Commento al Vangelo Mt4,12-23
Una luce è sorta. Che bella questa espressione che troviamo nel Vangelo; sul serio questo Dio è con noi, prende carne, fa delle scelte concrete nella sua vita. Il Vangelo ci racconta da dove prende carne, da dove parte la missione di Gesù, in un territorio non proprio amato, potremmo veramente dire le periferie della fede ebraica. Il Vangelo ci racconta che Gesù da Nazareth scende ad abitare sulle rive del lago a Cafarnao. Sì, ancora una volta Dio viene ad abitare, Dio viene a stare, prende dimora. Anche lui ha bisogno di un posto riparato, un luogo accogliente, di amici che dimostrano il loro affetto.
Gesù non è uno straccione senza tetto (possiamo contare nel Vangelo almeno tre case per Gesù). Dal suo villaggio sperduto, Gesù si stabilisce sulla via del mare, luogo di passaggio, un crocevia di attività dove egli poteva cominciare il suo annuncio, la sua opera. Il villaggio di Capharnaum era un piccolo villaggio di pescatori a nord del Lago di Galilea che era diventato improvvisamente famoso perché si era ritrovato sul confine di due nuove strutture di Erode, per cui era un crocevia per gli scambi commerciali. Una cosa mi sorprende sempre: Gesù va lì, dice Matteo, per realizzare una profezia. Gesù si stabilisce nel territorio di Zabulon e Neftali per compiere una profezia.
La terra di Zabulon e di Neftali era la porzione di terra che era stata assegnata a queste due tribù che prendono il nome a loro volta dai figli di Giacobbe. Si trovavano all’estremo nord della terra di Israele e queste due tribù erano state le prime a cadere sotto la pressione dei nemici, gli Assiri nel 722 a.C..; da allora erano passati secoli e lì ormai c’erano popolazioni meticcie, ebrei mischiati con altre razze e culture, e quindi non erano viste di buon occhio dalla visione pura del tempio dei farisei e dei dottori della legge. Gesù va proprio lì, lì ai confini, nella regione di morte, in quel posto che non vediamo di buon occhio.
Quante volte anche per noi, nelle terre inesplorate del nostro cuore, quelle più lontane, quelle che non ti piacciono, quelle in cui ormai hai perso la speranza di poter cambiare, di poter riprendere il controllo, siamo visitati da Dio per realizzare la profezia più bella che è la nostra vita? Qual è la tua Zabulon? Qual è la tua Neftali? Perché Dio ci vuole incontrare? Perché Dio viene a visitare quelle parti della nostra vita che sono nelle tenebre? Per farci dono di una parola, per donarci una parola. Non miracoli ma una parola che fa miracoli! La parola ha un doppio potere: può incatenarci o liberarci. Una parola può condannare il cuore dell’uomo e se l’uomo si convince di quella parola tutta la vita può diventare una regione di tenebra. Quante parole degli altri ci hanno rovinati! La parola di Cristo libera! In quelle terre il Vangelo ci dice che Gesù ci fa dono della sua prima parola: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”. Prima di tutto essa ci parla di vicinanza: Dio si è fatto vicino, Dio è qui, credi alla buona notizia che Dio ti ama, credi nella buona notizia che Dio ti raggiunge là dove tu sei! È il mistero del Natale! Dio ti dice: visto che non ce la fai, vengo io da te! Arrivo io da te! Non sono le parole che abbiamo sempre cercato da qualcuno? Stare con qualcuno non è il desiderio di chi si sente solo, il desiderio di chi vuole compagnia per essere capito, accompagnato, amato? Non era forse anche il tuo desiderio? Ebbene ecco Dio risponde a questo tuo desiderio, lo capisci? La seconda parola è conversione.
La conversione non è frutto di uno sforzo personale. Non è cambiare delle azioni, come cominciare la dieta il lunedì. Quello è solo il primo passo. La conversione nasce da uno sguardo diverso. Si, da uno sguardo, dall’incontro di due occhi che si amano sul serio. Su quella via del mare, in quelle terre, si può incontrare uno sguardo diverso come è accaduto per Pietro e gli altri proprio mentre gettavano le reti, all’inizio del lavoro, mentre si inaugura un altro tentativo di procurarsi la vita, come facciamo ciascuno di noi ogni giorno. Le reti, quella fatica quotidiana, quelle giornate no, quella routine. E questi si sentono dire c’è un’altra vita. Quello sguardo ha cambiato loro la vita. Quando una persona è innamorata di un’altra pronuncia il nome dell’amato in un modo unico. Anche la mamma sa pronunciare il nome dei figli in un modo unico e quando pronuncia il nome del figlio che più la fa soffrire, ci mette un accento d’amore particolare. Quando ti senti chiamare così, senti che c’è qualcosa di nuovo.
Così comincia la conversione. Simone e Andrea pescavano pesci e possono pescare persone, salvare vite, tirare nel regno tanta gente dispersa malata di buio, che con una parola può essere liberata. Ci sono tante persone che aspettano questo sguardo e che attendono quella parola per essere liberati da quella regione di morte. Non mettere davanti a tutto questo i difetti perché Gesù chiama persone piene di difetti: Pietro appartenente al gruppo dei rivoluzionari “Bar Jona”, Giacomo e Giovanni apostolo che hanno un caratteraccio ecc. Il Signore li chiama perché lo aiutino ad annunciare il regno. Questa possibilità possiamo averla anche noi. Buona domenica!
