Secondo i dati del CONAI, nel 2023 sono state riciclate 10,5 milioni di tonnellate di imballaggi, 4 punti di percentuale in più rispetto all’anno precedente
Alluminio avviato a riciclo per oltre il 73,6% degli imballaggi immessi sul mercato (ovvero 60.200 tonnellate): un traguardo che ha già consentito di superare abbondantemente gli obiettivi comunitari fissati per il 2025 (50%) e il 2030 (60%). il dato è emerso alla conferenza stamani a Roma indetta dal Cial, il Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio, Roma, 15 Settembre 2023. ANSA/US CIAL
L’Italia nel 2023 ha riciclato oltre il 75% dei suoi rifiuti da imballaggio: è quanto certifica il CONAI, il Consorzio Nazionale Imballaggi, con un miglioramento del 4% sull’anno precedente. Parliamo di oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui 418.000 di acciaio, 59.000 di alluminio, e ben 4,67 milioni di carta, 1,16 milioni di legno, 1 milione di plastica e bioplastica e 2 milioni di vetro. Se a questi si aggiungono gli imballaggi bruciati nei termovalorizzatori per produrre energia si arriva all’85%, con il risultato che “solo” il 15% arriva in discarica. Ciò significa che l’Italia ha già raggiunto gli obiettivi posti a livello di Ue per il 2030, fissati al 70% di riciclo degli imballaggi.
Simona Fontana, direttrice generale del CONAI, ha dichiarato a RaiNews che «gli imballaggi sono il 4% dei rifiuti generati in un anno a livello europeo, ma la buona notizia è che è un 4% gestito bene e che può diventare un modello per le altre filiere di materiale» e «se abbiamo ottenuto questo risultati, siamo primi tra i Paesi più popolosi d’Europa, dipende anche dai piccoli gesti quotidiani, come la raccolta differenziata».
Buon traguardo dunque dell’Italia, che non deve però farci dimenticare che gli obiettivi Ue parlano anche di riduzione degli imballaggi, promuovendo l’utilizzo di prodotti sfusi e vietando alcuni tipi di imballaggi (come i monodose per alcuni cibi, o le plastiche per alcuni tipi di frutta e verdura): anche riciclare, infatti, ha un suo impatto ambientale.
La questione è particolarmente controversa nel nostro Paese, che vanta un’industria di produzione di imballaggi in plastica (la cosiddetta “plastic valley” nel Nordovest) particolarmente sviluppata; che, al di là delle ovvie e comprensibili pressioni a livello politico affinché le nuove normative non pregiudichino l’andamento del settore, vanta anche una fiorente attività di ricerca e sviluppo. Questa, si riferisce, consentirebbe di produrre e riciclare ad un impatto ambientale ancora minore rispetto al recupero degli imballaggi usati o agli sprechi che si genererebbero nella vendita sfusa di alcuni prodotti (come le tipologie di frutta e verdura più facilmente deperibili se non imballate). Un dialogo, quello tra industria degli imballaggi e Ue, che ha spesso assunto toni anche accesi, ma che non è ancora terminato.
Città Nuova