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I martiri di Damasco e l’Emiro Abd al-Qadir: una storia islamo-cristiana

È durante la guerra in Siria che per la prima volta sentii parlare dei martiri di Damasco. Vedendo il collaboratore musulmano, Abu Raed, che fedelmente lavora nel nostro Monastero, un’amica cristiana disse: “Ma non temete che vi tradisca e lasci entrare l’ISIS, come i francescani furono traditi da un loro collaboratore nella strage di Damasco?”

Le paure ancestrali sepolte nella memoria comunitaria riaffiorano in tempo di conflitto. Tuttavia, la storia di questo “tradimento” – costato la vita ai nostri undici martiri – ha documentato anche lo straordinario salvataggio di migliaia di cristiani da parte di un eminente musulmano algerino, allora in esilio a Damasco: l’Emiro Abd al-Qadir al-Jazairi, rappresentante dell’Islam spirituale e guida politica considerata dagli algerini padre della nazione, figura di spicco della guerra anticoloniale in Algeria durante la quale si distinse per la sua umanità nel trattamento dei prigionieri.

A più di un secolo e mezzo di distanza da quei dolorosi avvenimenti e nell’avvicinarsi della canonizzazione di coloro che ne furono vittime, è essenziale rievocare il ruolo dell’Emiro e di altri notabili musulmani che, in mezzo al conflitto, ospitarono e difesero i cristiani damasceni nei loro palazzi mettendo a rischio se stessi, dimostrando al mondo che anche nelle più aspre persecuzioni una via di tolleranza e fratellanza è sempre possibile. Storicamente, quelle vicende furono la conseguenza dell’editto di riforma del Sultano ottomano Abd el-Mejid I con il quale nel 1856 concedeva la libertà di culto e l’uguaglianza civile, militare e politica, senza distinzione di religione, a tutte le comunità presenti sul territorio dell’Impero. Già nel 1859 l’aumento del risentimento musulmano nei confronti dei cristiani, accusati di essere i principali beneficiari di quella riforma, sfociò in un sanguinoso scontro tra Maroniti e Drusi sulle montagne libanesi nel quale perirono 10.000 cristiani.

Nella primavera del 1860, alle porte di Damasco si verificarono attacchi di Drusi contro i cristiani. A partire da maggio, Abd al-Qadir si impegnò politicamente, in prima persona e a tutti i livelli, per evitare il conflitto e calmare le opposte fazioni. Una serie di provocazioni e una gestione disastrosa della crisi da parte delle autorità cittadine segnarono l’inizio di un eccidio che sarebbe durato quasi dieci giorni. Furono presi di mira i quartieri cristiani di Bab Tuma e Meidan, ridotti a un cumulo di macerie fumanti. I Drusi, in preda al fanatismo religioso contro i cristiani, percorsero con furia omicida la città. A quel punto, Abd al-Qadir e i suoi fi gli maggiori cercarono di mettere in salvo il maggior numero possibile di cristiani. Durante i tre giorni più intensi della rivolta, l’Emiro passò il tempo a coordinare il loro salvataggio e ad accogliere i sopravvissuti sotto il suo tetto.

Sacrificando le sue risorse personali, offrì una ricompensa in denaro per ogni cristiano portato a lui incolume. Su suo ordine, uomini a cavallo scortarono i Padri Lazzaristi, i Gesuiti, le Suore della Carità e gli alunni delle scuole fino alla sua residenza. Con tutto il peso della sua autorità morale non esitò ad affrontare e disperdere una folla di fanatici che, manifestando davanti alla sua casa, cercavano di costringerlo a non immischiarsi. In questo contesto, il superiore dei Francescani, P. Emmanuele Ruiz, non ritenne di doversi rifugiare nel palazzo dell’Emiro, come gli altri religiosi, confidando nella solidità delle mura e delle porte del convento. Il tentativo degli insorti di forzare l’ingresso era difatti fallito.

Dietro il convento francescano si apriva, però, una porticina alla quale nessuno aveva pensato e che fu segnalata da un domestico dei francescani alla folla inferocita che, da lì, irruppe nel convento. Il primo a cadere vitti ma dell’odio degli insorti fu proprio il P. Emmanuele Ruiz, seguito da P. Carmelo Volta, P. Engelberto Kolland, P. Nicanore Ascanio, P. Pietro Soler, P. Nicola Alberca, Fra Francesco Pinazo e Fra Giangiacomo Fernandez. Con i Francescani furono massacrati tre fratelli maroniti: Francesco, Abd-el-Muti e Raffaele Massabki, rifugiatisi nel convento. Tutti, prima di morire, rifiutarono di abbandonare la loro fede per abbracciare l’Islam e avere così salva la vita.

Dopo una settimana di scontri, i giornali riportarono da mille a tremila vittime, mentre si contarono da 11.000 a 15.000 sopravvissuti cristiani grazie all’intervento di Abd al-Qadir e di altri notabili musulmani. L’Emiro ricevette lettere, doni e decorazioni da diversi Paesi. Papa Pio IX lo ringraziò pubblicamente. Nella sua lettera a Mons. Pavy, Arcivescovo di Algeri, Abd al-Qadir scrisse: “Ciò che abbiamo fatto di buono ai cristiani, dovevamo farlo in conformità con la legge muhammadica e con i diritti umani. Perché tutte le creature sono la famiglia di Dio e i più amati da Dio sono quelli che sono più utili alla sua famiglia”. Con queste parole che spiegano le motivazioni del suo intervento a favore dei cristiani, l’Emiro ha testimoniato l’impegno per la fratellanza, la pace e la convivenza, in qualche modo precorrendo i tempi del Documento fi rmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar Ahmad alTayyeb: “a ogni coscienza viva che ripudia la violenza aberrante e l’estremismo cieco, […] a chi ama i valori di tolleranza e di fratellanza, promossi e incoraggiati dalle religioni, […] a tutti  coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano”, l’Emiro può servire da modello.

di Suor Carol Cooke Eid – Comunità Monastica Al Khalil – Monastero di Mar Musa, Siria
Da Il Poliedro

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