“Scalabrini aveva un cuore di pastore: come un padre ha continuato a prendersi cura dei tanti parrocchiani che partivano per gli Stati Uniti e per l’America del Sud”. Padre Leonir Chiarello, Superiore Generale dei Missionari di San Carlo Borromeo Scalabriniani, racconta la grandezza di Giovanni Battista Scalabrini, un uomo innamorato di Dio, capace di vedere negli ultimi il volto di Gesù e di farsi prossimo del prossimo.
Padre Leonir Chiarello come ha deciso di entrare a far parte dei Missionari Scalabriniani?
Avevo 15 anni, vivevo a Serafina Correa, in Brasile, e sognavo di diventare un politico o un avvocato per difendere i diritti delle persone. Il mio parroco mi disse: “Da sacerdote puoi fare questo e molto di più”. Un giorno mentre eravamo in macchina mi chiese: “Vuoi seguire Dio?”. In quel momento ho pensato: “O ora o mai più”. Ho detto sì e sono entrato in seminario. Il mio parroco aveva ragione: come missionario ho lavorato in Argentina, in Cile con le comunità dei migranti, sono diventato vicepresidente della Commissione per la Pastorale dei migranti della Conferenza dei Vescovi, sono stato direttore dello Scalabrini International Migration Network (SIMN) e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra e a New York. Il Signore ci guida nelle strade che vuole Lui.
Noi missionari, come ci ha insegnato Scalabrini, riconosciamo il volto di Dio in tutte le persone e cerchiamo di trovare le risposte alle loro sfide. Ispirati dal nostro fondatore, abbiamo questa visione olistica dell’immigrazione che contempla la dimensione economica, sociale e politica. Crediamo che Dio anche attraverso questo fenomeno stia guidando la storia.
Chi è stato Giovanni Battista Scalabrini e perché il suo messaggio è ancora così attuale?
Era un uomo di una volontà e di una concretezza enorme. Quando ha visto i suoi parrocchiani che partivano, si è chiesto: “Cosa posso fare?”. Per creare una coscienza sul fenomeno migratorio è andato in varie diocesi, ha scritto, ha fondato le Congregazioni e l’Associazione laica San Raffaele. Passava dai discorsi all’azione. Pensava che la Chiesa locale avesse la responsabilità di accompagnare gli emigrati e gli immigrati.
Quando ha mandato i primi missionari in Brasile ad assistere la comunità italiana, ha detto loro di costruire scuole, ospedali, chiese, cooperative, posti di lavoro. Tra quegli emigrati c’era anche il mio bisnonno partito da Padova nel 1880. Scalabrini ha capito che non poteva agire da solo e doveva coinvolgere gli attori sociali e politici. Ad esempio, quando è andato a New York ha visitato i migranti, gli imprenditori, i vescovi e poi è andato a Washington dal presidente Roosevelt. È stato l’uomo del dialogo e della mediazione: di fronte alla migrazione ha chiamato tutti ad una corresponsabilità. È un modello per la Chiesa e per il mondo e la sua attualità è proprio questa.
Seguendo le sue orme, la Congregazione ha aperto parrocchie, ospedali, centri studi e di formazione, case per migranti, centri Stella Maris per i lavoratori del mare. Siamo presenti in 34 Paesi nel mondo. Il sogno di Scalabrini era di essere missionario in India e adesso stiamo cercando di aprire un centro anche lì. Finalmente, Scalabrini da Santo andrà in India.
Voi missionari entrate spesso in contatto con una umanità sofferente, ma anche piena di speranza. C’è un incontro che porta nel cuore e a cui ripensa spesso?
Quando ero a Santiago ed ero chiamato ad occuparmi della comunità peruviana emigrata in Cile come cappellano, il Cardinale mi disse: “Se vuoi essere un bravo missionario, ti suggerisco di andare in Perù per capire come lavorare con questa comunità e visitare le famiglie d’origine di questi migranti”. Così sono andato nella periferia di Lima a trovare una signora anziana per recapitare la lettera che la figlia, una mia parrocchiana, mi aveva consegnato. Quando sono arrivato, la signora ha letto la lettera e si è messa a piangere. Mi ha detto: “Padre, tu mi ha salvato la vita perché io sono molto ammalata e tu hai trovato un lavoro a mia figlia. Con i soldi che mi manda posso comprare le medicine e prendermi cura dei nipoti che lei mi ha dovuto lasciare. Senza questi soldi, io sarei già morta”. Da questo incontro, ho capito che dovevamo creare posti di lavoro. Tornando a Santiago abbiamo aperto un centro di collocamento e negli otto anni successivo abbiamo trovato lavoro a 25mila persone.
Scalabrini ha avuto una visione profetica delle migrazioni e ha sempre creduto che tutti dovessimo fare la nostra parte di fronte a questo fenomeno. Ancora oggi però i migranti sono visti per lo più come un problema e non come una possibile risorsa. Come mai?
Nella nostra società si vuole far passare il migrante come colui che porta insicurezza sociale, che ruba il lavoro. Noi missionari cerchiamo di creare una coscienza più oggettiva possibile sul fenomeno dell’immigrazione. Le azioni della Chiesa devono rispondere alla realtà dei migranti e non alle percezioni che la società ha di loro. Si vendono spesso percezioni distorte, guidate da interessi politici ed economici. La soluzione non è cacciare i migranti. I flussi migratori sono esistiti da sempre, a cambiare è il modo in cui sono stati gestiti nella storia.
A chi propone di fare il blocco del Mediterraneo per arginare gli sbarchi dei migranti in Italia, voi missionari come rispondete?
Noi vogliamo ponti, non muri o blocchi. Ponti tra il Paese d’origine e quello di destinazione. Crediamo come dice Papa Francesco che bisogna “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Il primo diritto del migrante è quello di poter restare nella sua patria, è il diritto allo sviluppo, ma se questo non viene garantito per colpa della guerra, della fame, per motivi politici o economici, la persona ha anche il diritto di vivere dignitosamente altrove. Una volta che il migrante è partito bisogna accoglierlo, proteggerlo e integrarlo. Poi, bisogna continuare a lavorare nel Paese d’origine per promuovere lo sviluppo. I migranti spesso sono un’arma elettorale che si usa per avere più voti o per farsi forti nel partito. Ci vuole un coordinamento tra Stati, tra organismi internazionali, settore privato, sindacati, associazioni e Chiesa. Noi non facciamo promozione dell’immigrazione, ma accoglienza umanitaria a 360 gradi a coloro che sono già emigrati.