Quella musica all’epoca così rivoluzionaria è cantata e suonata in ogni parte del mondo e l’Inno alla gioia è divenuto l’inno dell’Unione europea
Le carrozze arrivano, una dopo l’altra, davanti all’ingresso del teatro. Nobili e rappresentanti dell’alta borghesia scendono senza dilungarsi troppo. I vicoli attorno al teatro, infatti, sono stretti e per questo bisogna rispettare le “norme di parcheggio” emanate per i veicoli a cavallo di quanti assistevano a una rappresentazione.
Inizialmente il concerto non doveva tenersi a Vienna. E nemmeno al Kärntnertortheater, il Teatro di Porta Carinzia. La prima mondiale di quell’opera, sintesi di oltre vent’anni di riflessioni, studio e di lavoro, sarebbe dovuta andare in scena nei teatri di corte di Berlino. Così aveva pensato il suo compositore, che – come era consuetudine in quegli anni in cui non esistevano ancora orchestre sinfoniche stabili – oltre a scrivere la partitura, doveva provvedere anche a trovare i musicisti che eseguissero le sue musiche e organizzare in toto la prima esecuzione.
È il 1817 quando la Società Filarmonica di Londra commissiona a Ludwig van Beethoven la sinfonia n. 9, che in un primo momento doveva chiamarsi “Allemande” (Tedesca). La composizione ha visto la luce tra l’autunno del 1823 e il febbraio 1824.
Beethoven non desiderava fare la prima a Vienna, allarmato dalla “diffusa decadenza” nella vita musicale della capitale austriaca. Per questo si era rivolto al conte Carl Friedrich Moritz Paul von Brühl, intendente dei teatri di corte di Berlino. La voce che Berlino era davvero interessata ad ospitare la prima della Nona arriva a Vienna, dove una trentina di “amici della musica” firmano una petizione, che consegnano a Beethoven il 26 febbraio 1824 e in cui gli chiedono di tenere la prima esecuzione nella capitale austriaca. Lusingato, Beethoven accetta e inizia così a incontrarsi con un gruppo di amici e consiglieri per organizzare il concerto. Beethoven inizia quindi a cercare una sala, ma contrasti con alcuni musicisti e problemi di natura economica fanno sfumare varie possibilità. Solo attorno al 20 aprile Schindler inizia allora a prendere contatti con il direttore del Kärntnertortheater, il Teatro di Porta Carinzia.
La “Grande Accademia” di Ludwig van Beethoven inizia a provare: il 28 aprile si riunisce il coro e il 5 maggio è la volta dell’orchestra. Per interpretare le parti di soprano e contralto Beethoven chiama due giovanissimi talenti: la diciottenne Henriette Sontag, e il contralto ventunenne viennese Caroline Unger.
La sera del 7 maggio 1824 il sipario di alza puntuale alle 19. Sul palco a dirigere ufficialmente la mastodontica formazione orchestrale e il coro è il maestro di cappella del teatro, Michael Umlauf. Come si legge sulla locandina anche Beethoven è sul palco. Ma da alcuni anni è completamente sordo e questo gli impedisce, di fatto, di guidare musicisti e cantanti nell’esecuzione di quella musica che lui aveva pensato e scritto, ascoltandola in ogni suo accordo e in ogni sua variazione, seppur nel silenzio più totale.
All’inizio di ciascuna parte Beethoven, che è seduto al lato del palco e che riesce a percepire tattilmente le vibrazioni di risonanza dei registri bassi e del ritmo generale, scandisce i diversi tempi e volta le pagine della corposa partitura – 404 pagine manoscritte! – battendo il tempo per un’orchestra che non poteva udire.
Benché coro e orchestra avessero provato insieme solo due volte, il concerto riscuote un grande successo di pubblico. La serata si apre con altri brani del compositore: l’Ouverture “Die Weihe des Hauses” (La consacrazione della casa), scritta nel settembre del 1822 per la Prima del Theater in der Josefstadt di Vienna, e tre parti della Missa Solemnis (il Kyrie, il Credo e l’Agnus Dei), fresca di composizione.
È quindi la volta della Nona Sinfonia, la “Corale”, il suo capolavoro, 70 minuti di musica in cui Beethoven ridisegna il linguaggio compositivo di allora, unendo armonicamente generi musicali diversi e mettendo così in crisi tutto quello che era il concetto di musica sinfonica di allora. Una vera rivoluzione, che viene accolta dal pubblico con applausi a scena aperta e cinque standing ovation. Non solo. Oltre agli applausi, che non poteva sentire, il pubblico gli tributa anche un gioioso e accorato sventolio di fazzoletti bianchi.
Travolgente l’ultimo tempo, composto sull’inno di Friedrich Schiller “An die Freude – Alla Gioia”, il brano forse più noto ancora oggi di Beethoven, una melodia estremamente semplice, che il compositore trasforma in una cattedrale di suoni senza tempo.
“O amici, non questi suoni! Ma intoniamone altri più piacevoli e gioiosi”.
Sono trascorsi 200 anni da quel 7 maggio 1824 e quella musica, all’epoca così rivoluzionaria, è cantata e suonata in ogni parte del mondo. L’Inno alla gioia è divenuto l’inno dell’Unione europea.
Non solo. Da quella serata, in cui la musica ha raggiunto livelli mai raggiunti prima, nasce una delle realtà musicali che tutti, almeno una volta, hanno ascoltato a Capodanno se non dal vivo almeno in televisione. “Sapevate – si legge sulla pagina Fb dei Wiener Philarmoniker – che la Nona Sinfonia fu anche fonte di ispirazione per la fondazione della Filarmonica di Vienna? Alcuni musicisti che suonarono alla prima organizzata dal compositore al Kärntnertheater divennero in seguito membri fondatori della Filarmonica di Vienna”.
E in omaggio a Beethoven, i Wiener Philarmoniker hanno allestito una mostra in cui è possibile ammirare, fino agli inizi di luglio, il manoscritto – in particolare brani del corale finale – della Nona Sinfonia. Chi non ha la possibilità di andare a Vienna, può vedere un assaggio della mostra sulla pagina Fb della Filarmonica.
di Irene Argentiero – Sir