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Famiglia di Luce, famiglia tempio, famiglia offerta

Commento al Vangelo Lc 2,22-40

Carissimi amici, mi spiace che ogni volta la Festa della Santa Famiglia venga a ridosso delle celebrazioni Natalizie, quasi scomparendo tra i nostri pranzi e le celebrazioni. Essa è un momento per entrare ancora di più nel Natale di Dio. Il brano del Vangelo che ci viene offerto è profondissimo e ricalca anche un’ossatura che attraversa tutta la vita del mondo familiare di cui oggi vogliamo fare memoria, incoraggiando gli sposi a rinnovare il loro sì. Voglio donarvi tre parole che prendo da questo vangelo. La prima parola è Luce.

Abbiamo appena celebrato la luce che è venuta nel mondo, che ha diradato le tenebre. «Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele»: così Simeone definisce il Messia del Signore, al termine del suo canto di benedizione. Il tema della luce è fortemente presente in questa liturgia. Questa luce prima di tutto rappresenta Cristo, rappresenta la missione di Gesù che è venuto a rischiarare le tenebre e l’ombra della morte che sempre sono in agguato dentro al nostro cuore; le paure, le preoccupazioni, le difficoltà, le ferite, il dolore sono sempre in agguato e subito sono pronte a prendere il posto di Cristo, a dimostrare la loro forza su di noi. Mai come nel Vangelo di oggi il tema della Luce è così ben espresso. Gesù è l’astro, è la chiave, è la Luce che dissipa le tenebre. Luce che rivela il contenuto delle tenebre. Luce che riscatta le tenebre dalla dittatura della confusione e della paura. E tutto questo è ricapitolato in un bambino. Gesù ha un compito specifico dentro la nostra vita. Ha il compito di accendere luci lì dove ci sono solo tenebre. Perché solo quando chiamiamo per nome i nostri mali, i nostri peccati, le cose che ci spaventano, le cose su cui zoppichiamo, solo allora siamo abilitati a estirparli dalla nostra vita.

Oggi dobbiamo avere il coraggio anche in famiglia di fermarci e di chiamare per nome tutto quello che è “contro” la nostra gioia, tutto quello che non ci permette di volare alto: rapporti sbagliati, abitudini distorte, paure sedimentate, insicurezze strutturate, bisogni inconfessati. Oggi non dobbiamo avere paura di questa luce, perché solo dopo questa salutare “denuncia” può iniziare dentro la nostra vita una “novità” che la teologia chiama salvezza. La seconda parola è tempio: il Vangelo richiama l’ingresso di Maria nel Tempio. La Vergine Maria, la Consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce stessa, il Verbo incarnato, venuto a scacciare le tenebre dal mondo con l’amore di Dio. Mi piace dire che la Chiesa e la famiglia si mettono in cammino per incontrare colui che è la luce degli uomini e lo accoglie per portare la sua luce a tutti gli uomini. C’è la nostra volontà di andare incontro a Cristo, luce del mondo. Il Salmo responsoriale ci ha fatto dire chi è “il re della gloria”, “il Signore potente in battaglia”. Ma chi è il Dio potente che entra nel tempio? È un Bambino; è il Bambino Gesù, tra le braccia di sua madre, la Vergine Maria. La terza parola è offerta. Nel racconto dell’infanzia di Gesù, san Luca sottolinea come Maria e Giuseppe fossero fedeli alla Legge del Signore. Si tratta di due prescrizioni molto antiche: una riguarda la madre e l’altra il bambino neonato.

