Commento al vangelo Mc 1,14-20
Non tira una buona aria per i profeti. Giovanni è stato arrestato. C’è un clima di sospetto e Gesù invece di nascondersi, saputo dell’arresto del Battista, comincia a predicare e lo fa in Galilea, nel territorio di Zabulon e Neftali, verso le alture del Golan, terre invase per prime, terre abbandonate e che nessuno a Gerusalemme avrebbe considerato salvabili. Gesù inizia proprio da lì, da quei territori, e Marco ci riporta cosa Gesù dice, la sintesi del suo messaggio: “Convertitevi e credete al vangelo perché il regno di Dio si è fatto vicino”. È la notizia del Natale. Egli è venuto da noi, si è fatto vicino. Allora svegliati! Accorgitene! E convertiti! Raddrizza la rotta della tua vita. Torna a credere, accogli la parola, mettila al centro.
Gesù ha bisogno di persone per farsi vicino, per rendere il regno visibile, ha bisogno di persone che sognano come lui. Non è forse il motivo per cui anche noi siamo cristiani? Non sei cristiano per condividere i suoi sogni, i suoi progetti, la sua missione? Diversamente dai rabbini del tempo, Gesù non aspetta che siano i discepoli a raggiungerlo ma li sceglie lui. Gesù non aspetta uno stuolo di adoranti. È lui che prende l’iniziativa, si avvicina, interagisce e fa fare loro un’esperienza unica. Non vuole personaggi grandi, altisonanti, come Giona nella prima lettura in cui si racconta una storia didattica, non successa veramente. Giona predica e la gente si converte? Perché? Per paura? No, ma proprio perché quella parola è detta da uno “sgarrupato” come loro, uno che ha mille problemi e mille limiti. Gesù va a prendere questi uomini sul confine, nella città di Cafarnao, trovatasi sul confine dopo la spartizione tra i figli di Erode il grande. Si trova al confine tra acqua e terra. Il mare nel mondo biblico ha una grandissima risonanza. Gli ebrei non sono i fenici, hanno il terrore del mare. Nel mare c’è il Leviatan, un mostro. Il mare simboleggia un luogo ostile e poi segna i confini di Israele con le città della decapoli, dieci città diventate pagane.
Quindi alcune città erano nella costa giusta altre no. Il mare è un luogo di passaggio dalla morte e alla vita. Israele attraversa il mare per uscire dall’Egitto. Nessun ebreo sano di mente andava oltre i confini: a parte Gesù. Gesù cammina lungo il mare, sui confini, sul luogo del pericolo, del Leviatano; addirittura, Gesù camminerà su di esso. È il Dio dei confini, il Dio dei lontani. Quanti confini rappresenta quella spiaggia di Cafarnao. Lì, sui confini, cerca i suoi primi discepoli. Lo fa non in una delle scuole rabbiniche ma tra persone che stanno rientrando dalla pesca. Non sanno niente di Gesù, non hanno fatto nessun corso di teologia, non si sono preparati al battesimo. Sono lì e sono chiamati ad essere suoi discepoli. Gesù anche oggi mi chiede di essere suo collaboratore.
Tutti siamo chiamati, siamo diventati suoi discepoli. A due condizioni. La prima è lasciare le reti. Le reti in ambito biblico hanno una reminiscenza con qualcosa che lega, che impedisce di seguire. Quali sono le reti che non ci fanno seguire Gesù? Un dolore, una relazione tossica ecc. A volte le reti le tessiamo, le ripariamo come Giacomo e Giovanni invece di abbandonarle. Lasciare tutto quello che ci impedisce di essere liberi: le schiavitù delle proprie lune, dai propri modi di pensare per diventare liberi di amare. Inoltre, devono lasciare la famiglia. Per l’uno il lavoro e per l’altro la famiglia. Si liberano da cose belle e brutte per sperimentare il regno e raccontarlo. Gesù affida loro la missione: pescatori di uomini, di umanità. Gesù chiede loro di fare una nuova esperienza, una nuova missione, un nuovo lavoro, una rete diversa, una barca diversa, una famiglia diversa e un nuovo padre. Faccio una sottolineatura ancora più simpatica: nel verbo utilizzato da Marco essere pescatori di umanità significa “tirar fuori”, sottinteso da un pericolo.
È ovvio che pescare i pesci significa tirar fuori il pesce dall’acqua e questo vuol dire condannarli a morte; ma tirar fuori gli uomini vuol dire salvarli; pescatore di uomini è uno che tira fuori degli uomini che nel mare, nel lago, rischiano di annegare. Addirittura sembra indicare questa espressione: “tirare fuori dal mare uomini vivi”. Diventare pescatori di uomini, vuol dire che, come chiesa, siamo chiamati a tirar fuori da questo grande marasma di male, di violenza, di confusione in cui siamo immersi, le persone facendole salire sulla barca, restituendo loro l’umanità che avevano perduto o venduto a qualcun altro. Meraviglioso: rendere l’uomo di nuovo uomo. Vuoi seguire Gesù? Impara a tirare fuori qualcuno dal male! Lasciamoci chiamare e tiriamo fuori dal pantano dall’acqua del male la nostra parte di umanità e tutti coloro che incontreremo. Scopriamoci amati e se volete, amate! Buona domenica!
