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«Trasferire un prete è per il bene di tutti. Più rispetto e comunione»

L’arcivescovo Carboni scrive alle comunità per spiegare spostamenti e fusioni fra le parrocchie. «No ai muri del pianto, impariamo ad accogliere e a collaborare insieme»

Bene del presbitero coinvolto nel trasferimento, bene spirituale della comunità parrocchiale, bene dell’intera diocesi. A questi tre criteri si è sostanzialmente ispirato l’arcivescovo di Oristano, Roberto Carboni, nella recente riorganizzazione pastorale della Chiesa locale che ha interessato 20 parrocchie (poco meno di un quarto), altrettanti Comuni e 13 parroci, di cui sei appartenenti al clero regolare. «Siamo tutti consapevoli – scrive nel messaggio alle comunità – che il numero dei preti disponibili per il ministero pastorale è notevolmente diminuito e, nonostante la generosità di molti sacerdoti, anche avanti negli anni, è ormai assai difficile riuscire ad assicurare un parroco a ogni comunità». In questo giro di trasferimenti, infatti, Carboni si è visto costretto ad assegnare quattro parrocchie (in tutto poco meno di 2mila abitanti) a un solo sacerdote e cinque comunità locali (complessivamente 4mila residenti) a due preti con pari responsabilità giuridica e pastorale.

L’arcivescovo ha cercato di far dialogare tra loro i tre criteri, «illuminati dal discernimento nella preghiera, per non ridurli solo a un esercizio di buon senso o a semplici valutazioni esteriori». L’età, la salute, gli anni di ministero del prete in una determinata parrocchia, le attitudini peculiari del suo ministero pastorale, le fatiche e le difficoltà incontrate sono elementi importanti da tenere in conto quando si propone un trasferimento. «Per questo – aggiunge il presule – il dialogo con le persone interessate è di grande importanza per conoscere difficoltà oggettive e potenzialità, ma anche per stimolare l’apertura al cambiamento che la nuova destinazione necessariamente riserva e chiede». Andare in un’altra comunità parrocchiale «implica – raccomanda il pastore oristanese – dare il giusto spazio al nuovo parroco che arriva e, con delicatezza e sensibilità, farsi da parte per permettere al confratello di iniziare il servizio ministeriale, in dialogo con la nuova comunità. In una parola esorto a non essere invadenti, e neppure a favorire nei fedeli quegli sterili e inutili pellegrinaggi e muri del pianto… ai quali, talvolta, purtroppo si assiste».

Il secondo aspetto riguarda il bene spirituale della comunità parrocchiale che a volte soffre per la partenza di un sacerdote e inizialmente può vivere con una certa fatica l’accoglienza del nuovo parroco e, comunque, ha bisogno di tempo per dialogare col nuovo stile pastorale. Carboni esorta presbiteri e laici «ad avere un atteggiamento di rispetto di quanto è stato fatto prima di loro, di esercitare l’accoglienza e aprirsi a nuove metodologie, sensibilità e percorsi pastorali. Chiedo a tutti di puntare all’essenziale della vita cristiana: l’incontro con il Signore e la carità da vivere tra fratelli e sorelle». Prima di imporre modifiche, occorre convertire i cuori aprendoli a nuove mentalità e prospettive. «Diversamente – scrive l’arcivescovo di Oristano – i cambiamenti saranno sentiti come una imposizione o, peggio ancora, come una prevaricazione esercitata dal nuovo arrivato».

Per quanto riguarda il bene della comunità diocesana, Carboni ricorda che «uno tra gli obiettivi, iniziato già da tempo, è quello di camminare verso una sempre maggiore collaborazione delle zone pastorali, dove diversi sacerdoti si sforzano di lavorare fraternamente. Anche le diverse comunità parrocchiali sono chiamate ad aprirsi per fare decisi passi di comunione con le altre comunità, specie le più vicine».

di Mario Girau – Avvenire

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