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Non per il sacerdozio ma per il servizio

Diventati ministri, rappresentano il segno sacramentale di Cristo-servo e della Chiesa-serva

Chi sono i diaconi permanenti: laici ben preparati o altro? Già san Paolo parla dei diaconi assieme ad altri collaboratori (cfr. Fil 1,1), senza specificarne né le singole mansioni, né il ruolo svolto nell’opera di evangelizzazione e formazione nelle singole comunità e nelle celebrazioni liturgiche. Emerge però che i diaconi sono considerati ministri della Chiesa locale, con responsabilità di governo non ben definite, accanto ai vescovi ed ai presbiteri. Il quadro che emerge dalle lettere di San Paolo (cfr. Tt1 5-9; Tm 2,24-26; 2Cor 1,24; 1Ts 3,2; Col 1,7) e di San Pietro (1Pt 5,1-3) li vede come compagni nell’opera di evangelizzazione e associati nell’assumere il ruolo di supplenza degli Apostoli.

San Paolo comincia a delinearne la figura con le istruzioni date a Timoteo nella I lettera (3,8-13) sui criteri di discernimento da seguire sull’idoneità dei candidati alla diaconia ordinaria (E. Petrolino, Enchiridion sul diaconato, cap.1).

Gli Atti degli Apostoli forniscono poi l’immagine della diakonia, come frutto della conformazione a Cristo che lo Spirito operava nei credenti e di qui la loro istituzione “al servizio delle mense”, a favore dei poveri. Insomma, inizia ad essere introdotto il clima diaconale che ancora oggi sorregge il senso del ministero. Nel corso degli anni il diaconato è stato poi considerato nella sola dimensione transeunte, per i candidati al sacerdozio.

La costituzione conciliare Lumen Gentium (29) ha ripristinato il Diaconato permanente. In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani “Non per il sacerdozio ma per il servizio”. Il diacono, dunque, è un ministro ordinato in quanto riceve il sacramento dell’Ordine Sacro.

I diaconi “sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione con il vescovo ed i suoi sacerdoti”. Sono dunque il segno sacramentale di Cristo-servo e della Chiesa-serva. In stretta dipendenza dal vescovo ed in collaborazione con il presbiterio diocesano, compito del diacono è “fermentare la comunità e per il suo quotidiano inserimento nel tessuto dell’umanità (ed) è chiamato a suscitare e animare i vari servizi subordinati sia istituiti che riconosciuti di fatto, in risposta ai bisogni e alle esigenze pastorali della Chiesa” (CEI).

La particolarità del ministero è il vincolo stretto con il proprio vescovo. Il diacono è infatti al servizio del vescovo, quale Cristo Servo, e il suo è un servizio ad ministerium per le necessità del Popolo di Dio. Infatti, la Lumen Gentium specifica che il diacono è ordinato per il ministero. A suggellare ancor di più il legame diretto con il vescovo, il rito di ordinazione prevede l’imposizione le mani del solo vescovo e non dei presbiteri, come avviene nell’ordinazione sacerdotale. Nella chiesa antica, i diaconi svolgevano un compito di cerniera tra il vescovo e la comunità per le situazioni di bisogno.

La pienezza del ministero è identica sia per i diaconi permanenti, sia per i diaconi transeunti (cioè per quanti poi accedono al presbiterato), in quanto la pienezza del Sacramento non muta. Non c’è diacono minore o maggiore. Il diaconato sorge dunque da una vocazione, esattamente come quella al sacerdozio o agli ordini religiosi. E spesso viene sottovalutata, in quanto la sua identità ecclesiale deve ancora essere capita e accettata pienamente.

Chi sono i diaconi permanenti: laici ben preparati o altro? Già san Paolo parla dei diaconi assieme ad altri collaboratori (cfr. Fil 1,1), senza specificarne né le singole mansioni, né il ruolo svolto nell’opera di evangelizzazione e formazione nelle singole comunità e nelle celebrazioni liturgiche. Emerge però che i diaconi sono considerati ministri della Chiesa locale, con responsabilità di governo non ben definite, accanto ai vescovi ed ai presbiteri. Il quadro che emerge dalle lettere di San Paolo (cfr. Tt1 5-9; Tm 2,24-26; 2Cor 1,24; 1Ts 3,2; Col 1,7) e di San Pietro (1Pt 5,1-3) li vede come compagni nell’opera di evangelizzazione e associati nell’assumere il ruolo di supplenza degli Apostoli.

San Paolo comincia a delinearne la figura con le istruzioni date a Timoteo nella I lettera (3,8-13) sui criteri di discernimento da seguire sull’idoneità dei candidati alla diaconia ordinaria (E. Petrolino, Enchiridion sul diaconato, cap.1).

Gli Atti degli Apostoli forniscono poi l’immagine della diakonia, come frutto della conformazione a Cristo che lo Spirito operava nei credenti e di qui la loro istituzione “al servizio delle mense”, a favore dei poveri. Insomma, inizia ad essere introdotto il clima diaconale che ancora oggi sorregge il senso del ministero. Nel corso degli anni il diaconato è stato poi considerato nella sola dimensione transeunte, per i candidati al sacerdozio.

La costituzione conciliare Lumen Gentium (29) ha ripristinato il Diaconato permanente. In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani “Non per il sacerdozio ma per il servizio”. Il diacono, dunque, è un ministro ordinato in quanto riceve il sacramento dell’Ordine Sacro.

