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I linguaggi, la cultura e la proposta cristiana

Questa la sintesi del lavoro sviluppato dal tavolo che vedeva come partecipanti, oltre alla nostra Pina Trani, Rosella Bressani, Don Mirco Cesarini, Carla Anita Guida, don Salvatore Miscio, don Giordano Trapasso, Lucia Vantini (segretaria), Marina Zola

Tema di lavoro

La scelta del focus è caduta con una buona convergenza sul punto 2.1 – linguaggi e mediazione culturale – per diversi motivi:

  1. L’estraneità e l’inadeguatezza delle formulazioni del discorso cristiano costituiscono effettivamente un’urgenza del tempo presente;
  2. Si possono assumere le nuove domande;
  3. Questa prospettiva permette di intercettare anche tutte le altre: dialogo con la cultura sul piano della formazione e della comunicazione, ruolo della teologia (sconosciuta e disincarnata), espressività della liturgia.
  4. Si sottolinea in particolare come una riflessione sul linguaggio quale orizzonte in cui esprimiamo quello che proviamo e quello che sappiamo porti inevitabilmente ad assumersi il problema della distanza tra liturgia e vita (cfr. per esempio le collette previste per il funerale dei bambini, l’insignificanza di parole come Paraclito, l’equivocità del termine “sacrificio” e l’oscurità della stessa parola “sinodo”).
  5. Allo stesso tempo si fa presente che i diversi contesti della vita ordinaria in cui i soggetti sono implicati sono luoghi di evangelizzazione ma anche di sperimentazione dello Spirito che sempre anticipa ogni missione.

Le esperienze sinodali connesse

Tutte/i abbiamo rimarcato l’assenza di esperienze sinodali formalmente specificate in questo senso, ma non è stato difficile riconoscere un lavoro sul linguaggio in diverse pratiche pastorali delle comunità. Questo lavoro è accaduto ogni volta che abbiamo incrociato linguaggi (es. quello evangelico con quello musicale), abbiamo sollevato domande dirette sulla fede o scomode per le nostre abitudini ecclesiali, abbiamo provato a intercettare le domande del territorio (perché anche i luoghi parlano e si esprimono in diverse lingue), negli incontri abbiamo fatto attenzione alle differenze (Pentecoste non è Babele) e a come le pratiche simboliche non verbali le trattano, abbiamo parlato non dei giovani ma con i giovani, ci siamo domandati dove finiscono le parole che le chiese hanno ascoltato e perché a volte i processi comunicativi tra clero e laicato si interrompono, o ci siamo immersi in nuovi linguaggi assumendoci il compito della traduzione,abbiamo vissuto in qualche modo un’esperienza sinodale centrata anche sul linguaggio, sulle sue fatiche e sulle sue risorse.

Approfondimenti possibili

Gli approfondimenti possibili riguardano diversi aspetti:

  1. Il coraggio di prendere atto delle parole e dei linguaggi “consumati”;
  2. La creatività di sperimentare contaminazioni linguistiche senza paura di scandalizzare o di perdere l’essenziale;
  3. Nuova attenzione allo “stile comunicativo”: non dall’alto al basso, non dall’uno ai molti, non il noi/voi, ma la circolarità dello scambio;
  4. Serio esame dell’espressività dei luoghi e dei contesti: ascoltare le lingue altre;
  5. Riflettere sui tabù del linguaggio cristiano: dove passa la linea di confine tra ciò che è dicibile e ciò che non lo è?
  6. Questione dell’amore come questione centrale: il nostro linguaggio sull’amore è apologetico, di difesa e di condanna, e non riesce a comunicare che la qualità di un sentimento si misura sul desiderio e sulla disponibilità di dare la vita per chi si ama (cosa che per esempio riesce a fare una serie TV cinese);  

Contributi concreti a livello nazionale

Difficile in questo momento esprimere qualcosa di preciso su questo. Ciò che è emerso dal confronto può essere così sintetizzato:

  1. Creare e sostenere spazi di confronto sulla formazione, a tutti i livelli;
  2. Connettere il lavoro con quello dell’Ufficio liturgico nazionale;
  3. Attivare laboratori di vita condivisa, di pratiche comuni tra soggetti differenti (es. passeggiate su ispirazione della Laudato si’).

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