Commento al Vangelo Mt 25,14-30
Carissimi amici, ancora una domenica e poi comincerà un nuovo anno liturgico. In questo tempo di mezzo tra la prima venuta di Gesù e la seconda, la liturgia ci regale il testo della parabola dei talenti, tante volte mal interpretata. Cosa è un talento? Spesso lo abbiamo identificato con qualcosa che sai fare, con le capacità che uno ha; la parola talento era utilizzata anche come unità di misura. Cosa significa però la parola talento per l’evangelista Matteo? Gesù racconta che viene dato un talento a ciascuno secondo le proprie capacità.
Il talento, dunque, non è una capacità, cioè una cosa che una persona sa fare, ma è qualcosa che viene aggiunto alla nostra vita, estremamente prezioso. Un talento equivarrebbe a circa venti anni di stipendio di una persona. Cosa voleva dire Gesù? E cosa ha comunicato Matteo alla sua comunità? Gesù stava rivolgendosi al popolo d in particolare a quella parte del popolo (farisei, dottori della legge ecc.) che invece di far fruttare i doni che Dio aveva dato alla comunità, li seppellivano sotto terra, facendo di tutto per non farli fruttificare.
Quando Matteo scrive il suo vangelo, la comunità stava vivendo un momento drammatico, ed ecco che Matteo con un linguaggio apocalittico dice che fra la prima venuta e l’ultima venuta di Gesù, il Signore (il re della parabola) affida a noi servi (che non abbiamo competenze) i “talenti della sua presenza”. Quali sono i talenti della sua presenza per la comunità? L’Eucarestia, il Vangelo, la vita comunitaria, le beatitudini, la Parola. Per Matteo, quindi, i talenti sono le cose che Gesù ha lasciato alla sua comunità e a noi. Quali sono i talenti che il Signore ci ha affidato in questo tempo di mezzo? Fate un po’ voi. Potrebbe essere la gioia del Vangelo, l’esperienza di meditare, l’esperienza di chiesa, la carità; ci sono molti talenti che ci sono stati affidati per farli fruttare.
È interessante una cosa: questi servi all’apparenza non avevano competenze perché loro non hanno capacità, non hanno esperienze su questi talenti, perché a loro è stato affidato qualcosa di enorme. Tale è la nostra situazione. Io parlo per me: non credo di essere all’altezza del compito affidatomi, ma il padrone me lo affida ugualmente. Il padrone dice: fai lo stesso, fai come meglio riesci; si fida. Quando il padrone vede che ha fatto bene a fidarsi, cioè che i servi gli portano il doppio, egli continua la condivisione dei beni con i servi. In effetti quando aiutiamo Dio, facciamo crescere il Vangelo, viviamo bene l’Eucarestia ecc., piano piano si innesca un circolo virtuoso che ti fa vedere veramente quanto puoi crescere e fruttificare nella tua vita. La conclusione della parabola ci lascia attoniti: un servo seppellisce il talento e poi lo restituisce.
Il servo ha paura, non ce la fa e tende a proteggere quello che gli è stato dato, senza rischiare. Tutti noi restiamo allibiti dalla risposta del padrone che ci sembra esagerata: il padrone non sono gli toglie il talento e lo da a chi ne ha di più, ma fa cacciare via quel servo. Questo servo è un po’ il simbolo di chi basa la sua fede sulla paura, di chi basa la sua fede sulla propria idea di Dio e non fa nessun cammino per scoprirla. Veramente ognuno incontrerà il Dio che si è fatto con le proprie idee. Se ti sei immaginato un Dio terrificante, che tiene in conto tutto, noi incontreremo quel dio lì.
Quando noi ci rappresentiamo un’immagine distorta di Dio, veramente ci allontaniamo da Dio. La nostra vita diventa quello che temi. La paura si impadronisce di noi: invece di evangelizzare ci basiamo sulla paura, facciamo nascere la fede dalla paura, ci basiamo sul timore, sulla punizione, sul demonio, invece di dire che siamo figli della luce, siamo peccatori riconciliati; certo ancora in evoluzione ma che bello che Dio ci affidi le sue cose, che bello che Dio creda in noi e ci dia la possibilità di far fruttare. Invece di passare il tempo a lamentarti (sport dei cattolici), invece di arroccarti a difesa vedendo il male dovunque, invece di passare il tempo correndo dietro a improbabili devozioni, fai fruttare secondo le tue capacità i talenti che Dio ti ha dato e che non sono poca cosa. Ognuno faccia la sua lista.
Bando alla paura, ritorniamo alla gioia del Vangelo, la gioia reale che il padrone si fida di me e volentieri faccio fruttificare! Buona domenica!
