Le campagne elettorali per il parlamento europeo sono entrate nel vivo e i deepfake sono arrivati anche da noi. Occorre una regolamentazione più stringente su questo tema per evitare disinformazione.
Dall’avvento dell’intelligenza artificiale generativa di immagini, in tanti abbiamo temuto che questa tecnologia prima o poi sarebbe stata utilizzata ampiamente nelle campagne elettorali per indirizzare l’opinione pubblica.
Con l’avvicinarsi delle elezioni, questo timore è divenuto reale, e occorre munirsi di strumenti e di un po’ di pazienza per capire se ci troviamo di fronte a un’informazione reale oppure generata artificialmente.
Gli uffici di marketing dei movimenti politici stanno ampiamente utilizzando questa tecnologia non solo per generare messaggi più accattivanti o per abbattere i tempi di produzione, ma anche per spingere l’opinione pubblica a vedere cose che non sono mai accadute. Tutto questo in barba all’obbligo di dichiarare se il contenuto è stato generato con l’aiuto dell’IA.
Gli esempi più eclatanti dell’uso massiccio di IA nelle campagne politiche provengono forse dall’India, dove i candidati hanno letteralmente fatto rivivere personaggi del cinema scomparsi, a sostegno dei candidati alle elezioni generali indiane.
In attesa che l’AI Act in Europa venga emanato definitivamente – avrà però efficacia solo nelle prossime elezioni – le piattaforme social corrono ai ripari cercando in qualche modo di vagliare il materiale pubblicato, oppure etichettandolo come contenuto generato artificialmente. Tuttavia questi strumenti basati anch’essi sull’IA, dovendo analizzare una grandissima quantità di informazioni, rischiano di mettere sotto censura anche materiale originale e creato da umani.
La stessa UE sta mettendo in campo tutte le forze per limitare tentativi di interferenza nelle elezioni e nei processi democratici da parte di attori stranieri, in particolare modo in questo periodo di tensioni geopolitiche.
Google dal canto suo, insieme all’ European Digital Media Observatory lancia una campagna pubblicitaria sulla disinformazione per aiutare i cittadini europei a capirne gli effetti e come contrastarla.
Come capire quindi se ci troviamo di fronte ad una “disinformazione”?
Una delle principali tecniche utilizzate è quella di diffondere notizie fuorvianti e senza fondamento insieme a fatti accaduti, in modo che il pubblico abbia le idee confuse su quanto è realmente accaduto sulla vicenda.
L’altra è quella del “capro espiatorio” o polarizzazione per indicare chiaramente chi o cosa incolpare per una determinata situazione spiacevole, senza per altro lasciare la libertà di cercare altre soluzioni, magari migliori.
Infine c’è lo screditamento: una particolare figura pubblica viene attaccata per quel che succede al di fuori della scena pubblica o nella sua vita privata, per generare risentimento nei suoi confronti, tralasciando che magari è uno dei migliori del suo settore.
Forse ci troviamo di fronte ad uno dei momenti più difficili per il Parlamento Europeo: i conflitti in Ucraina e Medioriente unito alla necessità di un’elezione hanno reso l’Organo politico più vulnerabile a manipolazioni anche da parte di piccoli gruppi con interessi specifici.
L’Italia con le sue regolamentazioni superate, ancora non è preparata a difendere il cittadino con scarsa conoscenza del mondo digitale e quindi più soggetto a manipolazione da parte dei media.
Come dicevo in introduzione di questo articolo, occorre munirsi di pazienza e riflettere sull’informazione che ci viene proposta, verificare che la fonte sia attendibile, che anche altre fonti attendibili confermino l’informazione e infine, se ci troviamo davanti una “disinformazione”, non contribuire alla sua diffusione.
Per chi volesse approfondire il tema della disinformazione, può farlo ai seguenti link:
https://prebunking.withgoogle.com/eu-prebunking