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GMG2023 – 7° giorno

Dire che ci sentiamo sgretolare non rende in pieno il come realmente stiamo al risveglio di un’alba che sembra il tramonto e viceversa.

Il compleanno di Antonio, allo scoccare della mezzanotte ha dato luogo a festeggiamenti, canti, trenini, urla, felicità e abbracci stretti che nemmeno lo scudetto del Napoli ha visto. Antonio è un confinante della diocesi Castellamare-Sorrento, e non ha voluto rivelare quanti anni compiva. Con tutto il quadrante abbiamo suonato e cantato come se non ci fosse un domani e come se Antonio fosse il nostro amico di infanzia, quello al quale eravamo legatissimi e che per qualche ragione non abbiamo più visto per parecchio.

Abbiamo quasi del tutto perso la cognizione del tempo, il sole che nasce e che muore non ci dà la esatta collazione nello spazio e nel tempo. Intorno a noi salsicciotti stesi che fanno da involucro ai tanti piccoli bozzoli che lentamente e pigramente si risvegliano. Sembriamo dei bruchi, non perché ci sentiamo pronti a diventare farfalle, ma perché stampate sui volti e lungo il corpo, abbiamo le rughe stropicciate di cuscini di fortuna e i solchi di bisogni non assecondati di acqua, cibo, doccia, deodorante e Dio solo sa che altro. Del “Portoghese” al momento nessuna notizia, o almeno così sembra e se gli occhi ancora impastati di sonno troppo ridotto e di sogni non del tutto sognati, non ci ingannano.

Sentiamo dolenti anche le ossa che non sapevamo di avere, questo sempre che il “Portoghese” non ci abbia infilato un osso in più. Quello pare abbia l’abitudine, una volta è una costola, una volta è lo Spirito Santo, mo’ vai a capire che si è inventato.

Ma siamo troppo stanchi anche solo per provare a replicare col pensiero. Il solo neurone sveglio si è appena accorto che i due sacerdoti che stavano con noi, si sono dileguati, scomparsi, spariti. Risucchiati nel nulla della folla anonima; chissà, forse “il Portoghese” li avrà rapiti, forse li vorrà portare con sé sulla “Colina do Encontro”, magari vorrà mostrare loro qualcosa, vai a capire.

Ma avranno dormito? Li abbiamo lasciati sul tardi e con un occhio semi aperto, prima di cedere alla morsa del sonno, li abbiamo intravisti nel nero della notte, che confessavano, uno dietro l’altro, fino a notte fonda (o sarebbe più corretto dire fino a inizio mattinata?), che Dio li benedica, qualcuno pensa sbadigliando e mettendosi in posizione fetale. “Chissà se è previsto nel contratto di assunzione che i preti debbano dormire poco o niente”, è l’ultimo sciocco pensiero prima di capitombolare nel mondo dei sogni.

Lentamente il sole si alza nel cielo di Lisbona e già a prima mattina è deciso che anche oggi sarà una giornata di fuoco. Estate piena e in pieno solleone.

Arriva il papa, ma avrà dormito pure lui qui? Nemmeno il tempo di lavarsi alle fontanine vicino alla nostra postazione che già siamo pronti per la messa; poco male, nel parco si può stare seduti e rimaniamo comodi. Forse. Il concetto di comodità da qualche giorno a questa parte, subisce accezioni che nemmeno le eccezioni grammaticali riescono a regolamentare.

Pensavamo di averle viste e sentite più o meno tutte le declinazioni del sostantivo femminile “intensità”, ma da oggi è più di un sospetto, occorre ristudiare la grammatica, quella del cuore.

Il fiume di sacerdoti che concelebrano è qualcosa di spettacolare, non solo da un punto di vista scenico ma anche e soprattutto energetico, un’onda di ministri di Dio, che non sai dove inizia e non sai dove finisce, se mai finisce. Un flusso continuo di bellezza, strumenti nelle mani del Signore che possono fare tanto e farlo bene. Il Papa al centro, che sembra seduto in panchina, sì, ma di questa grande squadra, composta da talenti unici e rari, è il direttore sportivo, l’arbitro e l’allenatore messi insieme e copre solo un decimo di quello che realmente rappresenta alle spalle dell’altare, alle spalle del sacerdote che celebra la messa e sotto la Croce.

Parla poco, segue tutto, partecipa alla Consacrazione con quella sua mano da bambino, con le rughe di chi ne ha viste tante e la tenacia e la forza di chi le ha superate tutte.

Guarda caso, che coincidenza, oggi ricorre la trasfigurazione di Nostro Signore Gesù. Il papa va dritto al punto dicendoci che siamo tutti trasfigurati oggi.

Ecco, come dire, diciamo che ognuno è trasfigurato per qualche ragione e magari le ragioni non coincidono proprio del tutto con quelle della originaria trasfigurazione però una cosa è chiara, siamo tutti Pietro, Giacomo, Giovanni e stiamo lì su quel monte a vivere la trasfigurazione, la collina de “Campo da Graça” e cosa ci portiamo dopo aver goduto della bellezza di stare qui? A parte il fatto che noi le tende le abbiamo fatte e pure smontate, il papa ci viene in aiuto, come quando stai all’interrogazione e l’amico ti suggerisce, facendosene accorgere, però. 3 verbi: Brillare, Ascoltare, Non avere paura.

