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Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo

Sintesi della quinta predica del card. Cantalamessa

Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo! (Gv 16,33). Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi (14,16-17). Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. (14,26) Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio (15,26-27). È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi (16, 7).

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. (16,12-14)

«Ma che cos’è e chi è lo Spirito Santo che promette? È lui stesso, Gesù, o un altro? Se è lui stesso, perché dice in terza persona: “quando verrà il Paraclito…”; se è un altro, perché dice in prima persona: “Verrò a voi”? Tocchiamo il mistero del rapporto tra il Risorto e il suo Spirito. Rapporto così stretto e misterioso che san Paolo sembra talvolta identificarli. Scrive infatti: “Il Signore è lo Spirito”, ma poi aggiunge senza soluzione di continuità: “e dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2Cor 3,17). Se è lo Spirito del Signore, non può essere, puramente e semplicemente, il Signore.

La risposta della Scrittura è che lo Spirito Santo, con la redenzione, è diventato “lo Spirito di Cristo”; è il modo con cui il Risorto opera ormai nella Chiesa e nel mondo, essendo stato “costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione, in virtù della risurrezione dai morti” (Rom 1,4). Ecco perché egli può dire ai discepoli: “È bene che io me ne vada” e aggiungere: “ma non vi lascerò orfani”.

Dobbiamo liberarci completamente da una visione della Chiesa deistica o cartesiana. Come veniva concepito il rapporto tra Dio e il mondo in questa visione? Più o meno così: Dio all’inizio crea il mondo e poi si ritira, lasciando che si sviluppi con le leggi che gli ha dato; come un orologio a cui è stata data una carica sufficiente per funzionare indefinitamente per conto suo. Ogni nuovo intervento da parte di Dio turberebbe questo ordine, ragione per cui i miracoli sono ritenuti inammissibili. Dio, creando il mondo, farebbe come chi dà un buffetto a un palloncino e lo spinge in aria, rimanendo, lui, a terra. Cosa significa questa visione applicata alla Chiesa? Che Cristo ha fondato la Chiesa, l’ha dotata di tutte le strutture gerarchiche e sacramentali per funzionare, e poi l’ha lasciata, ritirandosi nel suo cielo, al momento dell’Ascensione. Come chi spinge in mare una barchetta, rimanendo lui sulla riva.

Ma non è così! Gesù è salito sulla barca ed è dentro di essa. Bisogna prendere sul serio le sue ultime parole in Matteo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Ad ogni nuova tempesta, comprese quelle odierne, egli ci ripete ciò che disse agli apostoli nell’episodio della tempesta sedata: “Perché avete paura, gente di poca fede?” (Mt 8,26). Non ci sono io con voi? Posso affondare io? Può affondare in mare colui che ha creato il mare?
Ho notato con gioia che nell’Annuario Pontificio, sotto il nome del papa, c’è il solo titolo “Vescovo di Roma”; tutti gli altri titoli –Vicario di Gesù Cristo, Sommo Pontefice della Chiesa Universale, Primate d’Italia ecc. – sono elencati come “titoli storici” alla pagina seguente. Mi sembra giusto, soprattutto riguardo a “Vicario di Gesù Cristo”. Vicario è uno che fa le veci in assenza del capo, ma Gesù Cristo non si mai assentato e mai si assenterà dalla sua Chiesa. Con la sua morte e risurrezione, egli è divenuto “capo del corpo che è la Chiesa” (Col 1,18) e tale continuerà ad essere fino alla fine del mondo: il vero e unico Signore della Chiesa.

La presenza di Gesù Cristo «non è una presenza per così dire morale e intenzionale, non è una signoria per procura. Quando non possiamo presenziare di persona a qualche evento, noi diciamo di solito: “Sarò presente spiritualmente!”, ciò che non è di molta consolazione e aiuto a chi ci ha invitato. Quando diciamo di Gesù che è presente “spiritualmente”, questa presenza spirituale non è una forma meno forte di quella fisica, ma infinitamente più reale ed efficace. È la presenza di lui risorto che agisce nella potenza dello Spirito, agisce in ogni tempo e luogo, e agisce dentro di noi.»

Aggeo è uno dei pochissimi testi dell’Antico Testamento che si può datare con precisione il 17 ottobre del 520 a.C.

«Il profeta Aggeo esorta: “Coraggio e al lavoro perché io sono con voi – oracolo del Signore -; il mio Spirito sarà con voi!”. Ma attenti: non si tratta di un vago e sterile “Fatevi coraggio”. Il profeta ha detto in precedenza qual è “il lavoro” a cui devono mettere mano. E siccome esso ci riguarda da vicino, ascoltiamo anche l’oracolo precedente di Aggeo al popolo e ai suoi capi: «Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: “Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore!”. Allora fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo questa parola del Signore: “Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina? Ora, così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati; l’operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato. … Salite sul monte, portate legname, ricostruite la mia casa. In essa mi compiacerò e manifesterò la mia gloria – dice il Signore». (Ag 1,2-8).

La parola di Dio, una volta pronunciata, torna ad essere attiva e attuale ogni volta che viene di nuovo proclamata. Non è una semplice citazione biblica. Siamo noi adesso “questo popolo” a cui è rivolta la parola di Dio. Che cosa sono per noi oggi “le case ben coperte” (qualche traduzione dice: “ben arredate”) in cui siamo tentati di starcene tranquilli? Io vedo tre case concentriche, una dentro l’altra, da cui dobbiamo uscire per salire sul monte e ricostruire la casa di Dio.