Per la donna è prescritto che si astenga per quaranta giorni dalle pratiche rituali, dopo di che offra un duplice sacrificio: un agnello in olocausto e una tortora o un colombo per il peccato; ma se la donna è povera, può offrire due tortore o due colombi (cfr Lv 12,1-8). San Luca precisa che Maria e Giuseppe offrirono il sacrificio dei poveri (cfr 2,24), per evidenziare che Gesù è nato in una famiglia di gente semplice, umile ma molto credente: una famiglia appartenente a quei poveri di Israele che formano il vero popolo di Dio. Per il primogenito maschio, che secondo la Legge di Mosè è proprietà di Dio, era invece prescritto il riscatto, stabilito nell’offerta di cinque sicli, da pagare ad un sacerdote in qualunque luogo. Ciò a perenne memoria del fatto che, al tempo dell’Esodo, Dio risparmiò i primogeniti degli ebrei. Maria e Giuseppe vogliono compiere tutto a Gerusalemme, e san Luca fa vedere come l’intera scena converga verso il Tempio, e quindi si focalizzi su Gesù che vi entra. Maria e Giuseppe anche se sono poveri, portano in braccio l’agnello sacrificale. la Vergine Madre lo offre a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo; lo porge a Simeone e ad Anna quale annuncio di redenzione; lo presenta a tutti come luce per un cammino sicuro sulla via della verità e dell’amore. un’offerta incondizionata che la coinvolge in prima persona: Maria è Madre di Colui che è “gloria del suo popolo Israele” è “luce per illuminare le genti”, ma anche “segno di contraddizione”. E lei stessa, nella sua anima immacolata, dovrà essere trafitta dalla spada del dolore, mostrando così che il suo ruolo nella storia della salvezza non si esaurisce nel mistero dell’Incarnazione, ma si completa nell’amorosa e dolorosa partecipazione alla morte e alla risurrezione del Figlio suo. Gesù è segno di contraddizione. Pensate, in un ambiente di ipocriti se entra una persona che fa il bene, pronuncia la verità, diventa un problema, diventa un segno di contraddizione. In un luogo di falsità se entra una persona di luce e comincia ad essere onesto a comportarsi bene, a pagare quanto deve, questo diventa un discrimine e normalmente è odiato. È molesto, la sua presenza spacca in due l’ambiente circostante. Gesù spaccherà il popolo in due e qui il popolo, Israele, è rappresentato dal cuore della Madre.

Chi decide di vivere da persona di luce, da persona di verità, da persona onesta deve accettare una cosa: deve accettare che il suo cuore venga trafitto, venga spaccato. Maria sarà dalla parte di Gesù, sarà parte della trafittura di cuore che qui il vangelo di Luca cita e tornerà negli atti degli apostoli quando Pietro dirà che Gesù Cristo è risorto e gli uomini si sentiranno trafiggere il cuore perché vedranno il loro errore. Questo è il dono della consacrazione a Dio che finalmente ci libera da tutta la zavorra; consacrarsi a Dio, donarsi a Dio, significa scoprire che c’è qualcosa da buttare via c’è qualcosa da tagliare e per farlo il nostro cuore deve essere spaccato. Ecco perché l’atto di portare Gesù al Tempio significa offrire il Figlio dell’Altissimo al Padre che lo ha mandato. Lui si è offerto per salvarci, per renderci nuovi, si è sacrificato per la nostra salvezza. Questo simbolismo è assunto ugualmente dalla luce e dalla candela che tutti noi abbiamo acceso nella notte di natale. La cera per mantenere la luce accesa deve consumarsi, così ha fatto Gesù, così dobbiamo fare noi, consumarci, offrirci ogni giorno perché questa luce non si spenga mai nella nostra vita, nella nostra famiglia. Sì, per illuminare dobbiamo offrici, donarci, consumarci. Care famiglie, la festa di oggi allora ci insegna che l’unica salvezza nostra è il Signore luce delle genti, egli viene incontro a noi donandoci la fede e noi siamo chiamati a camminare nel mondo tenendo in alto la nostra fede, la luce vera. Questo ci chiederà di soffrire, e di offrire la nostra vita come sacrificio ma in questo modo ci uniamo al sacrificio di Cristo e insieme a lui, unico mediatore, raggiungeremo la luce vera, la vita che non avrà mai fine. Amen

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