Con l’omelia, tutti gli indizi sin qui raccolti, chiudono il cerchio e la prova delle prove è bell’è che incartata e servita su un piatto di carta, usa e getta (l’argento pesava): “non sono io che parlo, non è il Papa che parla in questo momento e vi guarda. È GESU’ stesso che vi sta guardando in questo momento e conosce il cuore di ognuno di voi, ciascuno con le proprie fragilità, le proprie debolezze e vi dice, qui, in questa GMG, NON ABBIATE PAURA”

Lo ha detto davvero? Cioè ha veramente detto quello che abbiamo sospettato fino ad ora? qualcuno a cui sono avanzati dei Giga e uno scampolo di batteria è andato a controllare in internet, con il replay e lo ha trovato veramente, non lo abbiamo sognato ancora sfatti dalla stanchezza, non è stata una suggestione, lo ha veramente detto!!!!!! È Gesù che vi parla, cioè come dire “torre di controllo rispondete, qui è Gesù che vi parla!” di una semplicità disarmante eppure di un’onda d’urto tanto potente quanto sconvolgente.

Non abbiate paura????? Ma come si fa a non essere sgomenti e assolutamente sopraffatti in una dimensione che assomiglia parecchio al terrore quando senti dire, non solo in italiano ma, a scanso di equivoci, in tutte le lingue del mondo, “È Gesù che vi sta guardando” e lo ha detto proprio lui, il papa. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, come si fa?

Questa cosa al rientro a Ischia ce la devono spiegare, nel viaggio di ritorno forse riposeremo e ai nostri sacerdoti li lasceremo in pace, ma appena arrivati a Ischia occorre che ce la spieghino per bene, passo-passo, come si imbocca un bambino col cucchiaino dosa Plasmon, sennò corriamo il rischio di quelli della pubblicità che dopo la crociera devono andare in terapia.

Il momento del “scambiatevi un segno di Pace” è stato liberatorio, ci siamo abbracciati a tutti, a momenti scambiavamo la pace pure con gli alberi e i pilastri, con le fontanine ed i bidoni dell’immondizia. “Pax Christi”, mica una robetta di quelle “pace, ah sì, pace pure a te”. Il covid ci ha fatto sventolare le mani per non si sa quanto tempo, che era pericoloso toccarsi, ora ci baciamo e ci abbracciamo con tutto il mondo, e a quel paese il covid con le sue paure.

Ci prendiamo la benedizione a mo’ di ceffoni, nel nome del padre, paff!, del figlio, paff!, e dello Spirito Santo, paff! E più storditi di come ci siamo svegliati, ci incamminiamo verso l’uscita o quella che, dalla fiumana di gente che si muove, sembra una via d’uscita.

Con il fardello di una responsabilità mica da ridere, raggiungiamo il pullman, dopo un’ora quasi di cammino su strada rovente, o meglio, su un’autostrada che evidentemente hanno chiuso al traffico per la GMG, ovvero noi, i protagonisti. Fa un po’ sorridere ma tant’è, ce lo hanno detto in tutte le salse.

Sembra di aver fatto un corso intensivo ed accelerato, uno di quelli che non sai che specializzazione avrai fino alla fine, un corso a sorpresa. A noi è capitato quello da paracadutista, con tanto di certificato di abilitazione finale ed ora tocca tornare a casa e non solo lanciarsi dall’Epomeo, ma insegnare a farlo anche agli altri. Questi sono pazzi! Troppo giovani di età per finire in una clinica di salute mentale.

Ci avvarremo del “Si Vis”, se vuoi, giusto, il prete ce lo dice sempre durante la messa, Gesù non obbliga nessuno, anche se……

Torniamo in palestra, riusciamo a fare una doccia, santa e benedetta, eravamo così pieni di terra che chi ci ospitava potrebbe non averci riconosciuti e ci ha scambiati per migranti provenienti dal sud del Sud Africa, di quelli che per scappare, restano digiuni anche 10/15 giorni. Eravamo lerci, sì, ma non morti di fame, almeno non del tutto. I portoghesi devono avere qualche antenato in comune con le nostre nonne, ci hanno visti “sciupati” e “il Portoghese” solo sa (eccerto che lo sa, sta sempre in mezzo), quante pietanze hanno preparato per noi, il nostro arrivo e pure per la ripartenza. E se non fosse che il cibo ha una scadenza avremmo pensato che le avessero preparate anche per la prossima gmg.

Due gigantesche teglie, formato industriale, di carne e salsicce arrostite, pomodori all’insalata da mettere sul pane bruschettato (ma non è che il Portoghese glielo ha suggerito che questo è un piatto tipicamente ischitano?), poi le pizze di tutti i tipi e per il viaggio un rifornimento di snack dolci e salati, neanche dovessimo andarci ora nella Corea del Nord, a piedi.

Che Dio benedica questa piccola, grande, gigantesca comunità. La cura, l’attenzione, la delicatezza e la dedizione nei nostri confronti, difficilmente potremo incontrarla da qualche altra parte. Speriamo di riuscire ad imitarli quando ospiteremo noi qualcuno.

La fretta di partire in orario ci fa andar via senza troppi addii strappalacrime e anche scapicollare in direzione autobus, che raggiungiamo trafelati e con l’ossicino della bistecca ancora tra i canini. Manca Pozzuoli, sgrunt, che dopo venti minuti, finalmente arriva.

17:06, ora italiana, si riparte per Barcellona.

Sarà un lungo viaggio, speriamo di poterlo raccontare. Già qualcuno molla gli ormeggi ancor prima che l’autista giri la chiave per l’accensione. I bagagli non sono stati riposti negli appositi alloggiamenti, sono stati proprio mollati, nella prima intercapedine libera. Gli occhi si chiudono e nel bagliore di un tramonto torna alla mente il monito del Papa, “diventiamo luminosi non mettendoci sotto i riflettori. Tu sarai luminoso il giorno in cui sarai interprete d’amore”. Sipario

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