Da domenica 29 novembre 2020 (ormai quasi due anni fa) il Messale – cioè il libro che raccoglie testi, orazioni, preghiere, canti e gesti per celebrare la Messa (e altre liturgie = cerimonie) – è cambiato. I cambiamenti sono vari, ma noi vorremmo parlarvi, in questo numero, di quello che riguarda la preghiera del Padre Nostro, visto che nel Vangelo di domenica 24 luglio Gesù ci insegna questa preghiera. Allora, cogliamo l’occasione per riflettere insieme sul significato di questa bellissima invocazione (= richiesta fatta con fiducia/fede) e sulle modifiche che ora conosciamo tutti.
Avrete senz’altro notato che sono stati cambiati due versi: “rimetti a noi i nostri debiti come noi il rimettiamo”, in “…come anche noi li rimettiamo”, e “non indurci in tentazione”, in “non abbandonarci alla tentazione” (=vieni subito in nostro soccorso). Il motivo di questo secondo cambiamento è per il fatto che le parole “non indurci (=spingerci) in tentazione” derivano da una difficoltà di traduzione del Vangelo, fatta dalle persone che studiavano la Bibbia e che dovevano tradurre le parole da altre lingue (come il greco o l’aramaico) all’italiano; è capitato alcune volte, infatti, che i traduttori abbiano fatto fatica nel trovare le parole più giuste.
La modifica di questa frase nasce da Papa Francesco, che aveva invitato tutti noi a ‘guardare dentro’ alle parole e a rinnovarle (a farle nuove) con coraggio, e a convertirle (cambiarle) più secondo lo spirito del Vangelo e più in linea con la sapienza della Bibbia. Anche i francesi hanno cambiato il testo con una traduzione che dice ‘non lasciarmi cadere nella tentazione’, perché semmai siamo noi a cadere, non è Lui che ci butta nella tentazione! Un Padre non fa questo, ma un Padre aiuta ad alzarci subito, e non ci abbandona. In più, questo cambiamento ci fa stare molto più attenti mentre recitiamo tutta la preghiera. Pensiamoci, bambini: il Padre Nostro, verso dopo verso, è una preghiera che troppo spesso viene detta ‘in automatico’ (come altre preghiere): è il cuore che “illumina” le parole, ma se il cuore non dà senso alle parole che vengono dette con la bocca, corriamo il pericolo di dire delle preghiere un po’ vuote.
Questo vuol dire che quando preghiamo e siamo distratti Dio non ascolta le nostre parole? Certo che no, perché è sempre un tempo che dedichiamo a Lui, parlando con Lui; ma se mentre parliamo/preghiamo (a voce o nel pensiero) non siamo attenti a quello che diciamo, rischiamo di non tenere bene dentro al nostro cuore quelle parole che ci aiutano a vivere un’amicizia con Gesù più vera e profonda. Il nostro tempo in preghiera rischia, perciò, di diventare un insieme di parole dette a memoria, senza significato, senza amore, e può trasformarsi in una lista di “cose da dire” e basta. Come una poesia recitata a memoria, ma di cui non capiamo niente quando la diciamo… e allora, cosa rimane a noi di quelle parole?