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Chiamati a vivere nella relazione

Incontri diocesani in preparazione del Giubileo con la biblista Laura Paladino 11,12 e 13 ottobre

Con l’avvicinarsi del Giubileo si intensificano le attività e gli eventi in preparazione di questo importante appuntamento voluto da Papa Francesco, indetto attraverso la Bolla Spes non confundit, presentata in Vaticano nel maggio di quest’anno e che il Kaire vi ha proposto nei numeri precedenti.

In questo ambito si inseriscono i tre incontri, che si sono svolti in Episcopio nei giorni 11, 12 e 13 ottobre scorsi, organizzati dalla Diocesi per i laici impegnati in ambito pastorale con la biblista Laura Paladino. Gli incontri, dal titolo “Pellegrini con Gesù verso relazioni aperte alla speranza” hanno permesso di mettere a fuoco alcuni temi fondamentali del Giubileo, coniugandoli con un’altra grande necessità, sottolineata da sempre da Papa Francesco, emersa con forza dal Sinodo appena conclusosi e sottolineata più volte anche dal nostro Vescovo Carlo: la necessità di conoscere la Parola.

Laura Paladino, storica e biblista, docente, presso la Pontificia Università Gregoriana e presso l’Università Pontificia Regina Apostolorum, ci ha accompagnati lungo un percorso dove è stato possibile rileggere la Bibbia con una prospettiva nuova ed originale, ripassando la storia della salvezza – dal Libro della Genesi  all’Apocalisse –  come un unico lungo discorso che si è sviluppato nel corso della storia immutato e perfetto, un percorso nel quale la Chiesa rimane e rimarrà sempre custode dei tesori e dei doni che Dio ha voluto fare all’uomo, sua creatura prediletta. Come ci ha ricordato don Gino Ballirano nella sua bella introduzione al primo dei tre incontri: “Anche nei momenti più bui e discutibili della storia della Chiesa si è pensato sempre a trasmettere l’amore di Dio, la sua misericordia”. La storia della Chiesa è stata punteggiata – ha ricordato poi don Gino – anche dai numerosi Giubilei, già noti nell’antichità come momento di riposo, riflessione e meditazione.

E anche oggi il Papa, con questo Giubileo, ci chiede di fermarci e di riflettere, e ci invita ad essere “pellegrini di speranza”, come recita il motto del Giubileo. Egli ci ricorda anche che la Chiesa ha sempre la missione di annunciare a tutti che “Spes non confundit” la speranza non delude, perché offre la certezza della presenza del Signore.

Questa certezza e questa speranza sono i capisaldi della nostra fede, che affonda le radici in una storia che è il racconto dell’uomo amato da Dio. Mettere a fuoco questo concetto fondamentale e coniugarlo con le prospettive del Giubileo che sta per iniziare sono stati i temi portanti del racconto della professoressa Paladino, che, nel corso del primo giorno, ci ha riportati alla storia della creazione, una storia che conosciamo bene tutti, che narra il dono della vita fatto da Dio all’uomo, oggetto del suo amore infinito. La modalità attraverso la quale Dio ha creato prima la Terra e poi al suo interno l’uomo e la donna, nascondono il segreto del rapporto tra il Signore e l’uomo, che noi siamo chiamati sempre a riscoprire e custodire:

«La storia della salvezza, da Genesi 1 all’Apocalisse, è la storia dell’uomo amato da Dio, pensato a immagine di Dio, fatto perfetto come Dio, ma dotato di quella libertà usata male che genera l’ingresso del peccato nel mondo».

Questo Giubileo – ha notato la Paladino – arriva dopo una pandemia che ha ricordato all’uomo che non è così potente come poteva pensare, ma per il cristiano, il quale pure nella pandemia si è ricordato che la vita non è qualcosa che possiamo attribuirci da soli, questa non è una novità. Ogni cristiano, a prescindere da eventi come la pandemia, sa che la vita è dono di Dio e che al cristiano è richiesto di avere lo spirito del bambino che si affida totalmente a chi lo ama, cioè Dio che gli ha dato la vita. La relazione con Dio è il perno intorno al quale deve snodarsi la vita di ogni cristiano. Per comprendere meglio la natura di tale relazione è utile – ha spiegato la Paladino – analizzare il racconto biblico della creazione.

