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Non ingabbiamo Dio nei nostri schemi!

Omelia del Vescovo Carlo in occasione della festa di S Michele Arcangelo presso le parrocchie omonime in Monterone e S.Angelo

Nm 11,25-29; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

Per la festa dei SS. Arcangeli la Chiesa propone un brano tratto dal Capitolo 9 del Vangelo di Marco, che ci sta accompagnando nelle domeniche di settembre, nel quale il discepolo Giovanni, rivolto a Gesù, gli riferisce di aver visto un tale che scacciava demòni in nome di Gesù. Giovanni appare preoccupato e confessa di aver provato a impedire che continuasse, aggiungendo una motivazione che gli sembra molto valida: “perché non ci seguiva”, intendendo con questo dire che non era del gruppo dei discepoli di Gesù.

Ascoltando questo brano, si cade spesso nella tentazione di immedesimarsi in Giovanni, che sembra dire e voler fare la cosa giusta, allontanando chi non sembra avere il permesso di operare in nome di Gesù e aiutando in tal modo l’operato del Maestro, del quale invece loro, i discepoli accreditati, sono i veri collaboratori.

La risposta di Gesù, come sempre, è tagliente e spiazzante e lascia Giovanni basito. Il Maestro rimprovera Giovanni, affermando che chiunque compia un’opera buona verso i discepoli sarà ricompensato e, al contrario, sarà terribile la condanna per chi scandalizza “solo uno dei piccoli che credono in lui”. Gesù prosegue nel suo rimprovero e sconvolge i discepoli con i suoi paradossi, parlando di tagli di parti del corpo – una mano, un occhio, un piede – come via estrema, se necessario, per arrivare al Paradiso.

Il Vescovo Carlo, nell’omelia per la celebrazione eucaristica da lui presieduta si sofferma però soprattutto su una parte dell’articolato discorso di Gesù ai discepoli. Giovanni lascia emergere dalle sue parole una forma di gelosia nei confronti dell’uomo che scacciava demòni in nome di Gesù pur essendo fuori dal gruppo dei discepoli. Per sintetizzare meglio questo sentimento, vero oggetto dell’attenzione di Gesù, il Vescovo utilizza una espressione contenuta nel brano del Libro dei Numeri, che costituisce la Prima Lettura, nel quale viene riportato il dialogo tra Mosè e Giosuè, figlio di Nun, che denuncia, come Giovanni, due sconosciuti, sui quali si era posato lo Spirito, che profetizzavano. Mosè, con grande durezza risponde: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo!”.

«Credo che in questi due brani si nasconda una grande tentazione, che Gesù intende portare in evidenza, di ingabbiare Dio nei nostri schemi, nelle nostre mentalità, nelle nostre prassi di Chiesa».

Si tratta della tentazione tipica di tanti cristiani – ha proseguito -, ma anche di tante comunità parrocchiali, di costruire una Chiesa esclusiva, quasi un club per tesserati, o eletti, che lasci fuori come reietti tutti coloro che non sono iscritti e non sono frequentanti. Questo significa il contrario di ciò che invece deve essere la Chiesa accogliente di Cristo, così come ci ricorda instancabilmente Papa Francesco. Il discepolo che, sicuramente in buona fede – ha precisato il Vescovo – chiede di escludere quello che lui riteneva esser un abusivo, si trasforma egli stesso nel demone che crea divisione e separazione. La questione è di comprendere correttamente la Parola di Dio e, dopo averla compresa, di farla entrare nelle nostre vite, di farla incarnare nei nostri comportamenti quotidiani. Non si possono creare barriere divisorie, siepi che separano i giardinetti delle nostre parrocchie:

«Questo per noi comporta una grande responsabilità, di lasciare nella nostra vita il posto allo Spirito Santo, che è colui che illumina la Parola di Dio e ci aiuta a comprenderla».

Dobbiamo dunque chiederci se conosciamo bene la Parola di Dio, perché questo significa conoscere il Signore e la sua volontà. Il Vescovo ha colto l’occasione per esaminare una espressione tipica dei cristiani i quali sono soliti dire: “Sia fatta la volontà di Dio!”. Ma questo non deve significare accettazione supina di eventi ineluttabili calati dal cielo. Si fa la volontà di Dio se lo si conosce, se si comprende la sua logica:

«Fare la volontà di Dio significa conoscere cosa ha in mente il Signore, e Dio si fa conoscere attraverso la sua Parola, attraverso ciò che Egli mi dice, attraverso la Parola incarnata che è Gesù Cristo».

Se non si segue questa logica, si finisce come l’apostolo Giovanni, che pensava di fare la volontà di Dio e invece ha fatto l’esatto contrario. Dal Sinodo appena concluso è emersa con forza la necessità per il popolo di Dio di conoscere meglio la Parola, che è un grande tesoro che il Signore ci ha messo a disposizione.

Il Vescovo ha poi concluso che nella festa di San Michele non c’è richiesta migliore da rivolgere al Signore di poter essere anche noi profeti e annunciatori del Vangelo, a immagine degli angeli e arcangeli, che nella Bibbia sono i messaggeri del Signore:

«Che il Signore ci dia fedeltà alla sua Parola e al suo amore di padre».


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