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Le “vite in frantumi” dei nuovi poveri

Storie di esclusione sociale e di ordinario disagio in un sistema che si fonda su uno schiavismo ormai legalizzato

Mentre avanzano inesorabilmente i numeri della povertà nel nostro Paese (in Italia, nel 2023, le famiglie in povertà assoluta si attestano intorno all’8,5% del totale delle famiglie residenti – erano l’ 8,3% nel 2022 – corrispondenti a circa 5,7 milioni di individui in povertà assoluta, ovvero il 9,8% della popolazione, quota pressoché stabile rispetto al 9,7% del 2022) mi ha destato più d’una profonda riflessione la recente lettura d’un libro, “Antologia degli sconfitti” di Niccolò Zancan, pubblicato da Einaudi.

Un libro che parla di esistenze che si muovono su d’una sorta di piano inclinato, quello dell’attuale società che tende ad emarginare più che ad includere, a far scivolare lentamente verso il baratro anche persone che, fino a ieri, avevano una esistenza normale.

Quando manca qualsivoglia prospettiva, quando vengono meno le certezze, quando il futuro rappresenta solo una grande incognita, resta solo il presente nel quale si sprofonda quasi fosse un abisso.

L’affitto (oppure il rateo del mutuo) da pagare, le bollette delle utenze, la parcella del dentista da saldare, una famiglia da mandare avanti, l’auto da riparare sembrano routine quotidiana ma, in realtà, cristallizzano la dimensione del presente.

Vite declinante, senza riparo alcuno! C’è chi è riuscito a salvarsi (almeno per ora) e chi non ce l’ha fatta, ed il libro in questione illustra le vicende di questa seconda categoria. 

Ci sono storie paradigmatiche: l’aspirante giornalista pagato 3,30 euro lordi a cartella; la barista di Portofino il cui stipendio mensile vale 340 bottigliette d’acqua, quelle stesse che proprio lei porta in tavola; la casalinga che fruga nell’immondizia del mercato di Porta Palazzo; il dipendente del supermercato licenziato in tronco perché – per mero bisogno – sottrae sei uova e una scamorza dagli scaffali. E ancora padri separati, cassaintegrati, prostitute, migranti, raiders.

In un tempo in cui conta soltanto chi vince, e la vittoria consiste nell’arricchimento e nella notorietà, tutti gli altri perdono. E perdono anche il diritto alla soddisfazione, alla bellezza, alla pace. È saltato il paradigma che sorreggeva il secolo scorso. 

Più che del linguaggio burocratico della politica, dei servizi sociali e dei tribunali avremmo oggigiorno bisogno di nuove parole per tentare di comprendere un sistema disumano, basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che si fonda su uno schiavismo legalizzato che ha via via contagiato tutti i gangli della produttività.

Ne sono corresponsabili, in Italia, la crescente precarietà del mercato del lavoro, i bassi tassi di occupazione femminile, la frammentazione e l’eterogeneità del sistema di protezione sociale, la scarsa e diseguale disponibilità di servizi di Conciliazione famiglia–lavoro, le forti differenze territoriali. Un quadro reso ancora più difficile dalle due crisi che hanno caratterizzato i primi vent’anni di questo secolo, quella finanziaria del 2008 e quella pandemica del 2020. In assenza di politiche che agiscano sull’intero complesso di questi fattori, il solo aumento dell’occupazione non è sufficiente ai fini di una riduzione della povertà. Carità e povertà: simul stabunt, simul cadent, insieme staranno o insieme cadranno. La storia della Chiesa è da sempre legata, a doppio filo, all’incontro con i poveri. Sul fare la carità si sono giocati, per venti secoli, l’organizzazione concreta della Chiesa e della società, l’evangelizzazione, la riforma religiosa, le utopie secolarizzate di un mondo senza sfruttati e senza sfruttatori. Oggi più che mai è da rilanciare con forza l’attenzione verso i meno fortunati, i fragili, gli esclusi, gli emarginati, cercando – almeno da parte delle strutture collegate alla Chiesa Cattolica o a sue espressioni – di evitare di burocratizzare il bisogno, di standardizzare le procedure d’intervento, di dequalificare il personale da destinare all’ascolto dei poveri, pericolose tendenze che – viceversa – stanno prendendo sempre più piede.

di Giancamillo Trani

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