Si è aperto lunedì 6 maggio a Sacrofano (Roma) il Convegno nazionale di pastorale giovanile. Il responsabile del Servizio nazionale don Pincerato: «Ai ragazzi servono testimoni capaci di superare i recinti»
Il messaggio è chiaro: dare un futuro ai giovani non significa consegnare loro un “pacchetto” o un progetto già confezionato, ma scoprire assieme a loro il cammino che li attende. Al loro fianco, con tutti gli strumenti fondamentali dell’azione educativa, a partire dall’ascolto: dei giovani stessi, del territorio, di tutti coloro che incrociano il loro cammino, anche fuori dagli “steccati” delle tradizionali strutture pastorali. Don Riccardo Pincerato, dallo scorso autunno alla guida del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, indica in questo stile il cuore e l’orizzonte entro cui si colloca il Convegno nazionale di pastorale giovanile, che si è aperto lunedì 6 alla Fraterna Domus di Sacrofano, fuori Roma, alla presenza di 500 tra incaricati e collaboratori degli uffici e dei servizi di pastorale giovanile delle diocesi, delle regioni, delle congregazioni religiose e delle aggregazioni laicali italiane.
Un tema, una provocazione
Al centro dei lavori c’è un tema «Domine, quo vadis», che contiene una chiara provocazione: «È un chiaro invito a non “fuggire” dal complesso e delicato compito di accompagnare i giovani», spiega in sintesi don Pincerato. Il riferimento è all’episodio – narrato negli Atti apocrifi – di Pietro che fugge da Roma per allontanarsi dalla persecuzione, ma incontra Gesù e gli chiede «Signore dove vai?», e lui gli risponde che va a Roma a farsi crocifiggere di nuovo. Così Pietro capisce che è a Roma che troverà il Signore, lì lo porta la sua strada. «Anche noi spesso davanti alla complicata realtà giovanile abbiamo la tentazione di fuggire – spiega Pincerato – e invece la domanda che dobbiamo porci, da educatori e accompagnatori che hanno come mandato anche la trasmissione del Vangelo, dove i giovani oggi trovano Cristo nelle loro vite. Dobbiamo chiedere: “Signore ma tu oggi dove sei per loro?”».
Ed ecco il primo compito che attende i responsabili, gli incaricati e i collaboratori della Pastorale giovanile che sono al lavoro a Sacrofano: «Cercare di scoprire nella realtà in cui vivono e operano tutti quei luoghi (intensi anche come esperienze e realtà vive), che possono offrire risorse, spazi di crescita e di sostegno per l’attività di chi si prende cura dei giovani».
Quattro parole, uno stile
Al centro della discussione di Sacrofano ci sono quattro parole, che portano in gioco quattro dimensioni fondamentali: cura, comunità, adultità e comunione. «Le prime tre parole – spiega ancora il responsabile del Servizio nazionale – sono le colonne portanti di quella attenzione e intenzione educativa che è alla base del nostro impegno, non solo della Pastorale giovanile, ma di tutta la Chiesa. Tutte e tre si tengono insieme, perché la cura educativa appartiene agli adulti che si mettono in gioco, cercando di stare davanti e a fianco ai giovani con le loro domande, senza paura, e con la consapevolezza che in questa missione nessuno può farcela da solo: c’è bisogno di una comunità, cioè di una rete di soggetti che condividono questa attenzione». E il “paradigma” di tutto questo, aggiunge Pincerato, è proprio lo stile della comunione: «È prima di tutto l’esperienza della comunione che sta in Dio, che è Trinità, e che genera comunione tra gli uomini e le donne».
Proprio da questa attenzione è nata l’idea che ha portato a inserire nel programma alcuni elementi fondamentali. Come quello molto particolare del momento interreligioso di spiritualità. Ma anche il coinvolgimento, con loro stand e incaricati, degli altri Uffici della Conferenza episcopale che si occupano di ambiti in qualche modo legati ai percorsi dei giovani: quello del dialogo ecumenico e religioso, appunto, ma anche quello delle vocazioni, della formazione e della scuola, del lavoro.
Centinaia di voci, ognuna preziosa
Anche la ricca parte laboratoriale ha un intento ben preciso: «Saranno momenti preziosi – nota don Pincerato – per ascoltare e raccogliere il contributo di ogni partecipante. Tutto ciò che emergerà dai laboratori sarà raccolto dai facilitatori e contribuirà a definire i cammini futuri. E lo scopo è offrire ai giovani percorsi di appartenenza e non di dipendenza, capaci, cioè, di entrare in dialogo con le loro esperienze di vita. Solo così, nota ancora il responsabile nazionale, «è possibile riempire le strutture che la Chiesa ha creato con testimoni credibili che le rendano significative per i giovani anche nel delicato compito di trasmettere la fede». Tutto questo, dice ancora don Pincerato, dovrebbe accompagnarsi sempre con «spazi di rilettura delle esperienze offerte, del vissuto». D’altra parte, aggiunge il sacerdote, le ultime ricerche dimostrano che «anche se si allontanano dalla Chiesa i giovani rimangono alla ricerca di un’esperienza spirituale».
Una missione che supera le divisioni
Occasione particolare, che rappresenta un vero e proprio valore aggiunto di questo Convegno, sarà, come detto, il momento di spiritualità interreligioso. «Al cuore della serata assieme alle altre fedi – nota don Pincerato – ci sarà un tema che nasce proprio dalla volontà di dare una forma concreta all’esperienza della comunione tra esseri umani e cioè “umanizzare l’umano” per presentarci davanti ai giovani, tutti i giovani, come una rete di testimoni guidati e sostenuti proprio dal paradigma della comunione». Dopo un primo momento comune, ogni denominazione avrà un proprio spazio di preghiera aperto a chiunque voglia partecipare e i cristiani delle diverse confessioni lo vivranno assieme, offrendo quindi una testimonianza ecumenica.
Il dato significativo è che i rappresentanti delle altre religioni non saranno presenti a nome proprio ma sono inviati ufficialmente dalle loro comunità religiose di appartenenza. Insieme, quindi, cristiani, musulmani, ebrei, buddisti, Soka Gakkai saranno lì per questo momento di spiritualità, ma, nota don Pincerato, di fatto si tratta dell’inizio di un percorso condiviso, un tavolo di lavoro, che poi proseguirà: «Proprio nello stile di una comunione capace di superare recinti e steccati per mettere al centro la cura delle nuove generazioni».
di Matteo Liut