I diaconi “sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione con il vescovo ed i suoi sacerdoti”. Sono dunque il segno sacramentale di Cristo-servo e della Chiesa-serva. In stretta dipendenza dal vescovo ed in collaborazione con il presbiterio diocesano, compito del diacono è “fermentare la comunità e per il suo quotidiano inserimento nel tessuto dell’umanità (ed) è chiamato a suscitare e animare i vari servizi subordinati sia istituiti che riconosciuti di fatto, in risposta ai bisogni e alle esigenze pastorali della Chiesa” (CEI).

La particolarità del ministero è il vincolo stretto con il proprio vescovo. Il diacono è infatti al servizio del vescovo, quale Cristo Servo, e il suo è un servizio ad ministerium per le necessità del Popolo di Dio. Infatti, la Lumen Gentium specifica che il diacono è ordinato per il ministero. A suggellare ancor di più il legame diretto con il vescovo, il rito di ordinazione prevede l’imposizione le mani del solo vescovo e non dei presbiteri, come avviene nell’ordinazione sacerdotale.

Nella chiesa antica, i diaconi svolgevano un compito di cerniera tra il vescovo e la comunità per le situazioni di bisogno. La pienezza del ministero è identica sia per i diaconi permanenti, sia per i diaconi transeunti (cioè per quanti poi accedono al presbiterato), in quanto la pienezza del Sacramento non muta. Non c’è diacono minore o maggiore. Il diaconato sorge dunque da una vocazione, esattamente come quella al sacerdozio o agli ordini religiosi. E spesso viene sottovalutata, in quanto la sua identità ecclesiale deve ancora essere capita e accettata pienamente.

Il diacono è chiamato, per il proprium del ministero, a portare Cristo nelle varie situazioni della vita e di luoghi, là dove lo Spirito soffia: sul lavoro, in fabbrica, in ufficio, nella libera professione, in famiglia, in viaggio, nel condominio, nel quotidiano. Quindi in un ambito sociale, culturale, formativo, assistenziale. 

Il can. 1009 del Codice di Diritto Canonico, al paragrafo 3, riporta: «Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità».

L’immenso campo della vita è il luogo proprio dell’esercizio del diaconato (D. Vitali, Diaconi che fare?, pag. 158). Egli compie al di dentro e al di fuori della Chiesa la funzione di stimolo a vivere la carità di Cristo, cuore del mondo (Card. C. Ursi, Chiesa tutta ministeriale, pagg. 38-39).

Spesso il diacono opera in luoghi e ambiti forse meno accessibili al presbitero, ma con una testimonianza di fede ed impegno familiare forte e credibile, perché vissuta e donata alla vocazione.

Il servizio ai poveri, agli anziani, agli esclusi, insomma al prossimo sofferente caratterizza la pienezza del ministero, che esercita in nome del vescovo o del parroco, assieme all’annuncio e all’ambito liturgico (quest’ultimo forse più visibile). Il diacono infatti proclama il Vangelo, amministra il battesimo, assiste e benedice le nozze, può tenere l’omelia, reca il viatico ai moribondi, presiede al rito dei funerali, guida la preghiera comunitaria e altre celebrazioni.

Il codice di diritto canonico, al paragrafo 2 del can. 517, entrando di fatto nella dimensione ecclesiale del ministero, prevede anche la possibilità di affidare ad un diacono la cura pastorale di una parrocchia; e là dove si avverte maggiormente la mancanza di sacerdoti sono sorte diaconie.

Il ministero è vissuto innanzitutto in famiglia, con la moglie e i figli, che nell’unità formano una piccola Chiesa, comunità di annuncio e testimonianza diaconale. La moglie è il sostegno quotidiano del diacono che ha la peculiarità, quindi, di ricevere sia il sacramento del Matrimonio, sia l’Ordine Sacro. La vocazione sorge nel matrimonio, si sviluppa nel matrimonio, si realizza innanzitutto nel matrimonio, con il sostegno e l’aiuto della moglie, che dona con amore qualcosa del marito alla sua vocazione.

Il ministero vissuto nelle parrocchie, là dove il vescovo li destina (perché è il vescovo che invia i diaconi nelle singole parrocchie, per l’aiuto ai parroci che li vogliono accogliere), l’animazione di gruppi famiglia e di altre realtà pastorali parrocchiali e diocesane, l’aiuto nella Caritas diocesana e nelle singole Caritas parrocchiali, il servizio negli uffici di curia e comunque negli ambiti delle proprie professioni, rendono il ministero presente, ormai accettato ed utilizzato al pieno servizio della Chiesa e del Popolo di Dio.

Si possono allora chiarire alcuni equivoci, anche curiosi, spesso sorti nell’immediatezza della restaurazione del ministero e non solo: i diaconi permanenti non sono laici ma ministri ordinati; le loro mogli non sono le mogli del “prete”; non sono sacrestani specializzati; non sono solo catechisti ben preparati per la cresima. Perché il ministero abbia la sua pienezza pastorale, è necessario che il diacono, come annuncia l’Esortazione Liturgica, “con l’aiuto di Dio si comporti in modo da essere riconosciuto vero discepolo di Cristo il quale è venuto per servire e non per essere servito” (Pontificale Romano). I diaconi sono il segno della ministerialità vocazionale della Chiesa. Non stanchiamoci mai di pregare per le vocazioni: sacerdotali, diaconali, ministeriali e alla vita consacrata. Sono il dono di Dio alla sua Chiesa che noi dobbiamo con fede e perseveranza invocare.

di Roberto Rapalo

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