I monaci sono coloro che hanno salvato la viticoltura dell’Europa
Il 7,8 e 9 giugno 2024 l’Abbazia di Fossanova, in provincia di Latina, è stata la cornice della manifestazione “Vini d’Abbazia”, dedicata interamente alla promozione della cultura del vino dei monaci, alla scoperta delle cantine che producono vini di grande qualità. Un week end di assaggi, dibattiti, presentazioni, masterclass, mostre, per mettere sotto i riflettori l’antica sapienza vitivinicola dei monaci.
Il fascino della storia monastica, le atmosfere sacrali e mistiche conquistano anche gli appassionati di vino, che sanno bene che i prodotti che escono dalle abbazie sono di grande qualità, sono realizzati con rispetto del territorio e con grande valorizzazione dei vitigni autoctoni. Una masterclass è stata dedicata ai vini dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, in provincia di Siena. Si è parlato della viticoltura eroica delle Alpi, come quella dell’Abbazia di Novacella, vicino a Bressanone. C’è il monastero femminile cistercense dei Santi Gervasio e Protasio di Vittorio Veneto che produce il Prosecco. Nella cantina dell’Abbazia di Valvisciolo, in provincia di Latina, troviamo vini da uve di Merlot, Malvasia e Trebbiano. A Casamari i Cistercensi sono un faro di spiritualità, cultura, bellezza e sono anche maestri nella produzione di vini bianchi e rossi. Le Trappiste di Vitorchiano hanno la giornata scandita dalla preghiera liturgica e dal lavoro manuale, che comprende la coltivazione degli orti, delle vigne e dei frutteti. Il sostentamento delle monache deriva in gran parte dalla produzione di ottimi vini: con le uve di Trebbiano, Verdicchio e Grechetto producono due grandi vini bianchi, il Coenobium e il Coenobium Ruscum, che prevede la macerazione sulle bucce per almeno 15 giorni. Suscita curiosità ed interesse il Monastero georgiano di Alaverdi, nel cuore di quella che è la più antica zona di produzione del vino. La cantina Badagoni, accanto al Monastero, segue ancora l’antica tecnica di vinificazione nelle anfore di terracotta e i suoi vini hanno conquistato vari premi e riconoscimenti.
Le masterclass hanno valorizzato l’impegno dei monaci nella salvaguardia di vitigni che sarebbero altrimenti andati scomparsi. D’altronde, come hanno raccontato i promotori dell’evento, i monaci sono proprio coloro che hanno salvato la viticoltura dell’Europa. Può sembrare un’affermazione forte ed esagerata, eppure è proprio così, è una verità che non può essere negata. La storia del vino è antichissima, risale al 7000 a.C. in Armenia e Georgia, dove si trovano le tracce più antiche di vinificazione. Dalla Mesopotamia la coltivazione della vigna e la produzione di vino si espandono verso la Palestina, il delta del Nilo, la Grecia e l’Italia che si rivela subito adattissima, tanto che verrà chiamata Enotria, terra del vino. Tutta la cultura antica esalta il valore di questo peculiare prodotto agricolo, cantandolo nelle poesie, mettendolo al centro dei banchetti e dei simposi. Le invasioni delle popolazioni barbariche a partire del V secolo, che calano da Nord e da Est razziando quanto trovano sul loro cammino e causando il crollo dell’Impero romano, rendono la vita contadina precaria e incerta. Gli agricoltori si dedicano quindi alla semina di prodotti che possano dare raccolto a breve termine, con il conseguente abbandono della viticoltura che richiede stabilità e tempo.
Un altro colpo alla coltivazione della vite viene sferrato dall’Islam che a partire dall’VIII secolo dilaga dalla penisola arabica verso il nord Africa, il Medio Oriente e l’Europa, distruggendo le vigne in ossequio al comando Coranico che proibisce il consumo di vino. Inoltre i popoli del Nord, che a poco a poco si insediano in Europa sulle ceneri del mondo antico di cultura romana e mediterranea, prediligono la birra, bevanda fermentata tipica della tradizione nordica e nomade. Per fortuna in quel tempo nasce provvidenzialmente il monachesimo benedettino, vengono fondate comunità stabili ed ordinate che a poco a poco ricostruiscono il tessuto religioso, sociale ed anche economico del nostro continente. Il vino è necessario per la celebrazione della Messa, così come il pane, e gli abati che fondano un monastero si preoccupano per prima cosa di dissodare il terreno, seminare il grano e piantare le vigne. Se gli amanuensi nelle biblioteche hanno diligentemente tramandato la cultura, la filosofia, la letteratura antica, nelle cantine i monaci vignaioli hanno custodito tutta la antica sapienza della vinificazione, la cultura del buon bere e il suo antico simbolismo, che sarebbero andati irrimediabilmente perduti senza il loro prezioso lavoro.
La manifestazione ha avuto un grande successo di pubblico. E’ stata una bella vetrina per la cultura monastica, che è esempio di lavoro, sapienza, abilità vitivinicola, nel rispetto della natura e del territorio, con quella spiritualità e senso della bellezza che non smettono di conquistare chi si accosta al mondo delle comunità cenobitiche.
di Susanna Manzin – Pane&Focolare