Abbiamo bisogno della bellezza, della natura che lascia la sua traccia modellatrice, ne abbiamo bisogno per essere felici in simbiosi con il Creato. Ne abbiamo bisogno anche per un turismo di qualità che si lasci incantare da un angolo di spiaggia che affascini con semplicità. Un angolo di spiaggia come luogo dell’anima, abbraccio di madre, un altare per celebrare i ricordi, un “infinito” leopardiano.
Cosa c’è oltre?
Cosa avverrà dopo?
Un luogo sicuro e accogliente, generoso di energia. L’andata e il ritorno, l’esperienza di fermarsi, di restare, di viverlo in pienezza. L’intimità dei pensieri. I sassi le fronde, i pesci, la trasparenza e la rifrazione. L’ umida traccia dei passi sulla sabbia nello scorrere del tempo.
Invece ecco l’uomo fluido della nuova era, che gira intorno, che circola senza meta, che va di fretta. Che circola e consuma, tracciato e controllato inconsapevole criceto sulla ruota del nulla. Ed è in questo contesto che si fa spazio il capriccio di ridisegnare la costa, (nessuno studio urbanistico ha stabilito che porterà sviluppo e benessere), un camminamento fragile, per certi versi superfluo che sacrifica un bellissimo sito naturale e che in qualsiasi caso e nella miglior delle ipotesi sarà un’opera invasiva con strutture che deturperanno in maniera irreversibile lo stato dei luoghi. Sarà un’opera smontabile, si dice. Sì, da chi? Dal mare in tempesta, dal vento, dall’ erosione continua che ci lascerà, (Maronti docet), in un giorno non troppo lontano, ferri arrugginiti, forse piloni conficcati nella sabbia (non lo sappiamo ancora) sostituendo uno spettacolo della natura in un tremendo scempio, un capriccio inutile e dannoso, un tentativo maldestro di sostituirsi alla natura.
di Massimo Venia