È un uomo alto e magro, Nasri palestinese cristiano, che arriva a noi da quel “Campo dei Pastori” dove per primo è risuonato l’annuncio della nascita del Salvatore: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia…”. E Nasri è venuto a portarci, se non la gioia, senz’altro una fiducia in Dio che ci ha commossi.
Laureatosi in Architettura al Politecnico di Milano, Nasri parla un ottimo italiano e, nei nove anni in cui è rimasto in Italia, ha percorso in lungo e in largo il nostro paese prendendosi cura dei suoi connazionali: questo gli ha permesso di creare una fitta rete di conoscenze e, grazie a esse, di organizzare ora un viaggio di quasi tre mesi per aiutare parte di quelle 400 piccole, medie e grandi attività artigianali che, attorno a Betlemme, lavorano il legno di ulivo facendone creazioni artistiche. Tutte imprese che, con il Covid prima ma soprattutto con la guerra oggi, hanno visto scomparire i flussi turistici cui vendevano i loro prodotti: il legno di ulivo è molto bello e particolare, caldo e pieno di sfumature. Così Nasri, facendosi precedere, nelle varie tappe, da cassette di questi oggetti, sta ora visitando varie diocesi italiane da sud a nord, per venderli, ma soprattutto per portare la sua testimonianza di prima mano su come vive quell’1% di palestinesi cristiani (suddivisi pure tra varie Chiese) in un paese che da sempre è occupato. Ci ha infatti tracciato brevemente la storia di quella Palestina che fin dai tempi di Gesù ha visto susseguirsi vari conquistatori, fino al protettorato britannico e alla nefasta decisione di un Occidente che, per lavarsi la coscienza dalla Shoà, ha deciso di dividere il paese in due senza considerare la reale popolazione. Le guerre che si sono succedute, poi, hanno visto una sempre maggior espansione israeliana che attualmente occupa circa l’80% del territorio.
Conoscevo già la situazione, avendo degli amici palestinesi – ma anche tanti ebrei -, ma sentendola descrivere con la calma e la serenità di Nasri, che intercalava il suo racconto con continui “purtroppo…” che non erano rassegnazione, ma un prendere atto e affidarsi completamente a Dio, è stato particolarmente coinvolgente.
Due racconti tra gli altri mi hanno colpito: per venire in Italia, Nasri, oltre ad aver avuto problemi per richiedere il visto all’Ambasciata italiana dato che gli è precluso l’ingresso a Gerusalemme, avrebbe logicamente dovuto prendere l’aereo da Tel Aviv (circa un’ora di strada da casa) mentre ha impiegato tre giorni – passando vari confini – per arrivare in Giordania e partire da lì. Sua figlia lavora all’ospedale di Gerusalemme (meno di mezz’ora in auto) e ogni giorno si reca alle 4 di mattina al check point per entrare in area israeliana e arrivare puntuale al lavoro … alle 8, ovviamente già stanca.
Ma la frase che ha toccato il cuore di tutti noi è stata: “Gesù ci chiede di amare i nostri nemici. Io non riesco ad amare i nostri nemici, Però posso provare a non odiarli, e ad avvicinarmi a loro con un sorriso, una frase gentile…”.
Nonostante tutto, infatti, Nasri si reputa fortunato: per essere nato lì, vicino a dove è nato Gesù, per essere cristiano, per tutte le cose belle che continua a vedere nella sua vita. Nel ribadire più volte che il 95% dei palestinesi (e anche moltissimi israeliani) sono contrari alla guerra, che questa finirà, perché nonostante tutto, la pace è possibile, Nasri ci ha lasciato un messaggio di speranza e, implicitamente, un invito a fare come lui e a mettersi in cammino, per aiutare i fratelli, senza proclami, nella semplicità della fede.