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Sebastiano parla di Giacomo, ferito a morte: «Oltre la retorica Jack portava l’esempio»

«Le nostre battaglie per aiutare gli ultimi. Non è buonismo. Serve a creare un contesto in cui la città è più vivibile»

A Mestre, venerdì 20 settembre verso le 23, due ragazzi di 25 e 26 anni, mentre passeggiavano in una via importante nel centro della città, hanno visto un uomo che sta rapinando una donna. Si sono precipitati per aiutarla, ma l’uomo ha estratto un coltello e ha colpito il maggiore al ventre, l’altro alla coscia. Il primo, Giacomo Gobbato, è morto, il secondo, Sebastiano Bergamaschi, ha rischiato grosso perché la lama, lunga, è passata a pochi cm dall’arteria femorale. Purtroppo, di coltelli, di violenza ne vediamo anche qui, a Ischia, quindi le parole di Sebastiano, amico e compagno di Giacomo dai tempi della scuola, e che come lui non si è voltato dall’altra parte, interessano anche noi, riguardano anche noi…

«Per far sì che la morte di Giacomo non sia avvenuta per nulla, chiederemo a tutti di mobilitarci. Le nostre battaglie puntano ad aiutare gli ultimi, ed è vero, ma non perché non aiutiamo tutti gli altri. Sappiamo che aiutare gli ultimi vuol dire aiutare tutti e tutte. Creare un contesto in cui la città è più vivibile. Questo è quello che chiediamo alla città di capire. Questo è quello che porteremo in piazza con una grande mobilitazione cittadina per chiunque voglia ricordare Giacomo e far cambiare le cose».

A partire dai collettivi di “Riprendiamoci la città”, che nel corteo del 24 febbraio 2023 sono riusciti a portare 5 mila persone in piazza da Mestre, Marghera e Venezia, lo chiede anche Sebastiano Bergamaschi del collettivo climatico Pandora. C’era lui accanto a Giacomo Gobbato, Jack, la notte tra venerdì e sabato in cui il compagno del centro sociale Rivolta ha perso la vita. E a chi contesta che il gesto è costato l’esistenza di un giovane di 26 anni per mano di quegli “ultimi” che il loro impegno sociale punta a includere, risponde chiedendo a tutti di mobilitarsi «per aiutare tutti e tutte insieme a tutte le coscienze che dopo questo tragico evento si saranno risvegliate». 

Sta meglio Sebastiano, almeno per quanto riguarda la ferita alla gamba. «Oltre la retorica – dice – Jack portava l’esempio, l’energia che mettiamo in quello che facciamo e che trascina altri a farlo. In questo Giacomo era genuino come nessun altro. Sapeva farsi volere bene e questo trascinava. Era mite ma anche passionale, energico. Aveva il fuoco dentro. Sapeva essere tranquillo ma dietro a quello si intravedeva la sua carica». Tante, dice Bergamaschi, sono state le parole di questi giorni. «Quello che conta sono i fatti. Tante, troppe tragedie in questa città. Da anni parliamo di sicurezza. Una questione vissuta da tanti cittadini. Come ho detto, se dal dolore generiamo odio allora non abbiamo capito nulla. Ma una riflessione sui problemi va fatta e diciamo che derivano direttamente da come la città è stata gestita in questi nove anni».

L’aumento della polizia, delle pene, per Sebastiano non basta. «Puntare su una “falsa” retorica, come se l’aumento degli anni di carcere da scontare facesse la differenza per chi commette reati, significa non ammettere che la città si risana in un modo: vivendola. La città va vissuta. Non va abbandonata. Prima da tutto dalle istituzioni. E deve essere una città sana, fatta da tante comunità diverse che la presidiano con l’amore per quel territorio, non generando odio e parlando di ronde, ma con la presenza di persone che puntano prima di tutto ad aiutare il prossimo, solidali. In questa città tale mentalità è stata completamente abbandonata – prosegue – per lasciare spazio solo al guadagno economico, al profitto, alla speculazione. I servizi sono stati tagliati, si è continuato a illudere la popolazione che la soluzione fosse militarizzare, quando la questione vera è creare un tessuto sociale che renda una città sicura».

«Si deve scegliere cosa fare – conclude Bergamaschi – Si può decidere di odiare e relegare certe persone nella loro marginalità – e questo produce quello che è successo venerdì sera – oppure si può puntare a far sì che ci siano sempre più possibilità e strumenti per aiutarle a diventare anche loro parte di quel tessuto cittadino. Perché, quando ci si sente parte di una comunità, certe cose non si fanno e certe difficoltà si affrontano assieme. Questo per noi non è un corto circuito».

da VeneziaToday

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