Viviamo le diverse Eucarestie che frequentiamo come se si succedessero una uguale all’altra, mentre bisognerebbe rendere l’assemblea più consapevole del tempo che sta attraversando
Il libro di Qoelet ci ricorda che c’è un tempo per ogni cosa, mentre, oggi, soprattutto noi occidentali, è come se vivessimo nello stesso indistinto flusso dei giorni. Tendiamo a includere ogni evento in un contenitore di cui vogliamo essere gestori assoluti e ci illudiamo di imprigionare ogni secondo fino all’ultimo dentro i nostri orologi.
La liturgia, invece, ci invita, come cristiani, a superare questa logica di possesso e ci offre l’opportunità di contemplare il tempo nella dimensione molto più vera e feconda del dono di vita sempre nuova che Dio non si stanca di offrirci. Eppure, le feste liturgiche non destano quanto potrebbero la nostra interiorità e viviamo le diverse Eucarestie che frequentiamo come se si succedessero una uguale all’altra. Vi è, invece, una sapienza secolare di gesti e parole che gioverebbe molto alla nostra vita spirituale se, a partire dalla catechesi dell’iniziazione cristiana, esercitassimo maggiormente la nostra partecipazione attiva, con una fantasia pastorale tesa a rendere l’assemblea più consapevole del tempo che sta attraversando.
In tal senso è stata recentemente provocatoria la scelta del regista Pupi Avati di intitolare il suo ultimo film “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”, una data molto significativa per la sua vita privata, ma definita secondo un calendario che non entra più quanto sarebbe auspicabile nel tessuto della nostra quotidianità.
Quella che abbiamo appena vissuto è stata l’ultima domenica del tempo ordinario e domenica prossima con la festa di Cristo Re dell’Universo concluderemo l’anno liturgico. Ammettiamolo: oggi questo ha ben poco rilievo, non lo percepiamo tornando a casa, dopo la Messa, non lo viviamo come famiglie attorno alla tavola… ma è come se non festeggiassimo più il compleanno di una persona cara o un anniversario importante! Con quanta sproporzione, invece, viene enfatizzato il cosiddetto Capodanno! Lo stesso inizio dell’anno scolastico a settembre incide nelle vite delle famiglie, molto più di quanto lo faccia l’inizio dell’anno liturgico con l’avvio dell’Avvento.
Sarebbe presuntuoso avere in tasca la risposta a come colmare questa divaricazione che nei secoli si è andata allargando, ma potremmo provare ad esperire dimensioni di preghiera nuove, che ci invitino a fare memoria, a guardare indietro l’anno trascorso facendo una sorta di bilancio e offrendo al Signore le preoccupazioni, ma soprattutto le speranze per quello a venire. È significativo ricordare che è nata piuttosto recentemente, in seno al Concilio Vaticano II, la scelta di collocare la festa di Cristo Re – che Pio XI aveva istituito nel 1925 in un’altra data – proprio al termine dell’anno liturgico.
C’è senz’altro la volontà di evidenziare in una ricorrenza significativa che Gesù è il Signore della Storia, e di ogni nostra storia sempre e comunque, anche quando a noi pare che gli eventi contraddicano tale verità. I tempi della liturgia celebrano la fedeltà del Signore che ogni anno si compromette e sceglie di accompagnare la vita degli uomini. L’incarnazione, la passione, morte e resurrezione di Gesù e la Pentecoste, scandiscono il tempo dei misteri di Dio e sono come tre vette che possiamo ammirare in montagna da un punto panoramico. Sappiamo ancora scandire i nostri passi avendo nel cuore queste mete, di cui la Pasqua ogni anno è la cima più alta? Con questa domanda nel cuore è questo il tempo in cui, come cristiani, possiamo augurarci buon anno!
di Giovanni M. Capetta – Sir