Il Signore, ci dice il Libro della Genesi, crea il cielo, la terra e tutte le cose chiamandole, ordinando che esse esistano. Diversa è stata la creazione dell’uomo, giunta al sesto giorno, nella quale Dio prima pensa ad Adàm, l’uomo a sua immagine e somiglianza, e poi lo crea, ma parlando al plurale. Se aveva detto “Sia la luce”, per l’uomo dice “Facciamo l’uomo”. Questo plurale – erratamente considerato un plurale maiesatis – rappresenta la prima attestazione biblica del dogma trinitario. Dio crea l’uomo a sua immagine, ma pensandolo come Lui è, cioè unico, ma non solo. Allo stesso modo crea Adàm e lo pensa maschio e femmina. Dio insomma concepisce l’uomo in un contesto di relazione fin dal principio e questa relazione è l’impronta che Dio lascia nell’uomo, come sigillo e immagine del suo infinito e imprescindibile amore.

La vita è dunque un dono, ma anche una chiamata d’amore totalmente gratuita. La creazione è avvenuta anche nella differenziazione generativa tra maschio e femmina, ma stabilendo l’assoluto primato della relazione. Il Papa ci ricorda sempre questo concetto ripetendo che noi siamo nel mondo, ma non siamo del mondo:

«Siamo figli, fratelli di Gesù, coloro che portano dentro il mondo una luce diversa. L’invito che lui ha fatto per l’anno che stiamo vivendo – anno della preghiera – è: intensifichiamo la preghiera, mostriamo la nostra relazione con Dio».

La preghiera –  ci ha ricordato la Paladino – non è un’occasione per chiedere favori al Signore, affinché risolva i nostri problemi, ma la costruzione di una relazione intima con Dio, che sa tutto di noi, un processo che, così come faceva Gesù, serve a metterci in sintonia con Dio per poter avere poi gli strumenti per essere noi in grado di affrontare i problemi, senza delegare nessuno. Se attraverso la preghiera recupero il mio rapporto con il Signore e gli rendo grazie per i doni che ho ricevuto, poi devo anche, esattamente come accade nel Padre Nostro, chiedere quella unità di amore anche per gli altri, devo cioè chiedere che tutti abbiano “il pane quotidiano”. Questo è esattamente il tema del Giubileo:

«Il senso del Giubileo è la percezione che niente mi appartiene, è tutto un dono che è di tutti, è un prestito e quello che è di troppo va condiviso, tutti vanno aiutati a recuperare la loro dignità, questo è essere cristiani!».

Anche nella condivisione bisogna comportarsi “ad immagine e somiglianza di Dio”, il cristiano avvicina l’altro con amore, per travasare quell’amore che Dio gli ha donato, stabilendo una relazione franca e onesta, dove non esiste il giudizio, ma lo sguardo che ama che in tante occasioni ci ha mostrato Gesù:

«Dunque il primo passo nella relazione è lo sguardo, cioè come Gesù guarderebbe l’altro ed è difficile che coincide con il nostro sguardo. Di solito facciamo i maestri o giudichiamo o ci mettiamo una pietra sopra e lasciamo perdere. Ma questa non è la via del Signore».

Il secondo passo è non impantanarsi nelle discussioni utili solo a stabilire il primato dell’uno sull’altro, ma piuttosto aiutare l’altro ad elevare lo sguardo verso orizzonti più altri, come faceva Gesù con coloro che gli ponevano insidiosi quesiti.

Come Gesù, infine, siamo chiamati a vivere in ogni contesto una dimensione sponsale, non solo quella che si stabilisce tra uomo e donna, ma in ogni contesto dove si manifesta la nostra vocazione, qualunque essa sia, di madre, di moglie, di figlio, di consacrato, di vescovo, di lavoratore. È una “sponsalità generativa”, che, quando funzione genera Cristo.

Un discorso a parte è stato riservato dalla professoressa Paladino alla figura di Maria. Ma di questo vi scriveremo nel prossimo numero.

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