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La tristezza dell’anima

«Il discernimento, lo abbiamo visto nelle precedenti catechesi, non è principalmente un procedimento logico; esso verte sulle azioni, e le azioni hanno una connotazione affettiva anche, che va riconosciuta, perché Dio parla al cuore. Entriamo allora in merito alla prima modalità affettiva, oggetto del discernimento, cioè la desolazione. Di cosa si tratta? La desolazione è stata così definita: «L’oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l’anima s’inclina alla sfiducia, è senza speranza, e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste, come separata dal suo Creatore e Signore». … È importante imparare a leggere la tristezza. Tutti conosciamo cosa sia la tristezza: tutti. Ma sappiamo leggerla? Sappiamo capire cosa significa per me, questa tristezza di oggi? Nel nostro tempo, essa – la tristezza – è considerata per lo più negativamente, come un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme per la vita, invitandoci a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono. San Tommaso definisce la tristezza un dolore dell’anima: come i nervi per il corpo, essa ridesta l’attenzione di fronte a un possibile pericolo, o a un bene disatteso. Per questo, essa è indispensabile per la nostra salute, ci protegge perché non facciamo del male a noi stessi e ad altri. … Per chi invece ha il desiderio di compiere il bene, la tristezza è un ostacolo con il quale il tentatore vuole scoraggiarci. In tal caso, si deve agire in maniera esattamente contraria a quanto suggerito, decisi a continuare quanto ci si era proposto di fare». Con queste riflessioni Papa Francesco continua l’approfondimento sul discernimento.

In genere i santi vengono rappresentati con un volto triste quando devono esprimere la Passione di Cristo e con un volto ilare quando devono rappresentare la gioia della Resurrezione. San Francesco d’Assisi viene raffigurato sempre con entrambe le caratteristiche, col volto gioioso e con le stimmate della passione, ma com’era in realtà la sua anima? Le FF riportano il pensiero dello stesso nostro Serafico Padre: “Un giorno, mentre, ritirato in luogo solitario, piangeva ripensando con amarezza al suo passato, si sentì pervaso dalla gioia dello Spirito Santo, da cui ebbe l’assicurazione che gli erano stati pienamente rimessi tutti i peccati. Rapito fuori di sé e sommerso totalmente in una luce meravigliosa che dilatava gli orizzonti del suo spirito, vide con perfetta lucidità l’avvenire suo e dei suoi figli. Dopo l’estasi, ritornò dai frati e disse loro: «Siate forti, carissimi, e rallegratevi nel Signore. Non vogliate essere tristi, perché siete in pochi, e non vi faccia paura la mia o la vostra semplicità; poiché, come il Signore mi ha mostrato con una visione veritiera, Iddio ci farà diventare una grande moltitudine e la sua grazia e la sua benedizione ci faranno crescere in molti modi»” (FF 1057). “Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa a malincuore, gli disse: «Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno. Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri». E poco dopo: «Gli avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni». Amava poi tanto l’uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece scrivere in un capitolo queste parole: «Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi» (FF 712). Papa Francesco conclude: «San Paolo ricorda che nessuno è tentato oltre le sue possibilità, perché il Signore non ci abbandona mai e, con Lui vicino, possiamo vincere ogni tentazione. E se non la vinciamo oggi, ci alziamo un’altra volta, camminiamo e la vinceremo domani. Ma non permanere morti – diciamo così – non permanere vinti per un momento di tristezza, di desolazione: andate avanti. Che il Signore ti benedica in questo cammino – coraggioso! – della vita spirituale, che è sempre camminare».

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