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Papa Francesco ha così commentato il Vangelo di domenica scorsa all’Angelus: «Oggi il Vangelo della liturgia (Mc 9,30-37) ci parla di Gesù che annuncia cosa accadrà al culmine della sua vita: «Il Figlio dell’uomo – dice Gesù – viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma dopo tre giorni risorgerà». I discepoli, però, mentre seguono il Maestro, hanno altro nella testa e anche sulle labbra. Quando Gesù chiede loro di che cosa stessero parlando, non rispondono. Facciamo attenzione a questo silenzio: i discepoli tacciono perché discutevano su chi fosse il più grande. Tacciono per la vergogna. Che contrasto con le parole del Signore! Mentre Gesù confidava loro il senso della propria vita, essi parlavano di potere. E così adesso la vergogna chiude la loro bocca, come prima l’orgoglio aveva chiuso il loro cuore. Eppure Gesù risponde apertamente ai discorsi sussurrati lungo la strada: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo». Vuoi essere grande? Fatti piccolo, mettiti a servizio di tutti.

Con una parola tanto semplice quanto decisiva, Gesù rinnova il nostro modo di vivere. Ci insegna che il vero potere non sta nel dominio dei più forti, ma nella cura dei più deboli. Il vero potere è prendersi cura dei più deboli, questo ti fa grande! Ecco perché il Maestro chiama un bambino, lo mette in mezzo ai discepoli e lo abbraccia, dicendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me». Il bambino non ha potere: il bambino ha bisogno. Quando ci prendiamo cura dell’uomo, riconosciamo che l’uomo ha sempre bisogno di vita. Noi, tutti noi, siamo vivi perché siamo stati accolti, ma il potere ci fa dimenticare questa verità. Tu sei vivo perché sei stato accolto! Allora diventiamo dominatori, non servitori, e i primi a soffrirne sono proprio gli ultimi: i piccoli, i deboli, i poveri».

A proposito dell’uso della lingua e delle parole, San Francesco è stato molto chiaro con i suoi frati, maestro anche in questo. “Voleva che i frati osservassero il silenzio indicato dal Vangelo, cioè che in ogni circostanza evitassero accuratamente ogni parola oziosa, di cui nel giorno del giudizio dovranno rendere ragione. Se trovava qualche frate incline ai discorsi inutili, lo redarguiva con asprezza, affermando che il modesto tacere custodisce la purezza del cuore e non è virtù da poco, se è vero, come dice la Scrittura, che morte e vita si trovano in potere della lingua, intesa come organo non del gusto, ma della parola (FF 1094)”.

Il Serafico Padre non cercava la gloria per sé ma di rendere gloria a Dio, l’unico Signore, per la sua umiltà il Padre celeste gli aveva conferito potere sulle forze del male, sui demoni, compiendo grandi prodigi grazie la sua preghiera. “Gli capitò una volta di giungere vicino ad Arezzo, mentre l’intera città era sconvolta dalla guerra intestina e minacciava di distruggersi in breve tempo da sé stessa. Dal sobborgo, dove era alloggiato come ospite, vide sopra la città una ridda di demoni che infiammavano i cittadini, già eccitati, alla reciproca strage. A scacciare quegli spiriti dell’aria, fomentatori della sedizione, inviò frate Silvestro, uomo semplice come una colomba, ingiungendogli: “Vai davanti alla porta della città e, da parte di Dio onnipotente, comanda ai demoni, in virtù di obbedienza, di andarsene in fretta”. Corre, quel vero obbediente, a compiere i comandi del Padre, innalzando inni di lode alla presenza di Dio, e, giunto davanti alla porta della città, incomincia a gridare gagliardamente: “Da parte di Dio onnipotente e per comando del suo servo Francesco, andatevene via, lontano da qui, o demoni tutti quanti!”. Immediatamente la città torna in pace e tutti i cittadini, in perfetta tranquillità, si adoperano a ripristinare fra loro i diritti della convivenza civile.

Così, scacciata la furibonda superbia dei demoni, che aveva assediato la città, circondandola di trincee, la sapienza del povero, cioè l’umiltà di Francesco, con il suo solo apparire, le restituì la pace e la salvò. Infatti con l’ardua virtù dell’umile obbedienza Francesco aveva conseguito, sopra quegli spiriti ribelli e protervi, tale autorità e potere da permettergli di sgominare la loro ferocia e di mettere in fuga la loro dannosa violenza (FF 1114)”.

Papa Francesco conclude: «Preghiamo insieme Maria, per essere come lei liberi dalla vanagloria e pronti nel servizio».

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