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Perché la mafia teme la memoria

Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di “Libera”, sottolinea l’importanza della Giornata del 21 marzo dedicata al ricordo delle vittime: “Ricordare chi ha pagato con la vita il contrasto alle organizzazioni mafiose è un potente segnale di ribellione”. La riflessione di Don Ciotti

Martedì 21 marzo si celebra in Italia la 28ª Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa dall’associazione “Libera” in collaborazione con “Avviso Pubblico”, a cui aderisce una vasta rete formata da enti locali, associazioni, scuole, sindacati, realtà sociali e cittadini. Brescia, su iniziativa della sezione locale di Libera, ha ospitato nei giorni scorsi don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione, che ha idealmente aperto un fitto programma di incontri, momenti di riflessione e spettacoli rivolti essenzialmente al mondo della scuola e dei giovani.

“Dobbiamo prendere coscienza – ha affermato don Luigi Ciotti – che per combattere la mafia è fondamentale conoscere. La conoscenza del fenomeno mafioso porta alla consapevolezza e alla presa di coscienza che ognuno in questa battaglia è chiamato a fare la propria parte”. Il fondatore di Libera ha anche posto in evidenza come l’Italia sia esposta al rischio della normalizzazione. “Siccome la criminalità mafiosa uccide meno di un tempo, si è portati a credere che questa sia in fase di esaurimento. Occorre, invece, ribadire che è tutt’altro che morta. Mafia e corruzione sono ancora più forti di prima”. Dinanzi a questa situazione, ha ricordato ancora, tutti sono chiamati come cittadini e anche come credenti, ad assumersi la propria parte di responsabilità, “anche la Chiesa, annunciando la parola di Dio e ricordando a ogni cristiano che viverla chiede anche di accogliere Dio”.

Ma come e in che modo questa accoglienza contrasta la mafia? “Stando vicino ai più deboli, agli ultimi, agli emarginati – è stata la risposta di don Ciotti – che molto spesso sono proprio le persone che hanno il coraggio di ribellarsi alla mafia e che chiedono una mano per continuare a dire il loro no alle logiche mafiose”. Il sacerdote ha anche ribadito che la comunità cristiana in questa sfida alla mafia non può solo limitarsi a fare affidamento sullo Stato, ma deve assumersi la sua parte di responsabilità, non limitandosi a essere cristiana “a intermittenza, a seconda dei momenti e delle emozioni, ma deve farlo nella continuità”, guardando sì al cielo, ma non dimenticando i doveri che ha “verso la terra, nella lotta contro il male, contro le forme di violenza, contro la corruzione, contro la mafia. Un cristiano – ha concluso – di fronte al male non può restare inerte, ma deve darsi da fare”.

Le riflessioni di don Ciotti sono condivise anche da Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di “Libera”, da sempre impegnato nella lotta alla mafia e nello spiegare alle giovani generazioni questo dovere civile.

Professore, cos’è oggi la mafia e come la si combatte?

La mafia, nonostante le trasformazioni e gli adattamenti che ha conosciuto nel tempo, continua a essere una forma di esercizio del potere fondata sull’arbitrio, sul sopruso e sulla contrapposizione alla legge. Come la si combatte? In primo luogo, con l’attività di indagine e con la repressione. Importanti sono anche l’educazione che si fa nelle scuole, la partecipazione civile e l’utilizzo di un linguaggio nitido che sappia definire in modo preciso le cose. C’è bisogno anche di una Chiesa che affianchi le istituzioni in questa battaglia e di una cultura che sappia valorizzare quel patrimonio che nasce dalle battaglie contro la mafia.

Qual è il valore della Giornata del 21 marzo?

Aiuta a comprendere che essenziale nella lotta alla mafia è anche la memoria, che va sottratta all’uso intimidatorio che della stessa fanno le organizzazioni. Dobbiamo, invece, trasmettere la memoria di queste persone perché ci aiutino, facciano da pungolo a ribellarci al potere mafioso e a costruire altri tipi di società. Fare memoria di queste vittime è già un atto di ribellione in sé perché le sottrae all’oblio e le rende attuali e rivoluzionarie anche dopo 20, 30, 40 anni dalla loro uccisione. Il 21 marzo, la memoria di chi ha pagato in prima persona questa battaglia, indica la strada per andare verso la speranza.

È solo la società civile, con associazioni e movimenti, a guidare questo cammino di speranza?

No, ora non più. Il lavoro di denuncia e di ribellione svolto dalla società civile è arrivato anche nelle stanze delle istituzioni che oggi sono convintamente in campo contro la mafia. È definitivamente finito il tempo in cui sembrava prevalere la logica del quieto vivere e il merito di questo va ancora alle tante vittime innocenti. Le loro storie, anche se sempre più lontane nel tempo, contano ancora anche grazie alla vocazione al racconto che caratterizza il movimento antimafia. E questo è un fatto insolito in una società come quella attuale che sembra non raccontarsi, che non cerca di capire dove può avere sbagliato.

Fonte: Massimo Venturelli – La voce del popolo

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