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È la mancanza di amore che rende impuro l’uomo

Omelia del Vescovo Carlo nella solenne celebrazione di domenica 1° settembre nell’ambito dei festeggiamenti in onore della Madonna Incoronata di Costantinopoli e di san Giovan Giuseppe della Croce

Dt 4,1-2.6-8; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

“Non illudete voi stessi essendo solo ascoltatori della Parola senza metterla in pratica!”. Prende spunto da queste parole di san Giacomo, contenute nella Seconda Lettura, l’omelia pronunciata dal Vescovo Carlo domenica scorsa, centrata sul concetto di puro e impuro. Il brano della Lettera dell’apostolo Giacomo idealmente continua quanto ascoltato nella Prima Lettura – tratta dal Libro del Deuteronomio -sull’osservanza della legge dettata da Dio al suo popolo. Mosè parla al popolo e raccomanda di osservare le sue leggi “mettendole in pratica”, san Giacomo ribadisce di non illudersi di poter arrivare alla salvezza senza rendere la legge concreta. Entrambe le letture aprono la strada al brano del Vangelo di Marco, nel quale alcuni farisei, osservando i discepoli che si accingevano a mangiare senza avere seguito le norme di purificazione prescritte dalla legge, tentano di mettere Gesù in difficoltà, chiedendogli come mai consentisse tale comportamento. La questione per i farisei è chiara: la tradizione impone il rispetto della legge dettata da Dio a Mosè e la trasgressione è mancanza di rispetto per il Signore. Gesù coglie l’occasione per riportare al suo originario significato la legge e per chiarire quella che è la volontà di Dio.

«Nel Vangelo di oggi Gesù cerca di superare questa distinzione tra puro e impuro, ma soprattutto di far comprendere quale è la volontà di Dio, o, per meglio dire, quale è il criterio per poter discernere e capire».

Il Vescovo Carlo ha contestualizzato il discorso di Gesù descrivendo quella che era la mentalità dei farisei e chiarendo le motivazioni delle loro osservazioni. Le esortazioni di Mosè fatte al popolo di Israele sull’osservanza della legge del Signore avevano, nel corso del tempo, trasformato alcune abitudini tipiche dei sacerdoti – come le abluzioni purificatrici prima di accedere al Tempio – in ferree norme estese a tutto il popolo. Tali norme si erano cristallizzate, ma anche svuotate del loro significato originario, trasformandosi in rituali vuoti e inutili, fini solo a sé stessi o a gratificare la vanità dell’apparire.

«L’Evangelista Marco mette in guardia da una fede che diventa soltanto una osservanza di norme esteriori, che si trasforma quasi in una fede semplicemente “giuridica”, che rispetta delle norme e dei regolamenti».

La vacuità di queste procedure si associa anche alla pericolosa tentazione di trasformare la prassi rituale in segno della volontà di Dio.

Ma è l’apostolo Giacomo che ci guida nella corretta interpretazione della Parola, la quale – ha precisato il Vescovo – non va solo ascoltata, ma messa in pratica. È pura illusione pensare di aver risolto ascoltando, la parola deve penetrare nelle nostre vite e modellarla:

«Questa Parola, una volta accolta nella nostra vita, diventi – come diceva Papa Benedetto – performativa: una Parola cioè che ci muove all’azione, che non può essere neutrale, ma ci fa agire mettendola in pratica».

Fare correttamente la volontà di Dio apre le vie di quella santità che ha ben saputo percorre il nostro patrono San Giovan Giuseppe e anche Maria. Entrambi non solo hanno ascoltato, ma hanno messo in pratica correttamente quanto ascoltato.

È questo il vero senso della purezza e dell’osservanza della legge, la purezza non è osservanza pedissequa di una serie di norme esteriori, essa è interiore e risiede nel cuore. Niente che viene da fuori, ci dice Gesù, rende impuro l’uomo, ma esclusivamente ciò che egli ha dentro:

«Potremmo così sintetizzare: che cos’è che rende impuro l’uomo? Furti, omicidi, calunnia, dice Gesù nel Vangelo, è cioè la mancanza di amore che rende impuro l’uomo».

L’impurità è separazione, mancanza di empatia, incapacità di accogliere l’altro perché lo si considera impuro o indegno. Già il profeta Isaia ammoniva il suo popolo perché trascurava i comandamenti di Dio per osservare le tradizioni degli uomini. In tal modo ci si allontana da Dio quando ci si allontana dagli uomini, quando non si praticano l’accoglienza e la comunione. La parola del Signore deve dunque entrare nei nostri cuori e formarli nella direzione che Cristo ci ha indicato.

«La Parola di Dio non è un ricordo perso nel tempo, la Parola è il Signore stesso che in questo momento ci sta parlando e allora ci chiede questo, stasera in questa celebrazione nel ricordo del nostro santo, amato patrono ci chiama alla santità. Ci chiede che tutto quello che noi viviamo nei riti di questi giorni possa diventare vita».

L’amore che ci chiede il Signore verso il nostro prossimo diventa in tal modo il metro della nostra fede, ma anche la misura del nostro rapporto con Lui. È ciò che ci insegnano san Giovan Giuseppe e la vergine Maria:

«Amiamo il Signore? Vogliamo vivere come Maria, accogliendo la Parola nella nostra vita? vogliamo vivere il cammino verso la santità, così come lo ha vissuto lei e così come ha fatto il nostro patrono? Allora siamo chiamati ad amare Dio e il prossimo così come il Signore ci chiede, perché amare il prossimo significa farlo entrare nella nostra vita, considerarlo puro, vuol dire accoglierlo nella mia esistenza».

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