Il prossimo 20 ottobre la Chiesa avrà 14 nuovi santi, ma tra loro non ci sarà Carlo Acutis, che verrà canonizzato probabilmente nel corso del Giubileo 2025. In questo e nei prossimi appuntamenti del nostro settimanale, vi racconteremo chi sono questi uomini e queste donne che saliranno agli onori degli altari.
Giuseppe Allamano nasce il 21 gennaio 1851 a Castelnuovo d’Asti – oggi chiamato Castelnuovo Don Bosco, comune in provincia di Asti in Piemonte – nel paese natale di s. Giovanni Bosco e dello zio s. Giuseppe Cafasso, fratello della mamma Maria Anna. Rimane orfano di padre a circa tre anni e il giovane Giuseppe segue le orme dello zio santo: «la perla del clero italiano».
Terminate le elementari, entra nell’oratorio salesiano di Valdocco e qui ha come confessore lo stesso Don Bosco. Con la chiamata al sacerdozio entra nel seminario di Torino dove si distingue per la sua mitezza d’animo e per la sua bontà di cuore. Mons. G. B. Ressia dice di lui: «Si sapeva da tutti che il più vicino al Cuore di Gesù, il più amico Suo era l’Allamano, cui nessuno avrebbe osato paragonarsi».
Il 20 settembre 1873 riceve l’ordinazione sacerdotale e inizia a formare i seminaristi, prima come assistente, poi come direttore spirituale. In realtà l’Allamano avrebbe voluto fare il parroco, ma Lorenzo Gastaldi gli disse benevolmente: «Volevi andare parroco? Se è solo per questo, ecco, ti do la parrocchia più insigne della diocesi: il seminario!».
Divenne un vero “maestro nella formazione del clero”: si distinse sia per la fermezza dei principi sia per la soavità nel chiederne l’attuazione. Conseguì anche la laurea in Teologia presso la Facoltà teologica di Torino e ricevette l’abilitazione all’insegnamento universitario. Fu poi nominato membro aggiunto della facoltà di diritto canonico e civile, e ricoprì pure la carica di preside in ambedue le facoltà.
A soli 29 annifu nominato anche rettore del Santuario della Consolata di Torino anche se lui si riteneva troppo giovane per quel servizio. Con lui collaborò il sacerdote Giacomo Camisassa e sotto la direzione dell’Allamano il santuario riprese vita. Divenne un gioiello d’arte, splendente di marmi e d’oro, come si presenta tutt’oggi. Ne curò l’attività pastorale, liturgica e associativa. Poco per volta il santuario divenne centro di spiritualità mariana e di rinnovamento cristiano per la città e la regione.
Giuseppe Allamano fu «punto di riferimento per quanti vedevano in lui il sacerdote vero, che sembrò investito di una missione provvidenziale per una diocesi come Torino: la missione di consigliare e dirigere, incoraggiare e ammonire, ridare alle anime, con la grazia del Sacramento della confessione, la gioia e la pace della ritrovata amicizia con Dio, esortare ad ogni opera apostolica» (Card. J. Villot).
Fu anche rettore del Santuario di S. Ignazio, sui monti presso Lanzo Torinese, dove aveva predicato lo stesso zio Giuseppe Cafasso. Annessa al santuario vi era una casa per esercizi spirituali che divenne di prim’ordine, tanto che non c’era mai una camera vuota. Al fine di dare un modello ai sacerdoti, ai cristiani e ai missionari, pubblicò la vita e gli scritti dello zio santo e ne intraprese la causa di canonizzazione, che portò fino alla beatificazione, il 3 maggio 1925.
Nel 1882 ottenne la riapertura del Convitto Ecclesiastico e lo diresse fino alla morte. Egli voleva imprimere nei cuori soprattutto il fine ultimo della vocazione sacerdotale: la salvezza dei fratelli.
Fu canonico della cattedrale, membro di commissioni e comitati, superiore religioso delle Visitandine e delle Suore di San Giuseppe. Intensa fu la sua opera in occasione di varie celebrazioni anniversarie e durante la prima guerra mondiale, per l’assistenza ai profughi, ai sacerdoti e seminaristi militarizzati. Sostenne il giornalismo cattolico. Sentiva l’urgenza del mandato di Cristo di portare a tutti il Vangelo e trovava innaturale che nella sua Chiesa, feconda di tante istituzioni di carità, ne mancasse una dedicata unicamente alle missioni. Penso dunque di fondare l’Istituto missionario per sacerdoti e fratelli laici.
Assistendo una povera donna in una soffitta ghiacciata contrasse una malattia che lo portò in fin di vita, ma la Vergine Consolata fece il miracolo e lui guarì. Ciò fu per lui il segno che l’Istituto si doveva fondare e il 29 gennaio 1901 nacque l’Istituto Missioni Consolata, ma solo dopo un esplicito comando dell’arcivescovo. Grazie a ciò partirono per il Kenya i primi quattro missionari, due sacerdoti e due laici, poco dopo seguiti da altri. Vista la necessità della presenza femminile nelle missioni, l’Allamano ottenne dai superiori del Cottolengo le suore Vincenzine, che affiancarono i Missionari della Consolata in Kenya.
Nel 1910 – in accordo con l’arcivescovo, sostenuto dal card. Gotti e su specifica chiamata di Papa S. Pio X – diede vita anche all’Istituto delle Missionarie della Consolata. Oggi i Missionari e le Missionarie della Consolata sono presenti in 24 Paesi di Africa, America, Europa e Asia. L’Allamano era convinto che alla missione si deve dare il meglio, quindi voleva evangelizzatori preparati, «santi in modo superlativo», zelanti fino a dare la vita.
Don Giuseppe Allamano morì di polmonite il 16 febbraio 1926 presso il santuario della Consolata. La sua salma oggi riposa nella Chiesa della Casa Madre in Corso Ferrucci a Torino, meta di continui pellegrinaggi, e sul suo sarcofago vi è l’altare sul quale viene celebrata l’Eucaristia. Accanto alle sue spoglie, quelle del Camisassa, suo fedele collaboratore e co-fondatore dei due istituti.
Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 7 ottobre 1990 e gli ha riconosciuto vari appellativi: «santo della Consolata», «padre provvido», «formatore e maestro del clero», «sacerdote per il mondo».
Riportiamo qualche frase di don Giuseppe Allamano:
«Non voglio solo essere cascata, che dà agli altri, ma anche conca per ricevere le grazie del santo ritiro».
«La vocazione alle missioni è essenzialmente la vocazione di ogni santo sacerdote. Essa non è altro che un più grande amore a nostro Signore Gesù Cristo, per cui uno si sente spinto a farlo conoscere ed amare da quanti non lo conoscono e non lo amano ancora».
«Prima santi e poi missionari… non è il numero che conta, ma la qualità, il buono spirito».
«Solo questo io voglio, il compimento della volontà di Dio… Paradiso! Paradiso! Oh, sì, fra poco vado alle nozze!»
«Non avendo potuto essere io missionario, voglio che non siano impedite quelle anime che desiderano seguire tale via».
«L’Istituto delle Missioni è proprietà Tua. Pensa Tu al suo avvenire».
«Nel Tuo nome getterò le reti».
Fonti:
https://giuseppeallamano.consolata.org/