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Commento al vangelo Mc 1,14-20
Non tira una buona aria per i profeti. Giovanni è stato arrestato. C’è un clima di sospetto e Gesù invece di nascondersi, saputo dell’arresto del Battista, comincia a predicare e lo fa in Galilea, nel territorio di Zabulon e Neftali, verso le alture del Golan, terre invase per prime, terre abbandonate e che nessuno a Gerusalemme avrebbe considerato salvabili. Gesù inizia proprio da lì, da quei territori, e Marco ci riporta cosa Gesù dice, la sintesi del suo messaggio: “Convertitevi e credete al vangelo perché il regno di Dio si è fatto vicino”. È la notizia del Natale. Egli è venuto da noi, si è fatto vicino. Allora svegliati! Accorgitene! E convertiti! Raddrizza la rotta della tua vita. Torna a credere, accogli la parola, mettila al centro.
Gesù ha bisogno di persone per farsi vicino, per rendere il regno visibile, ha bisogno di persone che sognano come lui. Non è forse il motivo per cui anche noi siamo cristiani? Non sei cristiano per condividere i suoi sogni, i suoi progetti, la sua missione? Diversamente dai rabbini del tempo, Gesù non aspetta che siano i discepoli a raggiungerlo ma li sceglie lui. Gesù non aspetta uno stuolo di adoranti. È lui che prende l’iniziativa, si avvicina, interagisce e fa fare loro un’esperienza unica. Non vuole personaggi grandi, altisonanti, come Giona nella prima lettura in cui si racconta una storia didattica, non successa veramente. Giona predica e la gente si converte? Perché? Per paura? No, ma proprio perché quella parola è detta da uno “sgarrupato” come loro, uno che ha mille problemi e mille limiti. Gesù va a prendere questi uomini sul confine, nella città di Cafarnao, trovatasi sul confine dopo la spartizione tra i figli di Erode il grande. Si trova al confine tra acqua e terra. Il mare nel mondo biblico ha una grandissima risonanza. Gli ebrei non sono i fenici, hanno il terrore del mare. Nel mare c’è il Leviatan, un mostro. Il mare simboleggia un luogo ostile e poi segna i confini di Israele con le città della decapoli, dieci città diventate pagane.
Quindi alcune città erano nella costa giusta altre no. Il mare è un luogo di passaggio dalla morte e alla vita. Israele attraversa il mare per uscire dall’Egitto. Nessun ebreo sano di mente andava oltre i confini: a parte Gesù. Gesù cammina lungo il mare, sui confini, sul luogo del pericolo, del Leviatano; addirittura, Gesù camminerà su di esso. È il Dio dei confini, il Dio dei lontani. Quanti confini rappresenta quella spiaggia di Cafarnao. Lì, sui confini, cerca i suoi primi discepoli. Lo fa non in una delle scuole rabbiniche ma tra persone che stanno rientrando dalla pesca. Non sanno niente di Gesù, non hanno fatto nessun corso di teologia, non si sono preparati al battesimo. Sono lì e sono chiamati ad essere suoi discepoli. Gesù anche oggi mi chiede di essere suo collaboratore.
Tutti siamo chiamati, siamo diventati suoi discepoli. A due condizioni. La prima è lasciare le reti. Le reti in ambito biblico hanno una reminiscenza con qualcosa che lega, che impedisce di seguire. Quali sono le reti che non ci fanno seguire Gesù? Un dolore, una relazione tossica ecc. A volte le reti le tessiamo, le ripariamo come Giacomo e Giovanni invece di abbandonarle. Lasciare tutto quello che ci impedisce di essere liberi: le schiavitù delle proprie lune, dai propri modi di pensare per diventare liberi di amare. Inoltre, devono lasciare la famiglia. Per l’uno il lavoro e per l’altro la famiglia. Si liberano da cose belle e brutte per sperimentare il regno e raccontarlo. Gesù affida loro la missione: pescatori di uomini, di umanità. Gesù chiede loro di fare una nuova esperienza, una nuova missione, un nuovo lavoro, una rete diversa, una barca diversa, una famiglia diversa e un nuovo padre. Faccio una sottolineatura ancora più simpatica: nel verbo utilizzato da Marco essere pescatori di umanità significa “tirar fuori”, sottinteso da un pericolo.
È ovvio che pescare i pesci significa tirar fuori il pesce dall’acqua e questo vuol dire condannarli a morte; ma tirar fuori gli uomini vuol dire salvarli; pescatore di uomini è uno che tira fuori degli uomini che nel mare, nel lago, rischiano di annegare. Addirittura sembra indicare questa espressione: “tirare fuori dal mare uomini vivi”. Diventare pescatori di uomini, vuol dire che, come chiesa, siamo chiamati a tirar fuori da questo grande marasma di male, di violenza, di confusione in cui siamo immersi, le persone facendole salire sulla barca, restituendo loro l’umanità che avevano perduto o venduto a qualcun altro. Meraviglioso: rendere l’uomo di nuovo uomo. Vuoi seguire Gesù? Impara a tirare fuori qualcuno dal male! Lasciamoci chiamare e tiriamo fuori dal pantano dall’acqua del male la nostra parte di umanità e tutti coloro che incontreremo. Scopriamoci amati e se volete, amate! Buona domenica!
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