino, un grande maestro, il più grande tra i profeti, ma proclamarlo figlio di Dio, Kyrios, era qualcosa di diverso; e solo Tommaso ci riesce, altro che incredulo, è un grandissimo credente! Insisto molto sul fatto che dobbiamo stare attenti a non tradire il Vangelo rimanendo tutti concentrati e fermi al Venerdì Santo; però è emozionante e lo dico soprattutto ai fratelli e alle sorelle fra noi che vivono un dolore immenso, che addirittura attraverso le piaghe, attraverso questo dolore condiviso possiamo riconoscere Gesù che si presenta alla porta della nostra vita e ci incoraggia! A quanti in questi giorni si chiedono dov’è Dio, non posso che dire: leggi questo brano!
Quando siamo sfiniti, stanchi, sfiduciati ma abbiamo il coraggio di rimanere, di insistere, di essere fedeli, arriva il Signore che ci dice: “Guarda anch’io ho sofferto con te! Anch’io sto soffrendo!”. Dio sta condividendo il dolore, è nei nostri letti di ospedale, è nel volto di quelli che si stanno rimboccando le maniche prestando soccorso in tanti modi, è nei corpi e nelle anime di coloro che ci permettono di mangiare, di non accumulare l’immondizia, di mantenere questa connessione online per accendere la luce del Risorto in questa oscurità. Gesù è qui con noi, è il risorto che in questo suo gesto di vicinanza, in questo suo corpo trafitto continua a darci speranza. Buona domenica!
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Don Cristian Solmonese
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