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La Chiesa è sinodale se è spalancata a tutti senza burocrazie e formalismi

In Aula Paolo VI, ai partecipanti all’incontro nazionale dei referenti diocesani del Cammino Sinodale italiano, Francesco offre alcune consegne: continuare a camminare in ascolto reciproco, favorendo la corresponsabilità tra vescovi, sacerdoti e laici oltre a dare voce a giovani, donne e poveri: fino a quando la loro presenza resterà una nota sporadica “sarà una Chiesa di pochi”

Nei desideri del Papa c’è una Chiesa “inquieta”. Una Chiesa che superi ogni forma di autoreferenzialità e si lasci interpellare dalle inquietudini della storia. È quanto in sintesi il Pontefice dice a un migliaio di persone che giovedì 25, in Aula Paolo VI, si sono ritrovate con il Vescovo di Roma, dopo aver vissuto il giorno prima, in questo stesso luogo, una nuova tappa del Cammino sinodale italiano con i propri vescovi (riuniti a Roma per la loro Assemblea) e i referenti diocesani del Cammino stesso. Nei gruppi, sul tema principale: “In ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Passi verso il discernimento”, è emerso il racconto delle scelte diocesane legate ai “cantieri” di lavoro della nuova fase sinodale.  

Burocrazie e formalismi appesantiscono la Chiesa

Papa Francesco invita a proseguire con coraggio e determinazione su questa strada di confronto che definisce una esperienza spirituale unica, di conversione e rinnovamento, e incoraggia la valorizzazione del potenziale presente nelle parrocchie e nelle varie comunità cristiane. Un percorso che, precisa, “non è cercare le opinioni della gente e neppure un mettersi d’accordo, è un’altra cosa”.Ricorda il mandato lasciato in occasione del Convegno ecclesiale di Firenze quando indicò nell’umiltà, nel disinteresse e nella beatitudine i tre tratti che devono caratterizzare il volto della Chiesa. 

Una Chiesa sinodale è tale perché ha viva consapevolezza di camminare nella storia in compagnia del Risorto, preoccupata non di salvaguardare sé stessa e i propri interessi, ma di servire il Vangelo in stile di gratuità e di cura, coltivando la libertà e la creatività proprie di chi testimonia la lieta notizia dell’amore di Dio rimanendo radicato in ciò che è essenziale. Una Chiesa appesantita dalle strutture, dalla burocrazia, dal formalismo faticherà a camminare nella storia, al passo dello Spirito, incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo.

Nelle comunità cristiane tutti si sentano a casa

Sessant’anni dopo il Concilio Vaticano II, è “sempre in agguato la tentazione di separare alcuni ‘attori qualificati’ che portano avanti l’azione pastorale”. È quanto osserva il Papa che rinnova l’appello a far crescere la corresponsabilità ecclesiale. “Abbiamo bisogno di comunità cristiane nelle quali si allarghi lo spazio – afferma Francesco – dove tutti possano sentirsi a casa, dove le strutture e i mezzi pastorali favoriscano non la creazione di piccoli gruppi, ma la gioia di essere e sentirsi corresponsabili”.

In tal senso, dobbiamo chiedere allo Spirito Santo di farci comprendere e sperimentare come essere ministri ordinati e come esercitare il ministero in questo tempo e in questa Chiesa: mai senza l’Altro con la “A” maiuscola, mai senza gli altri con cui condividere il cammino. Questo vale per i Vescovi, il cui ministero non può fare a meno di quello dei presbiteri e dei diaconi; e vale anche per gli stessi presbiteri e diaconi, chiamati a esprimere il loro servizio all’interno di un noi più ampio, che è il presbiterio. Ma questo vale anche per l’intera comunità dei battezzati. 

Essere Chiesa aperta

Riconoscere l’altro nella ricchezza dei suoi carismi e della sua singolarità: a questo richiama il Papa nella speranza che la Chiesa si apra a “quanti ancora faticano a vedere riconosciuta la loro presenza nella Chiesa, quanti non hanno voce, coloro le cui voci sono coperte se non zittite o ignorate, coloro che si sentono inadeguati, magari perché hanno percorsi di vita difficili o complessi”. E, a questo proposito, lamenta a braccio che “tante volte sono scomunicati a priori”. Ripete quattro volte di seguito la parola “tutti”, ricordando quanto diceva Gesù di andare ai crocicchi delle strade e incontrare tutti, appunto. 