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Bando alla paura!
Commento al Vangelo Mt 25,14-30
Carissimi amici, ancora una domenica e poi comincerà un nuovo anno liturgico. In questo tempo di mezzo tra la prima venuta di Gesù e la seconda, la liturgia ci regale il testo della parabola dei talenti, tante volte mal interpretata. Cosa è un talento? Spesso lo abbiamo identificato con qualcosa che sai fare, con le capacità che uno ha; la parola talento era utilizzata anche come unità di misura. Cosa significa però la parola talento per l’evangelista Matteo? Gesù racconta che viene dato un talento a ciascuno secondo le proprie capacità.
Il talento, dunque, non è una capacità, cioè una cosa che una persona sa fare, ma è qualcosa che viene aggiunto alla nostra vita, estremamente prezioso. Un talento equivarrebbe a circa venti anni di stipendio di una persona. Cosa voleva dire Gesù? E cosa ha comunicato Matteo alla sua comunità? Gesù stava rivolgendosi al popolo d in particolare a quella parte del popolo (farisei, dottori della legge ecc.) che invece di far fruttare i doni che Dio aveva dato alla comunità, li seppellivano sotto terra, facendo di tutto per non farli fruttificare.
Quando Matteo scrive il suo vangelo, la comunità stava vivendo un momento drammatico, ed ecco che Matteo con un linguaggio apocalittico dice che fra la prima venuta e l’ultima venuta di Gesù, il Signore (il re della parabola) affida a noi servi (che non abbiamo competenze) i “talenti della sua presenza”. Quali sono i talenti della sua presenza per la comunità? L’Eucarestia, il Vangelo, la vita comunitaria, le beatitudini, la Parola. Per Matteo, quindi, i talenti sono le cose che Gesù ha lasciato alla sua comunità e a noi. Quali sono i talenti che il Signore ci ha affidato in questo tempo di mezzo? Fate un po’ voi. Potrebbe essere la gioia del Vangelo, l’esperienza di meditare, l’esperienza di chiesa, la carità; ci sono molti talenti che ci sono stati affidati per farli fruttare.
È interessante una cosa: questi servi all’apparenza non avevano competenze perché loro non hanno capacità, non hanno esperienze su questi talenti, perché a loro è stato affidato qualcosa di enorme. Tale è la nostra situazione. Io parlo per me: non credo di essere all’altezza del compito affidatomi, ma il padrone me lo affida ugualmente. Il padrone dice: fai lo stesso, fai come meglio riesci; si fida. Quando il padrone vede che ha fatto bene a fidarsi, cioè che i servi gli portano il doppio, egli continua la condivisione dei beni con i servi. In effetti quando aiutiamo Dio, facciamo crescere il Vangelo, viviamo bene l’Eucarestia ecc., piano piano si innesca un circolo virtuoso che ti fa vedere veramente quanto puoi crescere e fruttificare nella tua vita. La conclusione della parabola ci lascia attoniti: un servo seppellisce il talento e poi lo restituisce.
Il servo ha paura, non ce la fa e tende a proteggere quello che gli è stato dato, senza rischiare. Tutti noi restiamo allibiti dalla risposta del padrone che ci sembra esagerata: il padrone non sono gli toglie il talento e lo da a chi ne ha di più, ma fa cacciare via quel servo. Questo servo è un po’ il simbolo di chi basa la sua fede sulla paura, di chi basa la sua fede sulla propria idea di Dio e non fa nessun cammino per scoprirla. Veramente ognuno incontrerà il Dio che si è fatto con le proprie idee. Se ti sei immaginato un Dio terrificante, che tiene in conto tutto, noi incontreremo quel dio lì.
Quando noi ci rappresentiamo un’immagine distorta di Dio, veramente ci allontaniamo da Dio. La nostra vita diventa quello che temi. La paura si impadronisce di noi: invece di evangelizzare ci basiamo sulla paura, facciamo nascere la fede dalla paura, ci basiamo sul timore, sulla punizione, sul demonio, invece di dire che siamo figli della luce, siamo peccatori riconciliati; certo ancora in evoluzione ma che bello che Dio ci affidi le sue cose, che bello che Dio creda in noi e ci dia la possibilità di far fruttare. Invece di passare il tempo a lamentarti (sport dei cattolici), invece di arroccarti a difesa vedendo il male dovunque, invece di passare il tempo correndo dietro a improbabili devozioni, fai fruttare secondo le tue capacità i talenti che Dio ti ha dato e che non sono poca cosa. Ognuno faccia la sua lista.
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Don Cristian Solmonese
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