La prima casa ben coperta, curata e arredata, è il mio “io”: la mia comodità, la mia gloria, la mia posizione nella società o nella Chiesa. È il muro più difficile da abbattere, il meglio dissimulato. È così facile scambiare il mio onore per l’onore di Dio e della Chiesa, l’attaccamento alle mie idee per attaccamento alla verità pura e semplice. Chi parla, in questo momento non crede di fare eccezione. Stiamo dentro questo nostro guscio come il baco da seta nel suo bossolo: intorno è tutta seta, ma se il baco non rompe il guscio, resterà bruco e non diventerà mai farfalla che vola.

La seconda casa ben coperta da cui uscire per lavorare alla “casa del Signore”, è la mia parrocchia, il mio ordine religioso, movimento o associazione ecclesiale, la mia Chiesa locale, la mia diocesi…Non dobbiamo fraintenderci. Guai se non avessimo amore e attaccamento a queste realtà particolari nelle quali il Signore ci ha posto e di cui siamo forse responsabili. Il male è assolutizzarli, non vedere altro al di fuori di essa, non interessarsi che di essa, criticando e disprezzando chi non la condivide. Perdere di vista, insomma, la cattolicità della Chiesa. Dimenticare, dice spesso il Santo Padre, che “l’intero è maggiore della parte”. Siamo un corpo solo, il corpo di Cristo, e nel corpo, dice Paolo, “se un membro soffre tutto il corpo soffre” (1Cor 12,26). Il sinodo dovrebbe servire anche a questo: a renderci consapevoli e partecipi dei problemi e delle gioie di tutta la Chiesa cattolica.

Ma veniamo alla terza casa ben coperta. Uscire da essa è reso più difficile dal fatto che per secoli ci è stato inculcato che uscire da essa sarebbe stato peccato e tradimento. Leggevo di recente, in occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la testimonianza di una donna cattolica di un paese a religione mista. Da giovane il parroco insegnava che solo ad entrare fisicamente in una chiesa protestante si faceva peccato mortale. E suppongo che lo stesso si diceva, dall’altra parte dello steccato, dell’entrare in una Chiesa cattolica. Parlo, naturalmente della terza casa ben coperta che è la particolare denominazione cristiana a cui apparteniamo e lo faccio nel ricordo ancora fresco dello straordinario e profetico evento dell’incontro ecumenico del Sud Sudan del febbraio scorso. Tutti siamo convinti che parte della debolezza della nostra evangelizzazione e azione nel mondo è dovuta alla divisione e alla lotta reciproca tra cristiani. Si verifica quello che Dio dice sempre nel nostro Aggeo: «Facevate assegnamento sul molto e venne il poco: ciò che portavate in casa io lo disperdevo. E perché? – oracolo del Signore degli eserciti. Perché la mia casa è in rovina, mentre ognuno di voi si dà premura per la propria casa.» (Ag 1,9). Gesù disse a Pietro: “Su questa Pietra edificherò la mia Chiesa”. Non disse: “Edificherò le mie Chiese”. Ci deve essere un senso in cui quello che Gesù chiama “la mia Chiesa”, abbraccia tutti i credenti in lui e tutti i battezzati. L’apostolo Paolo ha una formula che potrebbe assolvere questo compito di abbracciare tutti quelli che credono in Cristo. Nell’inizio della Prima Lettera ai Corinzi egli estende il suo saluto a: “Tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro” (1Cor 1,2).

Non possiamo accontentarci, certo, di questa unità così vasta, ma così vaga. E questo giustifica l’impegno e il confronto, anche dottrinale, tra le Chiese. Ma neppure possiamo disprezzare e non tener conto di questa unità di base che consiste nell’invocare lo stesso Signore Gesù Cristo. Chi crede nel Figlio di Dio crede anche nel Padre e nello Spirito Santo. È verissimo ciò che è stato ripetuto in più occasioni: “ciò che ci unisce è più importante di quello che ci divide”.

L’oracolo di Aggeo sul tempio ricostruito termina con una promessa radiosa: “La gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta, dice il Signore degli eserciti; in questo luogo porrò la pace. Oracolo del Signore degli eserciti (Ag 2,9). Non osiamo dire che tale profezia si avvererà anche per noi e che la casa di Dio che è la Chiesa del futuro sarà più gloriosa di quella del passato che ora rimpiangiamo; possiamo però sperarlo e chiederlo a Dio in spirito di umiltà e pentimento. Non mancano segni incoraggianti: uno tra i più evidenti è proprio la ricerca dell’unità tra i cristiani.

“C’è una liberazione dello Spirito di Dio che dà grande speranza.” (arcivescovo J. Welby)

La parola profetica torna a sprigionare la sua carica di fiducia e di speranza ogni volta che viene proclamata e ascoltata con fede. “Coraggio, dunque! Coraggio, fratelli cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli della Chiesa Cattolica e al lavoro, perché io sono con voi, dice il Signore. Il mio Spirito sarà con voi!”.

A cura di Angela Di Scala

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