Confutata l’ipotesi tramandata da una lettura errata di Plinio il Giovane e che datava la catastrofe al 24 agosto. La parola fine messa da Ingv con Cnr-Igag, Università di Pisa, Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand e Heriot-Watt University di Edimburgo.
Una importante novità tra archeologia e scienza. La fine di Pompei sarebbe avvenuta non nel cuore dell’estate, come è stato sempre ritenuto, ma nell’autunno del 79 d. C., precisamente tra il 24 e il 25 ottobre. Se ne era parlato già qualche tempo fa ma la conferma arriva da una ricerca, a guida italiana, pubblicata su Earth-Science Reviews, che ha ricostruito tutte le fasi della devastante eruzione che diffuse le ceneri fino alla Grecia. Ora, dunque, c’è anche l’autorevolezza di un’indagine pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica.
Gli autori dello studio
Lo spostamento di due mesi della catastrofe proviene da uno studio messo in campo per fornire strumenti per mitigare il rischio di eruzioni. Lo firma l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia in collaborazione con Cnr-Igag, Università di Pisa, Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand e Heriot-Watt University di Edimburgo. Nella storia geologica e nella storia tout court del Vesuvio si trattò dell’eruzione più devastante che ha profondamente modificato la morfologia del vulcano. Non solo Pompei, che è la più famosa delle città fantasma: il vulcano distrusse anche Ercolano, Stabiae e Oplontis, che solo nel Settecento sono state restituite pian piano dalla terra con campagne di scavi successivi e ancora in corso.
Il ritrovamento della frutta carbonizzata
La collocazione dell’evento catastrofico ad agosto è stata tradizionalmente dedotta da una lettera di Plinio il Giovane in cui si legge nonum kal septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto. Solo nel 2010, in base ad alcuni reperti nuovi venuti fuori dagli scavi nel Parco Archeologico di Pompei, si iniziò ad ipotizzare uno slittamento verso l’autunno. In particolare fu il ritrovamento di frutta secca carbonizzata, di bracieri usati all’epoca per il riscaldamento, di vino (anzi di mosto per la precisione) in fase di invecchiamento trovato ancora sigillato nei “dolia”, tipici contenitori.
L’epigrafe in carboncino
Non basta. Come spesso accade sono le monete a raccontare incontrovertibilmente la storia. E a Pompei ne fu rinvenuta una della quindicesima acclamazione di Tito a imperatore, avvenuta dopo l’8 settembre 79. Infine nel 2018 fu ritrovata l’iscrizione, a carboncino, con la data del 17 ottobre. Ed era questa: «XVI (ante) K(alendas) Nov(embres) in]d]ulsit / pro masumis esurit]ioni]», ovvero «Il 17 ottobre lui indulse al cibo in modo smodato». Si trattava probabilmente – è stato ipotizzato dagli studiosi – di un operaio che lavorava in una casa in ristrutturazione o costruzione. Il carboncino è molto volatile per cui si ritenne che dopo poco la scritta fosse sommersa dalla cenere e salvata per sempre.
Fonte: Natascia Festa – Corriere del Mezzogiorno