Bartolomeo I a Napoli nel tempo della sinodalità
Giovedì 23 novembre a Napoli, un evento dalla portata straordinaria: la visita del patriarca di Costantinopoli-nuova Roma, Sua Santità Bartolomeo I. L’evento organizzato dalla Pontificia Facoltà dell’Italia meridionale – sez. San Tommaso, prevedeva questo incontro non solo ad apertura dell’anno accademico 2023/24 per le sezioni della facoltà e tutti gli istituti ad essa associati, ma anche per rinsaldare i vincoli d’amicizia che legano il patriarca alla Chiesa Cattolica e alla città e alla chiesa particolare che è a Napoli.
Nel pomeriggio di giovedì il patriarca ha tenuto, nella prolusione dell’anno accademico, una vera e propria lectio magistralis, al termine della quale, dalle mani del gran cancelliere della PFTIM, l’arcivescovo di Napoli Mons. Domenico Battaglia, ha ricevuto la laurea honoris causa. L’indomani al mattino, l’intervento di Bartolomeo I ha aperto i lavori per una mattinata di studio dal tema “sinodalità e liturgia”.
Più che offrire un panorama “cronologico” degli eventi vissuti offriamo “a freddo” una serie di passaggi contenutistici degli interventi più rilevanti di Bartolomeo I. Interventi, parole, gesti, che non sono stati affatto di circostanza, ma che per il loro “peso specifico” stanno proprio a dimostrare non solo la volontà di un cammino condiviso, ma quanto le ricchezze, i patrimoni condivisi non sono altro, seppur con le dovute differenze, che volti della stessa “medaglia” della fede.
Procediamo con ordine: l’intervento del patriarca è stato di una potenza inaudita per diversi aspetti. Primo fra tutti la conoscenza e la coscienza storica del vissuto ecclesiale. L’intervento, alla luce del passo giovanneo dell’ut unum sit, incomincia guardando al vissuto della Chiesa del primo millennio. Una, ma non univoca. I concili infatti sono la dimostrazione di come la sinodalità non sia un concetto “alla moda” verso la democratizzazione delle chiese, ma l’evento vissuto dell’Uno nel molteplice, dell’ascolto dello Spirito sin dalle origini della vita della Chiesa, proprio per definire i principi di fede.
In merito poi alla divisione che è avvenuta, a partire dal secondo millennio in poi, fra Chiesa Occidentale e Orientale, Bartolomeo sottolinea come pur nelle differenze (spesso polarizzate), mai e poi mai è venuta meno la consapevolezza di far parte di un unico grande corpo: “Rappresentazione di uno splendido mosaico di cui ogni pietra ha la giusta collocazione, ma se una pietra si rovina o si deteriora quanto rovina ciò che raffigura? Quella pietra non cessa di far parte del mosaico! […] significa che pur dopo i concili, nello scisma o nell’eresia queste comunità restano parti integranti del mosaico.”
In questa consapevolezza, è chiaro, non ci si può nascondere dietro un dito: ecco che il Patriarca passa in rassegna tutta la serie di eventi storici che hanno polarizzato le posizioni delle comunità cristiane: dapprima per via delle diverse scomuniche, poi per il “rafforzamento identitario” dovuto all’ulteriore scisma in occidente con la rivoluzione luterana.
Non è da escludere però, nel rileggere le vicende storiche, il tentativo già nel secondo millennio a tratti profetico di una “teologia dell’inglobamento”: il confronto tra le chiese in sede conciliare, a Lione prima, e successivamente a Ferrara-Firenze. Superato poi il clima controriformista dagli inizi dell’800 sono evidenti diversi tentativi di incontro fra le due realtà: l’epistolario fra cardinali, Papi e Patriarchi Orientali, le prime encicliche dei sinodi orientali che guardano all’occidente come Chiesa amica, aprono le porte al dialogo che porterà ai gesti più significativi che tutti ricordiamo del secolo scorso. Fra i tanti, l’annullamento delle scomuniche dovute allo slancio ecumenico del Concilio Vaticano II e l’impegno profuso da Papa Paolo VI per l’incontro con il Patriarca Atenagora.
È davanti all’amicizia, poi sorellanza fra le Chiese, che Bartolomeo in un’aula magna gremita di studenti e autorità religiose e civili tuona: “La Chiesa ortodossa non ha bisogno di alcun fanatismo! […] Non ci spaventa la posizione di alcune chiese locali critiche del nostro ruolo, ci spaventa maggiormente il loro supporto ad una guerra ingiusta e ci spaventa la riluttanza di altre chiese a condannare questi atteggiamenti!”
Sull’eco della condanna al Patriarca Russo e all’omertà di alcune Chiese orientali, è da evidenziare un altro passaggio significativo che il Patriarca Bartolomeo compie all’interno del suo discorso: riconosce di non essere, come la stampa occidentale ama chiamarlo, “il Papa di oriente” ma d’essere un primus inter pares all’interno del sinodo delle chiese orientali. E qui sottolinea: “il Papa, è uno ed è a Roma, mio grande amico fra l’altro, noi siamo solo successori della testimonianza apostolica.”
Parole apparentemente banali o di circostanza ma che sottolineano la volontà autentica di riconoscersi così come si è, senza “fare passi più lunghi della gamba” nel faticoso cammino del dialogo ecumenico e interreligioso. Qui, poi, Bartolomeo ha iniziato ad elencare i temi condivisi con la Chiesa d’Occidente per i quali da ormai un trentennio si lavora insieme e sempre più con maggiore urgenza; in modo particolare sottolinea l’importanza sì delle istituzioni, ma soprattutto del rapporto fraterno, al di là dei ruoli, che ha instaurato con Papa Francesco, con il quale si è incontrato oltre una decina di volte!
Riportiamo in chiusura le parole finali dell’intervento del Patriarca quasi a testamento del cammino da percorrere come Chiesa fra le Chiese, fra le Case del mondo: “La difficoltà del linguaggio teologico (che ha portato alle più grandi separazioni) crediamo che ermeneuticamente sia stata superata. Con la Chiesa di Roma, poi, sono stati affrontati i maggiori temi e soprattutto si è riusciti a completare la visione del ruolo del vescovo di Roma. […]
Nessuno osi usare il nome di Dio per giustificare qualsiasi atto di violenza. Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza pace.
Camminiamo insieme come Chiese nel servizio a questa umanità, nelle sue urgenze […] Non come mera assistenza ma per comprendere le necessità autentiche, concrete dell’altro. […]
Così nel rapporto con la creazione: consegnare agli uomini l’autentica vocazione di buoni economi non avidi sfruttatori! Questa è una vera battaglia spirituale in quanto realizziamo il peccato contro la creazione che è “cosa assai bella”! […] Dobbiamo proclamare ad ogni credente e ad ogni persona di buona volontà che il dialogo arricchisce e non toglie nulla, solo così potremmo bandire fanatismi e conflitti perché la pace di Dio sorpassa ogni intelligenza!”
di Francesco Ferrandino