Dovremmo domandarci quanto facciamo spazio e quanto ascoltiamo realmente nelle nostre comunità le voci dei giovani, delle donne, dei poveri, di coloro che sono delusi, di chi nella vita è stato ferito e che è arrabbiato con la Chiesa. Fino a quando la loro presenza resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale, la Chiesa non sarà sinodale, sarà una Chiesa di pochi.

La “malattia” dell’autoreferenzialità

Ancora una volta Francesco non trascura di nominare l’autoreferenzialità che definisce “una bella malattia che ha la Chiesa”. E aggiunge che “il clericalismo è perversione” e che non è meno dannoso “quando entra nei laici”: allora, dice, “è terribile”.

Sembra che si insinui, un po’ nascostamente, una sorta di “neoclericalismo di difesa”, generato da un atteggiamento timoroso, dalla lamentela per un mondo che non ci capisce più, dal bisogno di ribadire e far sentire la propria influenza. Il Sinodo ci chiama a diventare una Chiesa che cammina con gioia, con umiltà e con creatività dentro questo nostro tempo, nella consapevolezza che siamo tutti vulnerabili e abbiamo bisogno gli uni degli altri.

Si prenda sul serio la parola “vulnerabilità”

A Papa Francesco, lo ammette apertamente nel suo discorso, piacerebbe “che all’interno del Cammino sinodale si prendesse sul serio questa parola: vulnerabilità”. Il suo invito è a “camminare cercando di generare vita, di moltiplicare la gioia, di non spegnere i fuochi che lo Spirito accende nei cuori”. A questo punto cita Don Primo Mazzolari quando scriveva sul rischio di un certo agire dei preti che, invece di accendere i cuori dei fratelli, ne soffocano la vita. E ancora, in conclusione, Francesco dedica un pensiero a quanti operano nelle carceri, ricordando l’esperienza di un amico cappellano in Spagna che si impegna molto nel far emergere il meglio dai detenuti. Alla luce di questa testimonianza che, dice il Papa, lo ha molto colpito, lascia un’ultima consegna: essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo.

Siamo chiamati a raccogliere le inquietudini della storia e a lasciarcene interrogare, a portarle davanti a Dio, a immergerle nella Pasqua di Cristo. Il grande pericolo di questo Cammino è la paura. Formare dei gruppi sinodali nelle carceri vuol dire mettersi in ascolto di un’umanità ferita, ma, nel contempo, bisognosa di redenzione.

Il Sinodo non lo facciamo noi, ma lo Spirito che crea armonia

In ultimo, Papa Francesco ripone l’accento ancora una volta sull’opera dello Spirito Santo, vero protagonista del Cammino sinodale. A braccio, insiste: “Non ci facciamo illusioni che il Sinodo lo facciamo noi. È lo Spirito il protagonista”. E precisa: 

È Lui il protagonista del processo sinodale: è Lui che apre i singoli e le comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui soprattutto che crea l’armonia. 

Ringraziando del lavoro che la Chiesa in Italia sta facendo, si congeda accennando a quanto qualcuno gli avrebbe espresso circa l’apparente “disordine” creato da questo percorso a cui la Chiesa è chiamata in questo tempo. La sua replica, a braccio, ci riporta alla condizione degli apostoli la mattina di Pentecoste, quando, osserva il Papa, “era peggio, era un disordine totale”.

Lui è bravo per fare queste cose: disordine… per muovere… Ma lo stesso Spirito che ha provocato quello, ha provocato l’armonia. Entrambe le cose sono parte dello Spirito e Lui è il protagonista, è Lui che fa queste cose. Non avere paura quando ci sono disordini provocati per lo Spirito, avere paura quando sono provocati dai nostri egoismi o dallo Spirito del male. Affidiamoci allo Spirito Santo. Lui è l’armonia. Lui fa tutto questo, il disordine, ma Lui è capace di fare l’armonia che è una cosa totalmente diversa dall’ordine che noi potremmo fare da noi stessi.

Fonte: Antonella Palermo – Vatican news

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