Sintesi della relazione di suor Katia Roncalli
Nel secondo giorno dell’Incontro Nazionale Ordo virginum di Torino, suor Katia Roncalli, partendo dall’orizzonte, ha tracciato tre direzioni:
- “Crescere nella vastità della vita di Cristo” (E. Stein) che è da seguire dovunque Lui vada. La vita di Cristo non è mediocre ma è una vita grande, bella, aperta. Il Vangelo non è addomesticabile e questa verità molto semplice ci restituisce un atteggiamento: disponibilità al cambiamento e anche ritornare a una certa leggerezza che non significa superficialità, ma significa essere agganciate a ciò che è essenziale;
- Tutti siamo sufficientemente adulti per aver capito, nella nostra vita e nella nostra vocazione, che l’amore si realizza morendo, donando la vita. Attraverso la Pasqua. Offrendo la vita che Gesù stesso ha riscattato. C’è una domanda che precede le altre: “Chi sono io?” In tutta verità possiamo rispondere con le parole di Paolo: «Non è più il mio io che vive in me – il mio io ripiegato su me stesso, chiuso in me stesso – ma è l’Io di Cristo che vive in me» (Ga 2,20). E l’Io di Cristo è comunionale, non è isolato chiuso in sé stesso. È unito al Padre;
- Ma io desidero essere il tempio di Dio o la sua parodia? La sua caricatura? Una grossa sfida, dunque, per la vita consacrata tutta, per il clero, per l’episcopato, per le comunità, per i catechisti, per tutti quanti noi. Tutti siamo interpellati. È un tempo di crisi: da cosa ci deve purificare? Quale aspetto provvidenziale c’è? Questo processo quale verità ci vuole restituire? Ci vuole un discernimento ecclesiale. La Chiesa non ha ricevuto un mandato organizzativo: quella era una conseguenza. La Chiesa ha ricevuto da Cristo un mandato epifanico, cioè il mandato di mostrare dal vivo la comunione dei Tre.
Nel titolo “Dalle relazioni generate in Cristo alle relazioni generative di vita” ci sono tre aspetti, ha continuato suor Katia. Paolo ci tiene a essere trovato in Cristo. A Pentecoste si trovavano nello stesso… e se questo “stesso” fosse una Persona? In Cristo? Ancora Paolo: «In Lui infatti viviamo, ci muoviamo e esistiamo» (At 17,28). Cristo, dunque, come lo spazio esistenziale, psichico, spirituale, relazionale nel quale sono.
Nella Scrittura pare che la domanda “come sto?” non ci sia. Ce n’è un’altra: “Dove sei?” È una grande provocazione: “Dove sei in questo tempo della tua vita?”
«Se uno è in Cristo, è una creatura nuova. Le cose di prima sono passate.» (2Cor 5,17) Se uno è in Cristo non se lo può dire da solo: glielo devono dire gli altri. Si vede dai frutti. Se uno è in Cristo è impegnato nelle cose di Cristo. E Cristo è sempre sulla strada, è nelle case piene di gente, Cristo è in mezzo ai malati, in mezzo agli ultimi, Cristo è in mezzo ai discepoli, Cristo è nella comunione col Padre. Allora: “Dove sei tu, Cristo, lì voglio stare!” Se uno è in Cristo c’è un profumo di novità nella vita di questa persona e la novità sta che il baricentro, il fondamento di questa persona è cambiato: non è più nel suo passato, ma nel Vangelo. Non è nei doverismi. Quando c’è profumo di novità la persona non è più obbligata a reagire nelle relazioni a partire da ciò che non ha avuto, da ciò che ci manca. È una persona con una memoria grata delle grazie ricevute. E quando ti racconta la sua storia te la racconta di resurrezione in resurrezione, di grazia in grazia, di perdono in perdono. Ha la precedenza il bene che ha ricevuto.
Le relazioni feconde e generative sono possibili tra persone che danno la precedenza nella vita al bene che hanno ricevuto. La comunione è possibile tra le persone che si sono liberate dalla preoccupazione per sé stesse. Quando siamo preoccupati per noi stessi è difficile invece vivere delle vere relazioni ecclesiali. Le persone che non sono più preoccupate per sé stesse ci liberano dalla rassegnazione e dal cinismo. Noi consacrati siamo stati chiamati per essere uomini e donne d’avanguardia. Allora “prendere il largo!” Sulla riva ci si sistema ma quando prendiamo il largo insieme scopriamo un registro che è la comunione per il Regno.
Non possiamo trattare Cristo come uno sposo qualunque. È uno Sposo inquieto. Se desideriamo dunque che le nostre relazioni siano generative, siano belle, solari, aperte, se desideriamo che queste relazioni siano feconde, non sterili, non finalizzate a sé stesse, ma generative di futuro e di vita, se vogliamo “fare figli” – perché a questo ci ha chiamate dicendo “madri” («…chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» = Mc 3) – allora il nostro segreto è quello di farci trovare lì in Cristo. Ed è impossibile che chi è in Cristo non generi vita. Nelle relazioni tra di noi NON ci deve essere la competizione. È difficile trovare chi è felice del bene che l’altro fa ed è capace di fare. Se le relazioni fossero veramente libere, riusciremmo a farci i complimenti sinceri. La comunione è possibile tra le persone che hanno scelto la stessa misura alta del Vangelo. Alzando la qualità delle nostre conversazioni, dei nostri dialoghi, delle nostre letture, del nostro studio, delle domande che ci facciamo: “Ma dove sta andando la Chiesa? Perché lì fuori c’è una marea di giovani di cui nessuno si prende cura?” Il Signore ci promette una pace di fuoco. Quanto le nostre relazioni sono contraddistinte dall’invidia? I maschi gareggiano per i posti, i ruoli, noi donne per le attenzioni. Siamo ostaggio dell’invidia. Essere felici del bene che l’altro fa, invece. Ri-generare Cristo nei fratelli, partorire Cristo nei fratelli. Il tempo dell’ascolto. L’arte di regalare agli altri il vedere, il trovare Cristo nella loro vita: è l’arte del discernimento. Accompagnarli al fine per cui Dio li ha creati. Non basta voler bene. Bisogna arrivare al che l’altro compia tutto il bene, viva tutto il bene per cui Dio lo ha creato. Significa dire all’altro: “Mi sta a cuore la tua vocazione”.
di Angela Di Scala