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Si comincia proprio da lì!
Commento al Vangelo Mt4,12-23
Una luce è sorta. Che bella questa espressione che troviamo nel Vangelo; sul serio questo Dio è con noi, prende carne, fa delle scelte concrete nella sua vita. Il Vangelo ci racconta da dove prende carne, da dove parte la missione di Gesù, in un territorio non proprio amato, potremmo veramente dire le periferie della fede ebraica. Il Vangelo ci racconta che Gesù da Nazareth scende ad abitare sulle rive del lago a Cafarnao. Sì, ancora una volta Dio viene ad abitare, Dio viene a stare, prende dimora. Anche lui ha bisogno di un posto riparato, un luogo accogliente, di amici che dimostrano il loro affetto.
Gesù non è uno straccione senza tetto (possiamo contare nel Vangelo almeno tre case per Gesù). Dal suo villaggio sperduto, Gesù si stabilisce sulla via del mare, luogo di passaggio, un crocevia di attività dove egli poteva cominciare il suo annuncio, la sua opera. Il villaggio di Capharnaum era un piccolo villaggio di pescatori a nord del Lago di Galilea che era diventato improvvisamente famoso perché si era ritrovato sul confine di due nuove strutture di Erode, per cui era un crocevia per gli scambi commerciali. Una cosa mi sorprende sempre: Gesù va lì, dice Matteo, per realizzare una profezia. Gesù si stabilisce nel territorio di Zabulon e Neftali per compiere una profezia.
La terra di Zabulon e di Neftali era la porzione di terra che era stata assegnata a queste due tribù che prendono il nome a loro volta dai figli di Giacobbe. Si trovavano all’estremo nord della terra di Israele e queste due tribù erano state le prime a cadere sotto la pressione dei nemici, gli Assiri nel 722 a.C..; da allora erano passati secoli e lì ormai c’erano popolazioni meticcie, ebrei mischiati con altre razze e culture, e quindi non erano viste di buon occhio dalla visione pura del tempio dei farisei e dei dottori della legge. Gesù va proprio lì, lì ai confini, nella regione di morte, in quel posto che non vediamo di buon occhio.
Quante volte anche per noi, nelle terre inesplorate del nostro cuore, quelle più lontane, quelle che non ti piacciono, quelle in cui ormai hai perso la speranza di poter cambiare, di poter riprendere il controllo, siamo visitati da Dio per realizzare la profezia più bella che è la nostra vita? Qual è la tua Zabulon? Qual è la tua Neftali? Perché Dio ci vuole incontrare? Perché Dio viene a visitare quelle parti della nostra vita che sono nelle tenebre? Per farci dono di una parola, per donarci una parola. Non miracoli ma una parola che fa miracoli! La parola ha un doppio potere: può incatenarci o liberarci. Una parola può condannare il cuore dell’uomo e se l’uomo si convince di quella parola tutta la vita può diventare una regione di tenebra. Quante parole degli altri ci hanno rovinati! La parola di Cristo libera! In quelle terre il Vangelo ci dice che Gesù ci fa dono della sua prima parola: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”. Prima di tutto essa ci parla di vicinanza: Dio si è fatto vicino, Dio è qui, credi alla buona notizia che Dio ti ama, credi nella buona notizia che Dio ti raggiunge là dove tu sei! È il mistero del Natale! Dio ti dice: visto che non ce la fai, vengo io da te! Arrivo io da te! Non sono le parole che abbiamo sempre cercato da qualcuno? Stare con qualcuno non è il desiderio di chi si sente solo, il desiderio di chi vuole compagnia per essere capito, accompagnato, amato? Non era forse anche il tuo desiderio? Ebbene ecco Dio risponde a questo tuo desiderio, lo capisci? La seconda parola è conversione.
La conversione non è frutto di uno sforzo personale. Non è cambiare delle azioni, come cominciare la dieta il lunedì. Quello è solo il primo passo. La conversione nasce da uno sguardo diverso. Si, da uno sguardo, dall’incontro di due occhi che si amano sul serio. Su quella via del mare, in quelle terre, si può incontrare uno sguardo diverso come è accaduto per Pietro e gli altri proprio mentre gettavano le reti, all’inizio del lavoro, mentre si inaugura un altro tentativo di procurarsi la vita, come facciamo ciascuno di noi ogni giorno. Le reti, quella fatica quotidiana, quelle giornate no, quella routine. E questi si sentono dire c’è un’altra vita. Quello sguardo ha cambiato loro la vita. Quando una persona è innamorata di un’altra pronuncia il nome dell’amato in un modo unico. Anche la mamma sa pronunciare il nome dei figli in un modo unico e quando pronuncia il nome del figlio che più la fa soffrire, ci mette un accento d’amore particolare. Quando ti senti chiamare così, senti che c’è qualcosa di nuovo.
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Don Cristian Solmonese
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