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La Resurrezione intessuta nelle trame dell’inverno ucraino

Ivanka, Ira, Oksana, Svitlana, Olga, Natalia, Galuna, Tetiana, Yulia, Marianna, Ganusia, Sofia, Nadia, Lesya, una per tutte ed anche per le altre, in una sola, occhi chiari, capelli raccolti alla meno peggio, viso profumato di dignità e rughe di sorrisi non espressi, di quelle che segnano gli occhi anche quando guardano lontano, oltre il castello, Vivara, Procida, oltre, un orizzonte che è quello della loro terra.

La nostra amica svela la barriera del nascondimento lasciando trapelare, dai ricordi che custodisce gelosamente nel suo telefonino, i colori di ricami intessuti nel tempo, da loro, dalle loro mamme, dalle loro amiche, dai loro avi. Mi è concesso affacciarmi e lo faccio in punta di piedi, trattenendo il respiro per non rompere il silenzio della condivisone, in bilico tra la gratitudine e lo stupore per aver avuto lo spiraglio sui loro mondi antichi e sempre attuali.

Mi metto in ricezione: “la nostra Pasqua è così”; le immagini scorrono con il dito che ingrandisce, si sofferma su un particolare, una lettera, un tipo di ricamo, lo sguardo che si alza appena appena dal display e scivola nei ricordi; poi riprende a scorrere, foto dai colori accesi, vive, brulicanti di religiosità gioiosa, festosa,  cesti intrecciati a mano, pani che sembra di sentirne ancora la fragranza, dolci che rilasciano dal display, malgrado gli anni e la distanza, ancora il sapore di uvetta e cannella, colori di un inverno che sta per terminare e di una primavera che sboccia in tutta la sua intensità, sapori, abbondanza, ricami su stuoie, utilizzate per coprire i dolci, quasi a custodire quella prosperità, non osteggiata ma celebrata, perché non sia un vanto ma solo una preziosa cultura che, loro malgrado, trapela in ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni rito. “la nostra Pasqua noi la celebriamo così” con la Паска – (Torta di Pasqua)

Con la Паска si celebra, si onora, si glorifica, si omaggia. Cosa? La vita, la speranza. Questa è la fede della Resurrezione, dalla guerra, dalle ristrettezze, dalle proibizioni, dai condizionamenti, dalle frustrazioni. La vita, malgrado le sue intensità, le sue sofferenze, malgrado i suoi inverni rigidi. In uno di questi, quando ancora non c’era la guerra e le case ancora avevano dei piani, e gli uomini lavoravano invece di combattere e i bambini giocavano invece di scappare, le donne, invece di pensare agli stratagemmi per mettere in salvo i figli e se stesse e i figli degli altri, cucivano, tagliavano, ricamavano, intessevano, creavano, preparavano la Pasqua, celebrandola in ogni gesto, in ogni movimento, in ogni fase. Dal tessuto scelto, dal ricamo immaginato, dalla scelta dei colori, dalla scelta del soggetto, dalle iniziali.

In quegli inverni, che da loro sono più lunghi e rigidi che da noi, in ogni punto a croce sigillavano una speranza, e ci ripassavano, con quell’ago che nel telaio andava in su e poi in giù e ad ogni ripasso un desiderio, un augurio, una speranza.

Quando si prepara la “nostra Pasqua”, sia che si ricami, sia che si cucini, le donne cantano e guai ad essere tristi: narra la credenza popolare che, se si sente una pena nel cuore mentre prepari, l’impasto non lievita come dovrebbe, il ricamo non restituisce il disegno come perfetto. Quindi cantare diventa un rito, dalle alte vibrazioni, che trasmettano gioia, speranza, serenità al tessuto di cui vanno a comporre la trama, agli ingredienti con cui vanno a comporre l’impasto. Colori forti, intensi, come quelli proibiti dal comunismo che vedeva solo il blu. E sapori dolci, fragranze di spezie che rievocano l’abbondanza, la prosperità, dopo tanti, troppi giorni di quaresima. 

Ancora oggi le donne ucraine, si cimentano, con quello che hanno e nel posto in cui stanno, utilizzando il bianco che fa da sfondo e che celebra la purezza, rievocazione di Dio; il rosso, la gioventù, colore caro ai bambini e simbolo di vita, di sangue e sudore, di terra prospera e fruttifera. Il giallo che rievoca il sole, il fuoco, simbolo di intelligenza (inter-legere, comprendere); il verde, come la gioventù che si volge all’età adulta, il blu che rievoca l’acqua cristallina e simboleggia la femminilità, il nero che ricorda che esiste anche la morte. Il candore delle vesti, tradizionalmente bianche, ricamate a seconda della celebrazione, la dovizia di particolari intessuta nei ricami, che siano di filo variopinto o di perline, ogni minimo dettaglio è curato e nutrito da canti, speranze, auguri, desideri.

Oggi loro, lei, noi, condividiamo una Pasqua che malgrado il covid e il suo isolamento, malgrado la guerra ancora in corso e i suoi rifugiati, torna, come ogni anno, a ricordare che dopo la lunga notte dell’anima, c’è sempre un’alba pronta a risorgere e come ogni risurrezione che si perpetua negli anni, c’è sempre la fede, più che una promessa, di rinascita.

Nel racconto si dispiegano ricordi, suggestioni del passato, tradizioni tramandate oralmente, mai scritte. Sarà solo un caso che i suoi occhi riflettono l’acquosità dello specchio antistante il Castello Aragonese; sarà solo una coincidenza che in quel languore si dipanano episodi che restano indelebili nella sua memoria e da oggi anche nella mia. Tipo quello di quando era bambina e in Chiesa si andava di nascosto, il regime lo proibiva. Ingenua e priva di malizia, confessò agli insegnanti di scuola l’assenza per essere andata a messa. Innocentemente sbugiardò il compagno di banco, che invece aveva inventato la scusa della indisposizione fisica. I genitori che maldestri e distratti, non avevano insegnato loro a mentire, pagarono il conto al regime. Nessuno dei bambini ha mai saputo come. Loro erano salvaguardati, quando si poteva.

Oggi uno è sacerdote in Ucraina e l’altra, da Ischia, popolo di pescatori, gli spedisce le reti da pesca, centinaia di metri che intessute di colori, di nastri, di intrecci, copriranno le armi di difesa, evitando, così camuffati, i bombardamenti di chi sorvola i cieli alla ricerca del nemico da bombardare.

Un carro armato coperto di verde come la natura, con i nastrini intrecciati dalle dita dei bambini che si prodigano a colorarne le trame, dall’alto sembrerà solo un cespuglio in fiore. Con i colori della Pasqua, forse, il luccichio del metallo non si paleserà e forse, non verranno bombardati.

L’ucraina Ivanka, Ira, Oksana, Svitlana, Olga, Natalia, Galuna, Tetiana, Yulia, Marianna, Ganusia, Sofia, Nadia, Lesya, una per tutte ed anche per le altre, in una sola, oggi ci insegna la virtù della determinazione, della pazienza, della dignità e la fede, più granitica della nostra fede vacillante. In quei riti con cui preparano la consacrazione hanno più solennità e fede di me, di noi, di tutti. E speranza, in un mondo migliore, con quello che hanno e nel posto in cui stanno.

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